Non basta la loquacità per
diventare degli statisti, non basta evocare la gioventù per formare una vera
classe dirigente, non basta lanciare uno slogan per dare corpo a delle vere
riforme, non basta snobbare i corpi intermedi per essere dei rivoluzionari, non
basta avere la battuta pronta per dimostrare trasparenza e vicinanza ai
cittadini. Uno dei paradossi del renzismo sta proprio qui: nel mentre si vuole
dimostrare spasmodicamente di essere «vicini al popolo» (l’uso smodato dei
social network serve proprio a questo), lo stesso popolo viene tenuto
all’oscuro di ogni vera intenzione dell’esecutivo. Bisogna accontentarsi di
qualche slide striminzita, il più delle volte composta da informazioni distorte
o reticenti il cui scopo, chiaramente, non è quello d’informare, bensì da un
lato di far campagna elettorale, e dall’altro lato di dimostrare un’azione che,
alla prova dei fatti, non è così prolifica come si vorrebbe far credere.
Compensare la (quasi) sterile
azione governativa. Questo è il vero motivo che si nasconde dietro le
innumerevoli consultazioni online o dietro le varie parole d’ordine proclamate
con impeto guerriero.
Sia la riforma della Pubblica
amministrazione che la riforma della Giustizia vennero rinviate di qualche mese
(un irrilevante decreto sulla giustizia civile è stato firmato solo qualche
giorno fa dal Capo dello Stato) formalmente proprio con lo scopo di lasciare
spazio alla «vox populi» come accadeva ai tempi di Barabba e Ponzio Pilato. Per
carità, questa pratica così apparentemente affascinante e iper-democratica non
è una novità di questo governo: a inaugurare questo modus operandi è stato
Mario Monti sulla questione del valore legale della laurea (tema spinosissimo
tra i ministri, molti dei quali docenti universitari), e già allora si scoprì
che tra i partecipanti alla consultazione figuravano bislacchi figuri come
Elvis Presley o Antani Bitumato. Poi fu la volta della spending review: anche
qui i cittadini furono invitati a partecipare attivamente, con il risultato che
molte tra le innumerevoli proposte fatte, si parla di 135mila mail in soli 25
giorni, o non vennero minimamente prese in considerazione oppure vennero
sonoramente bocciate dal Parlamento. Paradigmatica in questo senso la proposta
(arrivata sette minuti dopo l’apertura del sito) di spegnere l’illuminazione
stradale dalle 23 in poi. Proposta che venne respinta per ben due volte dalle
Camere.
Anche Enrico Letta cadde in
tentazione: diede in pasto al popolo sia le questioni costituzionali (ottenendo
200mila partecipanti) sia le questioni relative alla burocrazia (ottenendo
questa volta 2mila mail), con il solo risultato d’imbottire i cassetti dei
ministeri.
Matteo Renzi si è insomma
limitato a seguire questa tradizione dai discutibili precedenti con la sola
differenza di aver corredato il tutto da una scenografia e da un’enfasi
ineguagliabili. Come al solito gli argomenti affidati alla pubblica discussione
non riguardano degli aspetti specifici e ben circoscritti (come successo, ad
esempio, nel Regno Unito, quando si chiese se fosse giusto passare dalle
banconote di carta alle banconote di plastica) ma dei capisaldi fondamentali da
cui passa la possibilità di crescita in Italia, con l’effetto non solo di scatenare
le lobby (l’Aci ha chiesto espressamente ai suoi iscritti di bombardare la
casella mail rivoluzione@governo.it
con la richiesta di non effettuare il sacrosanto accorpamento con la
motorizzazione civile) ma di ricevere una lunga serie di proposte riguardanti
ambiti diversissimi, al punto tale che il ministero della Pubblica
amministrazione ha dovuto implorare l’università La Sapienza di smistare e
trovare delle linee guida essenziali, che molto probabilmente, visti i
precedenti, non verranno nemmeno prese in considerazione.
Fittizie consultazioni online, ma
non solo. Il governo qualche settimana fa ha ordinato una conferenza stampa per
annunciare in pompa magna la creazione di un sito web:
passodopopasso.italia.it, il quale dovrebbe servire ai cittadini per monitorare
l’attività del governo nel corso dei prossimi mille giorni. Tutto bene, se non
fosse per il fatto che la piattaforma informatica ospita soltanto una spruzzata
di becera propaganda: si asserisce, per esempio, che tra febbraio e luglio
l’occupazione è aumentata dello 0,2%. Considerando però che a Palazzo Chigi
Renzi ci è arrivato soltanto alla fine di febbraio, sarebbe stato più opportuno
illustrare i dati del periodo marzo-luglio: si sarebbe scoperto, infatti, che
in questo frangente di tempo l’occupazione è diminuita dello 0,15%.
Non si trova alcun documento, di
programmi manco a parlarne. Eppure i contenuti non mancherebbero: che fine
hanno fatto, ad esempio, i 25 documenti finali riguardanti i tagli alla spesa
pubblica prospettati da Cottarelli? Lo spazio non dovrebbe mancare, visto che
indicativamente tale documento occupa solamente 25 megabyte (tanto quanto un
filmato di cinque minuti), fatto sta che nessuno ha avuto l’accortezza e la
trasparenza di metterli a disposizione di tutti. Non era lo stesso Renzi a
dichiarare di fronte ai senatori che «dobbiamo avere il coraggio di far
emergere in modo netto, chiaro ed evidente che ogni centesimo speso dalla
pubblica amministrazione deve essere visibile online da tutti»? Non era lui
stesso a invocare nello stesso discorso un «meccanismo rivoluzionario per cui
ogni cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio
rappresentante»?
Anche qui, però, bisogna dire che
l’idea non spicca per originalità: «l’albero del programma» comparve sul sito
web di Palazzo Chigi anche all’epoca del secondo governo Prodi. Un’iniziativa
naufragata per motivi opposti rispetto a quelli attuali: se il sito web di
Renzi pecca di penuria, il sito web di Prodi era un arzigogolo che avrebbe fatto
impazzire anche l’hacker più paziente. Una situazione talmente grottesca da
costringere la piattaforma ad una rapida chiusura.
Nel mentre il governo è impegnato
in tutte queste messinscena atte soltanto a frastornare i cittadini, di fatto
si può dire che molti dei luccicanti progetti di questo esecutivo sono andati a
monte: la vendita di auto blu su eBay ha visto le aste deserte, il taglio dello
stipendio dei supermanager ha visto escluse le società che hanno emesso bond
sul mercato (tra queste Poste, Cdp e Ferrovie), il pensionamento dei
magistrati avverrà in maniera assai
graduale, il pensionamento dei docenti universitari è saltato per mancanza di
coperture, il regolamento unico per l’edilizia in tutti i Comuni è misteriosamente
scomparso dal decreto «sblocca-Italia», senza parlare della lunghissima serie
di promesse fatte a voce e prive di qualsiasi riscontro pratico (vizio che
accompagna il premier da una vita, visto che già i compagni di scuola lo
soprannominavano «il bomba», proprio per schernire l’abitudine di voler stupire
tutti senza dimostrare nulla).
Nell’attesa, ormai al limite
dello snervamento, di vedere discussa qualche riforma strutturale, almeno si
eviti di prendere per i fondelli i cittadini e si cominci a dire le cose come
stanno. Gli italiani hanno tutto il diritto di reclamare la verità.
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