La giustizia italiana ha concluso l’iter del processo sulla
compravendita dei diritti televisivi Mediaset: la Corte di Cassazione ha
stabilito anche la pena accessoria, consistente in due anni di interdizione dai
pubblici uffici per l’imputato Silvio Berlusconi. All’atto pratico, ciò
significa che per due anni l’ex-Cavaliere non potrà votare, non avrà alcun
diritto politico, non potrà candidarsi, dovrà rinunciare a titoli accademici,
decorazioni e ogni riconoscenza ottenuta e si vedrà negare qualunque tipo di
stipendio da parte dello Stato. In realtà questa sentenza non cambia di molto
la situazione in cui viveva prima: l’unica cosa che a Berlusconi interessa
veramente, la possibilità di candidarsi, gli era stata già negata con
l’applicazione della legge Severino.
Insomma, l’ultima sentenza della Cassazione non mostra nulla
di nuovo sotto al sole: Berlusconi era un pregiudicato prima e lo è anche ora,
era incandidabile prima e lo è anche ora. Il vero trauma era stata la sentenza
del primo agosto, probabilmente il momento più drammatico della sua esistenza.
Per mesi Berlusconi ha condotto la sua esistenza trascinandosi giorno e notte
in giro per la sua tenuta di Arcore, dilaniato e tormentato da dubbi, rigonfio
di rancore, con atteggiamenti e propositi altalenanti al limite della
schizofrenia. L’unica vera compagnia: il suo inseparabile barboncino bianco,
l’unico essere vivente da cui Berlusconi si sentiva amato e protetto in maniera
sincera. Una solitudine che si è trasformata presto in vulnerabilità: proprio
lui, così astuto e calcolatore, per mesi si è lasciato plagiare da persone il
cui unico interesse era quello di vedersi garantita una poltrona di prestigio;
i giornalisti li hanno soprannominati «falchi», indicando con quel termine la corrente
del partito che, sfruttando il rancore dell’ex-premier, lo volevano spingere
con argomentazioni ridicole ma di grande impatto psicologico («non puoi stare
al governo con chi ti vorrebbe in galera») a lasciare il tavolo della
maggioranza del governo, facendo cadere l’esecutivo e portando il Paese a nuove
elezioni. Interessante notare come questi falchi provengano quasi tutti da
formazioni politiche secondarie e molti di essi (vedi Santanché, vedi
Capezzone) fino a pochi anni fa non lesinavano aspri giudizi nei confronti di
Berlusconi; appare assai strano che tutta questa apprensione per l’ex-premier
derivi da un sincero moto di pietà umana. La cosa più sconcertante è come
Berlusconi si sia lasciato notevolmente influenzare da questi personaggi, al punto
che una sera lo stesso Berlusconi afferrò per le spalle la Santanché e, guardandola
negli occhi, le disse: «Daniela, tu sei l’unico vero uomo presente nel mio
partito».
Nonostante i moniti e i consigli della famiglia, dei vertici
delle sue aziende e di una larga fetta del partito, Berlusconi, in preda a
quello che Confalonieri definirà un «blackout» psicologico, finirà per
commettere l’errore più grossolano della sua carriera politica decidendo di
assecondare pienamente i falchi, una decisione catastrofica i cui effetti si
sentono ancora oggi. In seguito alla decadenza dalla carica di senatore,
Berlusconi decide di abbandonare la maggioranza del governo. C’è però un
piccolo inconveniente: quasi un terzo dei suoi parlamentari non lo segue, fonda
un partito autonomo (il Nuovo Centrodestra) e decide di garantire la continuità
della legislatura, consegnando all’allora governo Letta i numeri necessari per
proseguire l’azione di governo.
Berlusconi sceglie quindi di ghettizzarsi e di condannarsi a
un ruolo marginale, passando le giornate guardando le carte dei processi e
cercando di placare le ambizioni personali di un partito che non riesce più a
governare. Finché stava nella maggioranza, Berlusconi dettava l’agenda di
governo, aveva un forte potere di veto, poteva fare il suo buono e cattivo
tempo. Passando all’opposizione, ma con il governo tenuto in piedi grazie a una
fronda di suoi ex-fedelissimi, si è condannato all’irrilevanza politica,
affidando all’opinione pubblica l’immagine di un irresponsabile egocentrico che
ha tentato di trascinare il Paese alle urne (all’epoca c’era ancora il
Porcellum) anteponendo i suoi personali guai giudiziari ai problemi degli
italiani.
Poteva essere la sua fine politica, ma una bomba era
destinata a scoppiare nel cuore del panorama politico; una bomba chiamata
Matteo Renzi. L’8 dicembre Renzi diventa segretario del Partito democratico
dopo aver incassato quasi due milioni di voti alle primarie del partito. Una
notizia che, a primo impatto, potrebbe essere la pietra tombale dell’ex-premier:
Renzi è l’unico personaggio in grado di travolgere la destra alle elezioni ed è
per questo che il leader di Forza Italia, pur provandone simpatia, lo ha sempre
temuto. Non è un caso che Berlusconi abbia deciso di correre per la campagna
elettorale 2013 solo dopo la sconfitta di Renzi alle primarie del Pd e non è un
caso che sia stato proprio Berlusconi a opporsi quando è stato fatto il nome di
Renzi come premier del governo di larghe intese.
La situazione però sarà destinata a cambiare: di lì a poche
settimane Renzi diventerà indispensabile per Berlusconi e Berlusconi diventerà
indispensabile per Renzi. Il fulcro attorno a cui ruotano tutte le trattative è
la riforma della legge elettorale: Renzi vuole una legge maggioritaria che
scacci via i piccoli partiti; le forze politiche che tengono in vita la
maggioranza di governo (per lo più partitini) non condividono per nulla questa
impostazione: fare un testo di legge elettorale con loro finisce per diventare
il solito giochino di ricatti da parte di questo o di quell’altro. Bisogna
quindi trovare l’appoggio di una consistente forza d’opposizione, e l’unica
forza d’opposizione a condividere l’idea renziana è proprio Forza Italia.
L’asse tra Renzi e Berlusconi, dopo settimane di trattative, viene sancito in
un incontro svolto nella sede centrale del Pd. Sorprendente la reazione di una
parte del Pd, scandalizzata che un pregiudicato possa discutere della riforma.
Assai sorprendente se si considera che il Pd aveva sostenuto fino allo stremo
che Berlusconi, nonostante la condanna, dovesse continuare a sostenere
l’esecutivo; sorprendente, se si ricorda che il Pd aveva smosso mari e monti
per cercare di combinare un colloquio tra l’allora segretario Bersani e il
pregiudicato Beppe Grillo (progetto mai portato a termine).
Berlusconi torna quindi al centro della scena politica, ma
il prezzo è comunque alto: intanto ha dovuto cedere su alcuni punti della legge
elettorale (in primis il doppio turno), poi è cosciente che Renzi è liberissimo
di stipulare nuovi accordi con il Ncd senza che FI abbia la possibilità di far
saltare la riforma. Questa seconda preoccupazione è però alquanto infondata:
Renzi non ha la minima intenzione di mettere Berlusconi in un angolo. Ora che è
diventato Presidente del Consiglio, il tacito appoggio dell’ex-premier gli può
sempre tornare utile: i voti di Forza Italia (o almeno di una parte di essi)
servono a Renzi come maggioranza alternativa in grado di far tacere i ricatti
dell’eterogenea e risicata «maggioranza ufficiale» di governo. Non a caso Renzi
ha piazzato al governo alcune figure non ostili a Berlusconi come il ministro
dello Sviluppo Economico e i sottosegretari alla Giustizia.
In molti, naturalmente, non vedono di buon occhio questa
nuova bizzarra veste che ricopre l’ex-premier; Letta, quando era Primo
Ministro, aveva fatto cenno ad una possibile legge sul conflitto d’interessi
(dimenticando che Berlusconi, in quanto incandidabile, se ne fa un baffo di
quella legge); una fetta del Pd sta cercando ogni argomento possibile, vedi parità
di genere, per far saltare l’accordo sulla legge elettorale; c’è chi dice che
anche la scelta autonoma di Grasso di dichiarare il Senato «parte civile»
all’interno del processo contro Berlusconi sulla compravendita di parlamentari
sia stata dettata dal desiderio di seminare zizzania attorno all’asse
Renzi-Berlusconi…
P.S.: In molti hanno favoleggiato su una possibile grazia
promessa dal Presidente della Repubblica. Una grazia che, anche se attuata, non
andrebbe a intaccare le pene accessorie, ossia quelle che stanno più a cuore a
Berlusconi. È vero che il Capo dello Stato avrebbe la possibilità di fare una
«grazia tombale» che includa anche le pene accessorie, ma casi del genere hanno
ben pochi precedenti.
P.P.S.: Discorso analogo riguarda l’amnistia/indulto. Le
amnistie, generalmente, non sono mai andate ad intaccare i reati finanziari
come quelli di cui si è macchiato Berlusconi. L’indulto (difficilmente
applicabile a Berlusconi in quanto ha già usufruito dell’indulto del 2006) non
estingue il reato, di conseguenza gli effetti della legge Severino rimarrebbero
intatti. In poche parole, dire che un intervento a favore dei detenuti
servirebbe per salvare Berlusconi è una sciocchezza bella e buona.