Il calendario segna la data del 20 gennaio 2014, siamo
davanti al banco del buffet preparato negli studi Rai pochi minuti prima della
messa in onda di «Porta A Porta». Sta per aprirsi una puntata che ha come
ospiti Matteo Renzi, segretario del Pd, e Paolo Scaroni, amministratore
delegato di Eni. I due invitati più prestigiosi si rilassano un po’ prima di
andare apparire davanti agli schermi; sebbene Scaroni sia un berlusconiano di
ferro, tra i due si è creato un buon feeling. È in questa situazione che l’ad
di Eni chiede tranquillamente: «Matteo, hai visto quello schema che ti ho
mandato? Se c’è qualcosa che non si capisce, chiamami…». Il riferimento,
neanche troppo velato, è al cambio di vertici delle principali aziende
pubbliche che si sta consumando in questi giorni. Quella frase mostra
inequivocabilmente come le grosse aziende pubbliche stavano meditando già in
quei giorni che un cambio di governo era necessario; sapevano che l’esuberante
sindaco di Firenze rappresentava una garanzia sui nomi da assegnare alla testa
dei vari colossi. Sono state proprio quelle aziende le prime a spingere Renzi
verso la decisione di disarcionare Letta.
Il «cambio della guardia» che sta avendo luogo, infatti, era
un passaggio atteso da tempo e di importanza quasi vitale per i diretti
interessati. Inoltre, non succedeva da anni che a occuparsi delle nomine (e
quante nomine!) fosse un governo a guida di centrosinistra.
Insomma, uno dei motivi (per non dire il principale motivo)
che hanno portato Renzi a Palazzo Chigi è proprio la fiducia che le grosse
aziende pubbliche nutrivano in lui in vista di questo cambio di vertici.
Sarebbe stato da ingenui aspettarsi che i desiderata dei pezzi da novanta non
venissero rispettati: l’attuale Presidente del Consiglio aveva un forte debito
da saldare con questi personaggi.
Con la nomina dei ministri e dei sottosegretari avevamo
visto come Renzi, a dispetto della sua sbruffoneria di facciata, si prodighi
sempre per non scontentare nessuno: tra ministri e sottosegretari il premier
era riuscito a soddisfare tutti i partiti e le correnti politiche che
garantiscono la sopravvivenza del suo esecutivo, compresa Forza Italia (che si
è vista assegnare il ministero dello Sviluppo Economico e i sottosegretari alla
Giustizia pur essendo ufficialmente all’opposizione).
Il modus operandi adoperato per tracciare la lista delle
nomine delle principali aziende pubbliche si è svolto più o meno sulla stessa
falsa riga, con la differenza che, oltre ai partiti politici, Renzi si è
sentito in dovere di ringraziare (regalando una poltrona di prestigio) anche le
forze economiche che gli hanno permesso di arrivare a ricoprire la carica di
primo ministro.
A leggerli a prima vista certi nomi non dicono nulla, ecco
perché mi sono sentito in dovere di stilare un elenco che sveli i nomi (con
breve descrizione) di coloro che in questi giorni sono riusciti ad accaparrarsi
una fetta importante di potere dopo aver garantito a Matteo Renzi il sostegno
per la scalata fino a Palazzo Chigi.
Mauro Moretti: Fino a qualche giorno fa era amministratore
delegato delle Ferrovie dello Stato, ora è diventato (quinta nomina consecutiva
da ad) amministratore delegato della ben più prestigiosa Finmeccanica. Bisogna
riconoscergli che ha sempre svolto il suo ruolo con senso del dovere. Tale
senso del dovere, unito con una solida amicizia che lo lega a Massimo D’Alema,
gli hanno permesso di rimanere nel pantheon delle aziende pubbliche nonostante
la recente affermazione: «Se tagliano gli stipendi ai manager, io me ne vado». Un
peccatuccio perdonato in fretta e furia.
Luisa Todini: Diventata presidente di Poste Italiane, è il
regalo più vistoso concesso a Berlusconi: Todini, infatti, in passato ha
ricoperto la carica di eurodeputata del Pdl. C’è anche qualche sospetto di
conflitto d’interessi, visto che la
Todini appartiene a una famiglia di costruttori.
Emma Marcegaglia: Ora presidente di Eni, è anche azionista
di Alitalia. Qualcuno ha fatto notare che il fratello di Emma, Antonio, cinque
anni fa fu condannato per aver pagato una tangente a un manager di Enipower.
Ironia del destino?
Claudio Descalzi: Nominato amministratore delegato di Eni,
questo invece è il regalo per Scaroni (di cui abbiamo già visto il suo peso
nell’intera vicenda). Descalzi, infatti, è il delfino più fidato dell’ex ad di
Eni.
Alberto Bianchi: Nominato membro del consiglio d’amministrazione
di Enel, è tuttora presidente della Fondazione Open che si è occupata di
finanziare le campagne politiche di Matteo Renzi.
Roberto Rao: Nominato membro del consiglio d’amministrazione
di Poste Italiane, è nientemeno che l’ex portavoce di Pier Ferdinando Casini ed
ex deputato dell’Udc.
Salvatore Mancuso: Nominato membro del consiglio
d’amministrazione di Enel (in realtà lo avevano messo in Eni, ma una volta
scoperto che la presidente dell’ente era la Marcegaglia, Mancuso
ha puntato i piedi per essere cambiato di posto) è in quota Alfano. Inoltre,
guida la società d’investimenti Equinox, azionista di Alitalia.
Diva Moriani: Membro del consiglio d’amministrazione di Eni,
azionista di Alitalia e consigliere d’amministrazione di i2 Capital partners
sgr., società che fa parte del gruppo Kme Intek. Ai vertici di Kme Intek siede
Vincenzo Manes, amico intimo (ma soprattutto finanziatore) di Matteo Renzi.
Fabrizio Landi: Nominato nel consiglio d’amministrazione di
Finmeccanica, si tratta dell’ex amministratore delegato di Esaote, che in
passato ha versato 10mila euro per la Fondazione Open
al fine di sostenere Matteo Renzi.
Antonio Campo Dall’Orto: Consigliere d’amministrazione di
Poste Italiane, ex vicedirettore di Canale 5 ma soprattutto sostenitore della
Fondazione Open.
Marta Dassù: Nominata membro del consiglio d’amministrazione
di Finmeccanica, in passato è stata consigliere politico del Presidente del
Consiglio Massimo D’Alema.
Andrea Gemma: Nominato membro del consiglio d’amministrazione
di Eni in quota Alfano.
E dire che erano stati interpellati ben due «cacciatori di
teste» e addirittura una commissione di saggi capitanata da Cesare Mirabelli al
fine di fornire i nominativi più idonei. Fatica sprecata: si sapeva fin
dall’inizio che le regole che dominano questi giochi hanno ben poco a che fare
con la competenza. La «spinta rinnovatrice» la si è vista nella rilevante quota
femminile alla presidenza di ben tre aziende e di questo è giusto riconoscere
il merito. Ma oltre a ciò Renzi ha dimostrato ancora una volta che il suo
modo di agire non è quello del carro armato che va avanti senza guardare in
faccia a nessuno: il suo modo di agire è quello dell’astuzia e della tattica
atta a non scontentare nessuno. Lo abbiamo visto per i vari incarichi assegnati
(sia al governo che nelle aziende) e lo vedremo anche nelle riforme.
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