Nella girandola letale di nomi,
veti, identikit e sogni proibiti che precedono immancabilmente gli scrutini per
il Quirinale, anch’io vogliono esprimere il mio pensiero sul prossimo inquilino
del Colle. Non si tratta di un nome, quanto di un auspicio.
Facciamo le dovute premesse: il
Parlamento è l’istituzione che più di ogni altra ha subito gli effetti della
deriva antisociale, antipolitica ed economica di cui soffre l’Italia da oramai
troppi anni. Sberleffi, scavalcamenti e ingiurie: nulla è stato risparmiato
alle Aule che rappresentano il caposaldo della democrazia italiana. Era partito
Berlusconi con lo spregevole mercimonio dei senatori, poi arrivò l’esorbitante
diffondersi di atteggiamenti irriguardosi dei parlamentari nei confronti
dell’istituzione (come dimenticare lo spumante stappato da Gramazio in vista
della caduta dell’ultimo governo Prodi?), poi fu la volta delle ingerenze
finanziarie (che imposero in modo intransigente la sostituzione del governo
Berlusconi), successivamente arrivarono le dettagliate imposizioni europee (si
pensi ai dettami della lettera di Trichet, prontamente eseguiti, oppure agli
innumerevoli e inflessibili Trattati sui vincoli di bilancio pubblico), qualche
anno dopo piombò addosso la sentenza anti-Porcellum della Consulta ad avvolgere
le Aule dentro una patina (per lo più fuorviante) d’illegittimità, prima di
giungere alla situazione attuale, dove l’incessante succedersi di voti di
fiducia, stiracchiamenti costituzionali, decretazione ad ogni piè sospinto e
deleghe in bianco ha reso il Parlamento una specie di inutile fardello, che
difatti la nuova ideologia leaderistica ci sta mettendo un malcelato gusto nel
voler riformare per ridurne l’influenza. Agli occhi di gran parte dei cittadini
la cosa risulta indifferente: il Parlamento è visto soltanto come un covo
d’ingordi parassiti nullafacenti sulla cui funzione in molti hanno idee confuse
(la vulgata popolare vuole, ad esempio, che le elezioni politiche servano ad
eleggere il premier, di conseguenza è diffusa la sensazione che l’attuale
esecutivo sia assimilabile ad un sopruso).
C’è del vero nell’attacco
concentrico che continua a bersagliare l’istituzione parlamentare: il
bicameralismo paritario, unicum a livello mondiale, quelle sporadiche volte che
viene lasciato agire senza controlli finisce quasi sempre per assumere i
contorni di un peso che, in virtù di un conservatorismo assai galvanizzato da
lobby e interessi trasversali, si risolve nell’inconcludenza, nell’instabilità
o nello stravolgimento della norma redatta originariamente. Come se non
bastasse, l’assoluta mediocrità di gran parte delle figure che hanno occupato
il seggio negli ultimi anni ha solo contribuito ad aggravare la situazione al
punto tale che al giorno d’oggi l’impreparazione (o sempre più spesso la
complicità) dei membri dell’Aula e/o del governo finisce per consegnare il
potere in mano a chi i contorti ingranaggi degli iter legislativi li conosce
benissimo: i gruppi di pressione e le alte burocrazie. Le riforme in corso, ben lungi dal voler affrontare con consapevolezza la situazione, preferiscono invece usare a pretesto queste disfunzioni per ridurre ancor di più gli spazi di partecipazione dei cittadini conferendo un inaudito potere al leader del partito con più voti.
Rimane però un fatto da non
sottovalutare: il Parlamento è il luogo di rappresentanza dei cittadini,
emarginarlo dalle decisioni (come avviene in maniera sempre più spudorata:
secondo OpenPolis in questa legislatura solo lo 0,36% dei ddl di natura
parlamentare è divenuto legge) significa liquidare la volontà popolare e, di
conseguenza, l’essenza stessa della democrazia.
Cosa c’entra il Capo dello Stato
in tutto ciò? C’entra eccome: nella storia della nostra Repubblica tutti i
Presidenti (se si eccettuano Einaudi, Segni e Ciampi) dovevano parte del loro
prestigio all’esperienza di aver svolto o il ruolo di Presidente di una delle
due Camere oppure, nel caso di Saragat, come Presidente dell’Assemblea
Costituente. Una specie di tacita tradizione probabilmente involontaria,
segnale però del ruolo di prim’ordine che il Parlamento svolge nel nostro
ordinamento.
Ora più che mai, nell’èra dove il
Parlamento viene generalmente ritenuto un superfluo ostacolo nel rapporto tra
il leader e l’elettore (oppure talvolta come ostacolo ad ambigue forme di
democrazia diretta) c’è bisogno di una nuova figura non solo che evidenzi con
determinazione la centralità delle Aule, ma che sia essa stessa la
testimonianza di un’attività parlamentare onesta, genuina e al servizio del
cittadino, a prescindere dal colore politico e, aggiungo, a prescindere dal
fatto che abbia ricoperto o no ruoli di presidenza: gli attuali presidenti
delle Aule, infatti, sebbene spesso sventolati come «papabili» per il Colle,
non avendo alle spalle (e si vede) alcuna esperienza significativa a livello
parlamentare (non dimentichiamoci che si trattò di due avventate scelte di
Bersani, il quale credeva di ingraziarsi il sostegno dei 5 Stelle piazzando agli
apici delle istituzioni due personalità che erano praticamente avulse da ogni
pratica politica) non sembrano all’altezza del ruolo e della missione da
portare a termine. Una missione poderosa, quella di valorizzare il Parlamento
proteggendolo dai continui attacchi, ma indispensabile per l’esistenza, assai
fragile, della nostra democrazia.
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