martedì 16 settembre 2014

Il governo a trasparenza alternata



Non basta la loquacità per diventare degli statisti, non basta evocare la gioventù per formare una vera classe dirigente, non basta lanciare uno slogan per dare corpo a delle vere riforme, non basta snobbare i corpi intermedi per essere dei rivoluzionari, non basta avere la battuta pronta per dimostrare trasparenza e vicinanza ai cittadini. Uno dei paradossi del renzismo sta proprio qui: nel mentre si vuole dimostrare spasmodicamente di essere «vicini al popolo» (l’uso smodato dei social network serve proprio a questo), lo stesso popolo viene tenuto all’oscuro di ogni vera intenzione dell’esecutivo. Bisogna accontentarsi di qualche slide striminzita, il più delle volte composta da informazioni distorte o reticenti il cui scopo, chiaramente, non è quello d’informare, bensì da un lato di far campagna elettorale, e dall’altro lato di dimostrare un’azione che, alla prova dei fatti, non è così prolifica come si vorrebbe far credere.
Compensare la (quasi) sterile azione governativa. Questo è il vero motivo che si nasconde dietro le innumerevoli consultazioni online o dietro le varie parole d’ordine proclamate con impeto guerriero.
Sia la riforma della Pubblica amministrazione che la riforma della Giustizia vennero rinviate di qualche mese (un irrilevante decreto sulla giustizia civile è stato firmato solo qualche giorno fa dal Capo dello Stato) formalmente proprio con lo scopo di lasciare spazio alla «vox populi» come accadeva ai tempi di Barabba e Ponzio Pilato. Per carità, questa pratica così apparentemente affascinante e iper-democratica non è una novità di questo governo: a inaugurare questo modus operandi è stato Mario Monti sulla questione del valore legale della laurea (tema spinosissimo tra i ministri, molti dei quali docenti universitari), e già allora si scoprì che tra i partecipanti alla consultazione figuravano bislacchi figuri come Elvis Presley o Antani Bitumato. Poi fu la volta della spending review: anche qui i cittadini furono invitati a partecipare attivamente, con il risultato che molte tra le innumerevoli proposte fatte, si parla di 135mila mail in soli 25 giorni, o non vennero minimamente prese in considerazione oppure vennero sonoramente bocciate dal Parlamento. Paradigmatica in questo senso la proposta (arrivata sette minuti dopo l’apertura del sito) di spegnere l’illuminazione stradale dalle 23 in poi. Proposta che venne respinta per ben due volte dalle Camere.
Anche Enrico Letta cadde in tentazione: diede in pasto al popolo sia le questioni costituzionali (ottenendo 200mila partecipanti) sia le questioni relative alla burocrazia (ottenendo questa volta 2mila mail), con il solo risultato d’imbottire i cassetti dei ministeri.
Matteo Renzi si è insomma limitato a seguire questa tradizione dai discutibili precedenti con la sola differenza di aver corredato il tutto da una scenografia e da un’enfasi ineguagliabili. Come al solito gli argomenti affidati alla pubblica discussione non riguardano degli aspetti specifici e ben circoscritti (come successo, ad esempio, nel Regno Unito, quando si chiese se fosse giusto passare dalle banconote di carta alle banconote di plastica) ma dei capisaldi fondamentali da cui passa la possibilità di crescita in Italia, con l’effetto non solo di scatenare le lobby (l’Aci ha chiesto espressamente ai suoi iscritti di bombardare la casella mail rivoluzione@governo.it con la richiesta di non effettuare il sacrosanto accorpamento con la motorizzazione civile) ma di ricevere una lunga serie di proposte riguardanti ambiti diversissimi, al punto tale che il ministero della Pubblica amministrazione ha dovuto implorare l’università La Sapienza di smistare e trovare delle linee guida essenziali, che molto probabilmente, visti i precedenti, non verranno nemmeno prese in considerazione.
Fittizie consultazioni online, ma non solo. Il governo qualche settimana fa ha ordinato una conferenza stampa per annunciare in pompa magna la creazione di un sito web: passodopopasso.italia.it, il quale dovrebbe servire ai cittadini per monitorare l’attività del governo nel corso dei prossimi mille giorni. Tutto bene, se non fosse per il fatto che la piattaforma informatica ospita soltanto una spruzzata di becera propaganda: si asserisce, per esempio, che tra febbraio e luglio l’occupazione è aumentata dello 0,2%. Considerando però che a Palazzo Chigi Renzi ci è arrivato soltanto alla fine di febbraio, sarebbe stato più opportuno illustrare i dati del periodo marzo-luglio: si sarebbe scoperto, infatti, che in questo frangente di tempo l’occupazione è diminuita dello 0,15%.
Non si trova alcun documento, di programmi manco a parlarne. Eppure i contenuti non mancherebbero: che fine hanno fatto, ad esempio, i 25 documenti finali riguardanti i tagli alla spesa pubblica prospettati da Cottarelli? Lo spazio non dovrebbe mancare, visto che indicativamente tale documento occupa solamente 25 megabyte (tanto quanto un filmato di cinque minuti), fatto sta che nessuno ha avuto l’accortezza e la trasparenza di metterli a disposizione di tutti. Non era lo stesso Renzi a dichiarare di fronte ai senatori che «dobbiamo avere il coraggio di far emergere in modo netto, chiaro ed evidente che ogni centesimo speso dalla pubblica amministrazione deve essere visibile online da tutti»? Non era lui stesso a invocare nello stesso discorso un «meccanismo rivoluzionario per cui ogni cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante»?
Anche qui, però, bisogna dire che l’idea non spicca per originalità: «l’albero del programma» comparve sul sito web di Palazzo Chigi anche all’epoca del secondo governo Prodi. Un’iniziativa naufragata per motivi opposti rispetto a quelli attuali: se il sito web di Renzi pecca di penuria, il sito web di Prodi era un arzigogolo che avrebbe fatto impazzire anche l’hacker più paziente. Una situazione talmente grottesca da costringere la piattaforma ad una rapida chiusura.
Nel mentre il governo è impegnato in tutte queste messinscena atte soltanto a frastornare i cittadini, di fatto si può dire che molti dei luccicanti progetti di questo esecutivo sono andati a monte: la vendita di auto blu su eBay ha visto le aste deserte, il taglio dello stipendio dei supermanager ha visto escluse le società che hanno emesso bond sul mercato (tra queste Poste, Cdp e Ferrovie), il pensionamento dei magistrati  avverrà in maniera assai graduale, il pensionamento dei docenti universitari è saltato per mancanza di coperture, il regolamento unico per l’edilizia in tutti i Comuni è misteriosamente scomparso dal decreto «sblocca-Italia», senza parlare della lunghissima serie di promesse fatte a voce e prive di qualsiasi riscontro pratico (vizio che accompagna il premier da una vita, visto che già i compagni di scuola lo soprannominavano «il bomba», proprio per schernire l’abitudine di voler stupire tutti senza dimostrare nulla).
Nell’attesa, ormai al limite dello snervamento, di vedere discussa qualche riforma strutturale, almeno si eviti di prendere per i fondelli i cittadini e si cominci a dire le cose come stanno. Gli italiani hanno tutto il diritto di reclamare la verità. 

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