La vulgata comune e i mezzi d’informazione li indicano con
l’abusato aggettivo di «populisti», ma guardando bene anche Renzi, Obama e Papa
Francesco farciscono i loro discorsi con una buona dose di populismo. Il più
delle volte, le formazioni politiche che fanno breccia sulla rabbia popolare
fornendo capri espiatori ed evitando di elaborare un serio programma non si
possono definire altro che «fasciste». Oggi è il 25 aprile, e non ci può essere
giorno migliore per analizzare la vera ed esecrabile anima dei movimenti
politici che stanno conquistando il cuore di milioni di cittadini dell’Unione
Europea.
Questi movimenti agiscono su terreni diversi, propugnano
slogan talvolta antitetici, si organizzano in maniera diversa ed è quindi
sbagliato generalizzare o tracciare un ritratto comune. La gran parte di essi
sfrutta le difficoltà della crisi economica (ma non tutti: ad esempio in
Austria l’estrema destra supera il 30% dei consensi pur avendo solo un 4% di
disoccupazione(1)), molti si ispirano a una chiara connotazione
politica (specie di estrema destra) mentre altri preferiscono apparire super
partes, e anche i capri espiatori sono abbastanza variabili: vanno dagli ebrei
agli omosessuali, ma i più gettonati sono gli immigrati, le istituzioni
nazionali, le istituzioni europee e talvolta tutti e tre insieme. Sono tre
bersagli che garantiscono successo immediato: basti solo pensare che, secondo
il «Financial Times», il 71% dei cittadini europei spera che il proprio governo
riduca i benefici concessi agli stranieri, e nel Regno Unito questa quota
raggiunge addirittura l’83% del campione(2); una massa enorme di
persone che spesso non conosce freni inibitori. Secondo l’Eumc (l’Osservatorio
europeo sul razzismo) nel 2006 i fenomeni a sfondo razziale sono aumentati in
alcuni paesi tra il 25% e il 45%, con punte del 70%.
Il caso più eclatante è l’Ungheria, dove il partito xenofobo
e antisemita Jobbik rappresenta la terza forza in Parlamento (tra il 2006 e il
2009 i suoi consensi sono passati dal 2,2% al 14,8%) e recentemente si è
persino rivolta alla Corte dei diritti umani di Strasburgo per chiedere la
reintroduzione del braccio armato del partito (la Magyar Gárda) bandito nel 2009.
In Slovacchia lo scorso autunno una regione è finita nelle
mani di Marian Kotleba, ex leader di un partito neonazista (soppresso nel 2006)
e famoso nelle cronache per le marce anti-rom; un altro leader del partito,
tale Ján Slota, tra i suoi vari nemici includeva gli omosessuali, esprimendosi
nei loro riguardi con le seguenti parole: «L’omosessualità è una malattia, una
devianza, come la pedofilia», e ancora: «Non ho problemi con loro [gli
omosessuali, ndr.], se se ne stanno nell’ombra a fare le loro orge».
In Romania alle Europee del 2009 c’è stato il trionfo di
Partidul România Mare capeggiato da Corneliu Vadim Tudor, fiero nazionalista
che passa il tempo a inneggiare alla Grande Romania e ad una presunta purezza
etnica dei «veri rumeni» (secondo la Commissione europea per la lotta alle
discriminazioni «il paese che ha più problemi di razzismo è la Romania»).
In Repubblica Ceca nel 2009 i seguaci del Partito dei
lavoratori si sono spesso abbandonati alle più efferate violenze nei quartieri
rom delle principali città e uno dei suoi leader ammoniva: «Non vogliamo che la Repubblica Ceca
diventi la fogna per gli immigrati di tutto il mondo».
In Bulgaria le Presidenziali del 2006 hanno visto correre al
ballottaggio Volen Siderov, leader di Ataka, partito tenacemente schierato
contro i rom, i neri, i turchi, gli ebrei e, in generale, tutto ciò che non sia
bulgaro e ortodosso.
In Grecia nel 2012 è riuscita a entrare in Parlamento Alba
Dorata, forza politica che trasuda riferimenti al nazismo da tutti i pori. Non
tutti sanno che esiste anche un altro partito di estrema destra greco, il Laikos
Orthodoxos Synagermos che alle Politiche del 2007 aveva ottenuto il 7,2% grazie
anche alle farneticazioni dello scrittore Konstantinos Plevris (del tipo: «La
storia del genere umano potrebbe ritenere Adolf Hitler responsabile di quanto
segue: non essere riuscito a eliminare dall’Europa gli ebrei, mentre lui
poteva»).
Nel Regno Unito l’estrema destra offre nientemeno che due
alternative: o l’Ukip di Nigel Farage (paladino contro l’immigrazione dall’est
europeo) oppure il Bnp di Nick Griffin. I manifesti elettorali del Bnp per le
Europee 2009 raffiguravano gli avversari politici in veste di maiali e l’invito
«Punisci i porci!». Non solo. Griffin si distingue spesso per affermazioni
come: «Siamo contro chiunque venga qui. Il paese è pieno, non importa da dove
vengano, se siano neri, marroni, bianchi o verdi. Il paese è pieno, punto e
basta», oppure, in un’altra occasione: «So benissimo che è opinione condivisa
che sei milioni di ebrei siano stati gassati, cremati e trasformati in
paralumi, ma una volta era opinione condivisa anche che la terra fosse piatta.
Ho raggiunto la conclusione che la ricostruzione dello “sterminio” è una
miscela di propaganda alleata in tempo di guerra, di una bugia estremamente
proficua e, da ultimo, di un’isteria da caccia alle streghe».
In Finlandia il leader che nel 2009 ottenne più consenso fu
Timo Soini, capo dei Veri Finlandesi (il nome già dice tutto) che si è
addirittura rifiutato di firmare una dichiarazione contro il razzismo.
In Olanda Geert Wilders, leader del Pvv, qualche anno fa
invocava «contro i fascisti musulmani una jihad liberale».
Analogamente, in Danimarca il Dansk Folkeparti pochi anni
orsono faceva affiggere manifesti recanti slogan del tipo «ridateci la Danimarca» o inneggianti
alla «chiamata alle armi del partito contro l’islamismo».
In Spagna Manuel Candela Serrano, leader di Democrazia
Nacional, qualche anno fa si dilettava a cantare in una band nazi-rock i cui
testi contenevano frasi come: «Ehi, negro, tornatene nella giungla./L’Europa è
bianca e non è la tua terra».
In Germania Udo Voigt, leader del Partito
Nazionaldemocratico tedesco, nel 2008 si scagliò furentemente contro la
presenza dei giocatori neri nella nazionale. Il suo slogan era: «Bianco non
solo il colore della maglia!». Analogamente un altro leader, Gerhard Frey,
strillava: «Basta con le menzogne sui lager: è tempo di riscrivere i libri di
storia che hanno annebbiato la mente dei nostri giovani!».
Il Belgio nel frattempo vede lo scontro tra fiamminghi e
valloni. Uno scontro talmente violento che il partito Vlaams Blok (Blocco
fiammingo) venne sciolto nel 2009 per incitamento all’odio razziale;
provvedimento vano, visto che il partito di fatto è risorto sotto il nome di
Vlaams Belang il cui ex-leader Filip Dewinter aveva come idoli i componenti delle
SS e andava in giro dicendo: «Se uno è nato nel Burkina Faso non capisco perché
debba venirsene qui, che se ne stia a casa sua». Tanto era l’odio seminato che
il militante Hans Van Themsche nel 2006 afferrò una carabina e uccise tre
immigrati in un giardino pubblico.
Arriviamo al caso più importante: la Francia. A fine marzo le
elezioni amministrative hanno portato il Front National di Marine Le Pen a
risultati inaspettati: nel comune di Hénin-Beaumont ha ottenuto il 50,26% dei
voti, a Orange il 59,8%, a Saint-Gilles il 42,6%, a Fréjus il 40,3% e via di
questo passo. Eppure lo storico leader Jean-Marie Le Pen era colui che
dichiarava: «Non dico che le camere a gas non siano mai esistite. Io non le ho
viste. Non ho studiato la questione, ma penso che nella storia della Seconda
guerra mondiale siano solo un dettaglio». E la situazione attuale del Fn non è
molto diversa: uno dei candidati di Marsiglia presiede l’associazione di
sostegno ai tre attacchini che uccisero un diciassettenne comoriano nel 1995, il
candidato ad Hayange disse di aver avuto «voglia di vomitare» il giorno
dell’elezione dell’«islamo-socialista» Hollande, il candidato a Maubeuge è
stato recentemente immischiato in una vicenda riguardante la
commercializzazione di divise naziste, il candidato a Six-Fours è stato
condannato a un anno di carcere per «violenza armata in una riunione», il
candidato a Brignoles è un fiero ammiratore di Hitler, uno dei compagni di
lista del candidato a Cluses ha scritto nella propria pagina facebook di «amare
il Mein Kampf».
In Italia la forza politica più affine a queste elencate qui
sopra è stata la Lega Nord,
la quale per decenni si è fatta paladina dei più odiosi slogan di stampo
razzista. Dopo essere stata travolta da vari scandali sull’uso improprio dei rimborsi
pubblici al partito, i militanti leghisti sono confluiti per la gran parte nel
MoVimento 5 Stelle. I leader del M5S hanno avuto la sagacia di non propugnare
ufficialmente le idee razziste degli altri partiti qui sopra elencati, eppure
la ferocia con la quale esternano le loro affermazioni, l’intolleranza verso
qualunque opinione discorde, lo scetticismo verso la storia, la mancanza di
progetti precisi, la volontà di trovare dei capri espiatori e, soprattutto, la
capacità di cavalcare la rabbia popolare fanno in modo che il MoVimento 5
Stelle, pur non essendo direttamente paragonabile ai partiti fascisti, ne segua
la scia.
Tutte queste forze politiche non sono in alcun modo
conciliabili con gli ideali di libertà e democrazia che stanno alla base di una
società civile nata sulle macerie del fascismo. Nonostante la pesantezza della
crisi economica e i gravi errori delle varie classi politiche questi partiti
non possono in alcun modo essere l’alternativa.
Non chiamiamoli populisti, chiamiamoli fascisti.
Buon 25 aprile(3).
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(1) da Jean-Marie Colombani, su «Sette-Corriere della Sera»
dell’11/10/2013
(2) sono stati intervistati cittadini di Spagna, Francia,
Italia, Germania e Regno Unito, da Luigi Offeddu, sul «Corriere della Sera» del
20/10/2013
(3) per le varie informazioni è stato di grande aiuto il
saggio «Negri, froci, giudei & co.» di Gian Antonio Stella, ed.2009,
l’articolo di Bernard-Henry Lévy sul «Corriere della Sera» del 27/03/2014,
l’articolo di Stefano Montefiori sul «Corriere della Sera» del 25/03/2014 e
l’articolo di Maria Serena Natale sul «Corriere della Sera» del 29/11/2013
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