C’era una volta la secessione. Una volta accortisi che la secessione poteva andare bene solo per qualche slogan elettorale, si puntò a livello pratico sul federalismo, a cui si accompagnava un progetto nebuloso che prendeva il nome di «macroregione».
Si è parlato molto di come il proposito moralizzatore della
Lega Nord sia definitivamente crollato sotto i colpi delle indagini giudiziarie
sull’uso assolutamente improprio dei rimborsi elettorali.
Non si è invece mai dato grande risalto al fallimento
prettamente politico del partito. Partito che ha avuto un ruolo determinante
nei governi Berlusconi e che, di conseguenza, ha tenuto in mano una parte
considerevole delle redini del paese per un decennio. Partito che, considerandone
la nascita anagrafica, è il più vecchio tra quelli tuttora presenti sulla scena
politica.
Visti questi illustri trascorsi, la domanda sorge spontanea:
la Lega è
riuscita nel suo intento federalista? La risposta è netta: no.
Nel mare degli slogan populisti che ha costituito buona
parte del fascino e dell’ideologia leghista, il federalismo (quantomeno quello fiscale)
sembrava una proposta tutto sommato ragionevole e attuabile.
Soltanto tre anni fa, gli industriali lombardi riuniti a
Cernobbio si dichiaravano fiduciosi e «pronti al federalismo»(1). Nel settembre 2013, in occasione del
seminario Ambrosetti riunito, per pura coincidenza, sempre a Cernobbio, gli
imprenditori hanno mutato profondamente il loro giudizio.
La domanda rivolta agli organizzatori del seminario era la
seguente: «Quali dei grandi temi del Paese devono essere delegati alla
competenza delle Regioni e non devono essere accentrati?». Le risposte sono
assai eloquenti: il 40% ha dichiarato «nessuna», il 36,2% ha risposto «il
turismo». I grandi temi per cui era nato il federalismo (sanità, grandi
infrastrutture ed energia) hanno beccato rispettivamente il 7,6%, il 6,7% e il
9,5%(2). Briciole. Praticamente nessun imprenditore affiderebbe queste tre
responsabilità alle Regioni.
Il commento a caldo di Luca Antonimi, ex presidente della
commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale, è il seguente:
«Non mi stupisco. Siamo riusciti a creare un federalismo di complicazione che
rende la vita difficile alle imprese perché ha moltiplicato gli adempimenti e
ha massacrato la certezza del diritto»(3).
Il vicepresidente di Confindustria con delega per i problemi
del fisco, Andrea Bolla, ha saggiamente dichiarato: «Volevamo meno tasse e più
efficienza e invece il federalismo ci ha portato in direzione opposta. La
fiscalità locale si è sommata a quella nazionale e si è creata una
sovrapposizione di competenze tra centro e periferia che ha complicato
ulteriormente la vita degli imprenditori»(4).
Per quanto riguarda l’energia, grazie alla devolution verso
gli enti locali, i piani di investimento sono bloccati. Per il lavoro, le
Regioni che vedono più autonomia sono quelle dove ci sono più ritardi e
incertezze normative.
Mentre per quanto riguarda i costi generali delle
amministrazioni centrali l’Italia si trova nella media europea (38 miliardi,
contro i 40 della Germania e i 23 della Francia), i costi delle amministrazioni
locali sono di 13 miliardi in Italia e soltanto di 5 miliardi in Francia(7).
Un conto così salato dovrebbe garantire servizi impeccabili
e pareggio di bilancio. Invece è proprio il contrario: secondo la Corte dei Conti le
amministrazioni locali nel 2012 hanno speso 230 miliardi guadagnandone solo
140, e i servizi lasciano il più delle volte a desiderare(8).
Questi numeri fanno capire chiaramente il fallimento del
federalismo leghista. Ora, infatti, il Carroccio sembra aver abbandonato il
progetto e avere un’altra idea per la testa: la «macroregione».
Sembrano risoluti i leghisti, eppure a livello pratico
questo «asse del Nord» fatica a mettersi in moto: ad esempio, a luglio il
Veneto ha presentato il nuovo orario dei treni regionali, che ha visto di fatto
annullate otto corse Venezia-Milano per questioni di bilancio(10).
A quanto pare Cota e Maroni hanno più a cuore le magagne
interne (accentuate in queste ultime settimane dai dissidi provocati dalla
spaccatura del Pdl) che non il progetto della «macroregione».
Un insospettabile aiuto alla causa è arrivato dalla tanto
vituperata Europa: nell’ottobre 2013 il Ministro degli Esteri Emma Bonino con i
colleghi di Francia, Slovenia, Austria, Germania, Svizzera e Liechtenstein ha
firmato una risoluzione per dare vita all’Euroregione alpina, che comprende
anche le cinque regioni del Nord-Italia. «Sono la stessa cosa» ha chiosato
Maroni. A quanto pare si è dimenticato del fatto che questo strumento è nato
nel 2006 con l’intento di favorire la gestione di alcune politiche comuni nelle
aree di confine, senza alcuna velleità federalista o di trattenuta fiscale(11).
La recente sentenza del Tar, che di fatto ha annullato
l’elezione di Roberto Cota a governatore del Piemonte a causa di alcune firme
false presentate dalla lista «Pensionati per Cota», suona come un colpo di
grazia al progetto della «macroregione».
Insomma, per la
Lega questo è un periodo più nero che mai.
Il neo-segretario Salvini sta giocando il tutto e per tutto
puntando sui temi anti-europeisti, e non è affatto scontato che la Lega non si possa riprendere
da questa sua agonia. Se poi si dovesse optare in Italia per il sistema
elettorale di tipo spagnolo (Dio non voglia) la Lega potrebbe addirittura ambire ai consensi del
passato. L’incubo non è finito.
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(1) da Dario Di Vico, sul «Corriere della Sera» del 09/09/2013, pag.5
(2) da uno schema riportato sul «Corriere della Sera» del 09/09/2013, pag.5
(3) da Dario Di Vico, sul «Corriere della Sera» del 09/09/2013, pag.5
(4) ibid.
(5) da uno schema riportato sul «Corriere della Sera» del 09/09/2013, pag.5
(6) da Sergio Rizzo, sul «Corriere della Sera» del 07/10/2013, pag.1
(7) da una lettera scritta da Gianfelice Rocca, Presidente di Assolombardia, pubblicata sul «Corriere della Sera» del 19/09/2013
(8) ibid.
(9) da Sergio Rizzo, sul «Corriere della Sera» del 15/12/2013, pag.10
(10) ibid.
(11) ibid.
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