Il paesaggio bucolico della Campania settentrionale ha fatto
rimanere estasiate generazioni di autori e artisti. Plinio il Vecchio scriveva:
«Da qui comincia la celebre Campania Felix, da questo punto hanno inizio i
colli pieni di viti…», secoli dopo Wolfgang Goethe consigliava: «Bisogna vedere
questi paesi per comprendere cosa vuol dire vegetazione e perché si coltiva la
terra. […] La regione è totalmente piana e la campagna intensamente e
diligentemente coltivata come l’aiuola di un giardino», Carolina Bonaparte
rincarava la dose: «Quella è una terra promessa. Nella campagna si vedono
festoni di viti attaccati agli alberi con sparsi grappoli di uva assai più
belli di quelli che gli ebrei portarono a Mosè…»
Insomma, una fetta di territorio incantevole e invidiata in
tutto il mondo. Non a caso Carlo di Borbone (1716-1788) scelse quest’area per
erigere una Reggia destinata a ospitare la famiglia reale nei momenti di svago
e riposo; e per raggiungere questo obbiettivo si affidò ai migliori artisti dei
tempo: basti pensare che per la sola progettazione si incaricò Francesco
Collecini, uno dei migliori allievi del Vanvitelli.
Il risultato fu un autentico gioiellino, il cui fiore
all’occhiello (per volontà di Ferdinando IV) era la sublime organizzazione
della tenuta agricola circostante: 2070 ettari di giardini, frutteti e tenute da
caccia che rappresentavano il vanto della famiglia Borbone. Un tesoro, definito
dai Borbone «Real Delizia», destinato ad un assai ingrato destino: dopo l’Unità
d’Italia la famiglia Savoia non sapeva che farsene della Reggia di Carditello e
ne affidò la gestione ai capi della camorra casertana. Nel 1920 la tenuta
agricola venne venduta e la villa iniziò una lunga via crucis di passaggi di
proprietà tra i più svariati enti pubblici: fino al secondo dopoguerra rimase
nelle mani dell’Opera Nazionale Combattenti, poi finì al Consorzio generale di
bonifica del bacino inferiore di Volturno. Mentre si trovava sotto la tutela
del Consorzio, a qualcuno venne l’idea di usare la Reggia come sede di
prestigio in vista della costruzione della linea Alta Velocità Roma-Napoli e si
iniziarono addirittura i primi lavori di restauro.
Il progetto andò in fumo: il Consorzio proprietario della
villa andò incontro al fallimento, i lavori della Reggia furono bloccati e il
palazzo stesso finì ipotecato dal Banco di Napoli.
Totalmente abbandonato a se stesso, si concluse che l’unica
soluzione era quella di vendere il gioiellino al miglior offerente. Fu così che
la Reggia di
Carditello venne battuta all’asta.
La storia, però, era tutt’altro che conclusa: vennero fatte
tre aste, e in nessuna delle tre si riuscì a trovare un acquirente. Il prezzo
passò da 35 milioni a 10 milioni di euro, eppure nessuno voleva saperne.
La cosa può sembrare assurda, ma guardando le condizioni in
cui versa la Reggia
ci si rende conto che questa reticenza è pienamente comprensibile: già
saccheggiata dall’esercito nazista durante la Seconda guerra mondiale,
la villa rappresenta tuttora l’esempio massimo di degrado delle bellezze
artistiche del Mezzogiorno.
Gran parte della Reggia è stata nel corso degli
anni depredata da criminali di ogni genere: hanno rubato una buona parte delle
colonnine che reggevano le balaustre dell’altana, hanno rubato il marmo
presente nelle scalinate, hanno rubato i cancelli settecenteschi, hanno rubato
interi pezzi di affresco, si sono rubati anche gli stucchi, i camini, le
panche, i pavimenti dell’altana. Si cercò di porre un freno a questa barbarie
apponendo un sistema d’allarme. Ebbene, hanno rubato anche il sistema
d’allarme. Non solo: l’ingordigia di chissà quale boss ha fatto in modo che
venisse rubato l’impianto elettrico della villa; rubata la centralina, rubati i
quadri di comando, rubati i fili passati nelle canaline.
Risultato: oggi nella Reggia di Carditello non c’è nemmeno
la corrente elettrica.
Come se non bastasse, il terreno dove una volta si potevano
ammirare gli splendidi giardini, ora ospita le discariche abusive gestite dalla
camorra.
Il ministero dei Beni Culturali si è accorto della presenza
della Reggia solo nel 2004, un anno dopo il pignoramento giudiziario; soltanto
allora si è deciso di apporre il vincolo monumentale su questo incantevole
palazzo e solo da allora sono iniziati ad arrivare un po’ di fondi per il recupero
del sito (fondi comunque vanificati dai saccheggi). Ci vorranno altri dieci
anni per arrivare alla svolta definitiva: considerando che le aste sono state
inutili, lo scorso gennaio Intesa Sanpaolo (che soppiantando il Banco di Napoli
è divenuto proprietario del tesoro) ha incamerato la Reggia a pagamento del
debito e, successivamente, ha firmato un contratto preliminare per cedere la
villa al ministero dei Beni Culturali.
Insomma, dopo anni di peripezie la Reggia è tornata nelle mani
dello Stato, una conquista che stava particolarmente a cuore all’ex-ministro
Bray.
Una battaglia è stata vinta, ma siamo solo all’inizio del
cammino. Ora viene la parte più complicata: il restauro, la messa in sicurezza
della Reggia, la bonifica dei terreni infetti di rifiuti, la valorizzazione
turistica.
I problemi da affrontare sono molteplici e facilmente
intuibili; oltre alla scarsità di fondi per il restauro ci troviamo in un
territorio dove la camorra spadroneggia senza rivali e dove ogni singola
operazione rischia di dover fare i conti con questa realtà che soffoca ogni
iniziativa onesta.
Una persona sapeva bene cosa significa voler difendere la Reggia di Carditello:
Tommaso Cestrone, volontario della protezione civile, ha passato gli ultimi
anni della sua vita cercando di proteggere questo tesoro. Questa sua missione
gli ha procurato minacce, incendi, ritorsioni di ogni genere, uccisione delle
sue pecore; eppure non si è mai tirato indietro. La notte di Natale aveva
scritto su facebook rivolgendosi al ministro Bray: «Auguri dalla Reggia di
Carditello. Il mio Natale è qua». Sarebbe morto poche ore dopo.
Questa la triste storia della Reggia di Carditello, uno dei
tesori più offesi e dimenticati del nostro immenso patrimonio artistico.
Facciamo in modo che d’ora in avanti questo gioiello venga valorizzato in tutta
la sua bellezza. Lo dobbiamo al povero Tommaso, eroe dei giorni contemporanei,
ma soprattutto lo dobbiamo a noi stessi(1).
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(1) Per la storia della Reggia ci si è affidati all’articolo
di Gian Antonio Stella sul «Corriere della Sera» del 09/01/2014 e a quanto
descritto nel libro «Se muore il Sud» di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella,
ed.2013
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