venerdì 23 gennaio 2015

Aridatece er Parlamento!



Nella girandola letale di nomi, veti, identikit e sogni proibiti che precedono immancabilmente gli scrutini per il Quirinale, anch’io vogliono esprimere il mio pensiero sul prossimo inquilino del Colle. Non si tratta di un nome, quanto di un auspicio.
Facciamo le dovute premesse: il Parlamento è l’istituzione che più di ogni altra ha subito gli effetti della deriva antisociale, antipolitica ed economica di cui soffre l’Italia da oramai troppi anni. Sberleffi, scavalcamenti e ingiurie: nulla è stato risparmiato alle Aule che rappresentano il caposaldo della democrazia italiana. Era partito Berlusconi con lo spregevole mercimonio dei senatori, poi arrivò l’esorbitante diffondersi di atteggiamenti irriguardosi dei parlamentari nei confronti dell’istituzione (come dimenticare lo spumante stappato da Gramazio in vista della caduta dell’ultimo governo Prodi?), poi fu la volta delle ingerenze finanziarie (che imposero in modo intransigente la sostituzione del governo Berlusconi), successivamente arrivarono le dettagliate imposizioni europee (si pensi ai dettami della lettera di Trichet, prontamente eseguiti, oppure agli innumerevoli e inflessibili Trattati sui vincoli di bilancio pubblico), qualche anno dopo piombò addosso la sentenza anti-Porcellum della Consulta ad avvolgere le Aule dentro una patina (per lo più fuorviante) d’illegittimità, prima di giungere alla situazione attuale, dove l’incessante succedersi di voti di fiducia, stiracchiamenti costituzionali, decretazione ad ogni piè sospinto e deleghe in bianco ha reso il Parlamento una specie di inutile fardello, che difatti la nuova ideologia leaderistica ci sta mettendo un malcelato gusto nel voler riformare per ridurne l’influenza. Agli occhi di gran parte dei cittadini la cosa risulta indifferente: il Parlamento è visto soltanto come un covo d’ingordi parassiti nullafacenti sulla cui funzione in molti hanno idee confuse (la vulgata popolare vuole, ad esempio, che le elezioni politiche servano ad eleggere il premier, di conseguenza è diffusa la sensazione che l’attuale esecutivo sia assimilabile ad un sopruso).
C’è del vero nell’attacco concentrico che continua a bersagliare l’istituzione parlamentare: il bicameralismo paritario, unicum a livello mondiale, quelle sporadiche volte che viene lasciato agire senza controlli finisce quasi sempre per assumere i contorni di un peso che, in virtù di un conservatorismo assai galvanizzato da lobby e interessi trasversali, si risolve nell’inconcludenza, nell’instabilità o nello stravolgimento della norma redatta originariamente. Come se non bastasse, l’assoluta mediocrità di gran parte delle figure che hanno occupato il seggio negli ultimi anni ha solo contribuito ad aggravare la situazione al punto tale che al giorno d’oggi l’impreparazione (o sempre più spesso la complicità) dei membri dell’Aula e/o del governo finisce per consegnare il potere in mano a chi i contorti ingranaggi degli iter legislativi li conosce benissimo: i gruppi di pressione e le alte burocrazie. Le riforme in corso, ben lungi dal voler affrontare con consapevolezza la situazione, preferiscono invece usare a pretesto queste disfunzioni per ridurre ancor di più gli spazi di partecipazione dei cittadini conferendo un inaudito potere al leader del partito con più voti.
Rimane però un fatto da non sottovalutare: il Parlamento è il luogo di rappresentanza dei cittadini, emarginarlo dalle decisioni (come avviene in maniera sempre più spudorata: secondo OpenPolis in questa legislatura solo lo 0,36% dei ddl di natura parlamentare è divenuto legge) significa liquidare la volontà popolare e, di conseguenza, l’essenza stessa della democrazia.
Cosa c’entra il Capo dello Stato in tutto ciò? C’entra eccome: nella storia della nostra Repubblica tutti i Presidenti (se si eccettuano Einaudi, Segni e Ciampi) dovevano parte del loro prestigio all’esperienza di aver svolto o il ruolo di Presidente di una delle due Camere oppure, nel caso di Saragat, come Presidente dell’Assemblea Costituente. Una specie di tacita tradizione probabilmente involontaria, segnale però del ruolo di prim’ordine che il Parlamento svolge nel nostro ordinamento.
Ora più che mai, nell’èra dove il Parlamento viene generalmente ritenuto un superfluo ostacolo nel rapporto tra il leader e l’elettore (oppure talvolta come ostacolo ad ambigue forme di democrazia diretta) c’è bisogno di una nuova figura non solo che evidenzi con determinazione la centralità delle Aule, ma che sia essa stessa la testimonianza di un’attività parlamentare onesta, genuina e al servizio del cittadino, a prescindere dal colore politico e, aggiungo, a prescindere dal fatto che abbia ricoperto o no ruoli di presidenza: gli attuali presidenti delle Aule, infatti, sebbene spesso sventolati come «papabili» per il Colle, non avendo alle spalle (e si vede) alcuna esperienza significativa a livello parlamentare (non dimentichiamoci che si trattò di due avventate scelte di Bersani, il quale credeva di ingraziarsi il sostegno dei 5 Stelle piazzando agli apici delle istituzioni due personalità che erano praticamente avulse da ogni pratica politica) non sembrano all’altezza del ruolo e della missione da portare a termine. Una missione poderosa, quella di valorizzare il Parlamento proteggendolo dai continui attacchi, ma indispensabile per l’esistenza, assai fragile, della nostra democrazia.

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