«Non sono il capo di una banda di
burocrati!», è sbottato il neo-presidente della Commissione Europea Jean-Claude
Juncker. Non basta però una semplice frase a dipanare i dubbi su un’attività
europea che da un po’ di tempo a questa parte, in barba alla statura di
personalità come De Gasperi e Adenauer, ha relegato in un angolo le più
imponenti sfide del mondo attuale per farsi soggiogare da un apparato burocratico sempre più
invasivo, pignolo, assurdo e potente. Mentre ad esempio una fiumana sempre più numerosa
e disperata di migranti si accalca sulle coste europee del Mediterraneo,
Bruxelles è assiduamente intenta (la ricerca è durata circa due anni) a stilare
le norme che regolano la definizione di «bagno ecologico». Come ha scritto nel
novembre 2013 il quotidiano polacco «Gazeta Wyborcza», «prima di concludere che
un serbatoio d’acqua “ecologico” non dovrebbe contenere più di cinque litri di
acqua (un litro per orinatoio) sono stati spesi più di 89.000 euro in ricerche
sul tema. In particolare sono state analizzate le differenze geografiche
nell’Ue per quanto riguarda l’uso degli orinatoi» concludendo, ad esempio, «che
il paese demograficamente più importante dell’Unione, la Germania , è solo al terzo
posto (dopo gli inglesi e gli italiani) per quanto riguarda il consumo di acqua
per pulire i bagni. Mentre in Polonia ne consumiamo un terzo rispetto alla più
popolata (ma non tanto) Spagna. A volte le analisi di Bruxelles possono
sembrare ridicole, ma il commissario europeo all’Ambiente Janez Potočnik, ha
messo in guardia contro i giudizi troppo sbrigativi affermando che se solo il
10% delle famiglie europee adottasse dei bagni ecologici si potrebbero
risparmiare 390 milioni di euro». Sarà pure, ma ricerche del genere sono
tutt’altro che isolate. Dirò di più: al contrario dell’esistenziale dilemma
dello sciacquone, l’incessante vomitare di testi e scartoffie ad opera dei
puntigliosi burocrati di Bruxelles riguarda il più delle volte autentici
diktat, direttive inflessibili e regolamenti inderogabili tali per cui sgarrare
da tali norme significa mettersi contro la legge. E rappresentano un autentico
fiume in piena a cui non scappano gli aspetti più marginali della nostra
esistenza quotidiana. Nonostante alcuni europarlamentari abbiano stimato che
l’84% dell’attività legislativa di un paese membro derivi da leggi europee, il
blogger inglese James Clive-Matthews ha fatto una stima più attendibile ma solo
in parte meno sorprendente: «Da diversi studi europei sembra di poter dire che
ogni anno tra l’8 e il 25% delle nuove leggi viene dall’Europa. Recentemente
nel Regno Unito la biblioteca della Camera bassa del Parlamento ha condotto un
nuovo studio che suggerisce una percentuale tra il 15 e il 20%. Mi sembra
abbastanza giusta». Insomma, almeno una legge su cinque è diretta discendente
della mente creativa dei burocrati continentali e talvolta può andare anche
peggio, se si considera che nel solo febbraio 2014 dei dieci provvedimenti
governativi emanati nel nostro Paese ben sei rappresentavano il frutto di norme
europee.
Regolamenti che vanno dai
profilattici, i quali devono misurare «non meno di cento millimetri»,
all’«armonizzazione sui recipienti semplici a pressione» (questa l’atroce
discussione intavolata al Parlamento europeo lo scorso febbraio). Ma è sul
comparto alimentare che i burocrati si sono sbizzarriti con ineguagliabile
ottusità: secondo lo scrittore teutonico Hans Magnus Enzensberger, esistono 36
regolamenti europei concernenti la colorazione di fagioli, meloni e cavoli. Il
Regolamento (Ce) n.510/2006 è rappresentato da quattro pagine dedicate
esclusivamente al fagiolo di Cuneo, il quale dev’essere inteso come quel baccello
«allo stato ceroso da sgranare e la granella secca, appartenenti alle specie di
fagiolo rampicante Phaseolus vulgaris L. e Phaseolus coccineus» di dimensione
compresa «tra 15 e 28 mm» e di colore «intensamente striato di rosso». Secondo
uno splendido articolo di Raffaele Costa e Lorenza Viotto su «Il Duemila», le
direttive europee (da applicare teoricamente in maniera tassativa) impongono, per
quanto riguarda l’aglio, che «la differenza di diametro fra il bulbo più
piccolo e il bulbo più grosso contenuti in uno stesso imballaggio non può
superare: 15 mm ,
quando il bulbo più piccolo ha un diametro inferiore a 40 mm ; 20 mm , quando il bulbo più
piccolo ha un diametro uguale o superiore a 40 mm». Sul mondo dei cavoli «in
uno stesso imballaggio “il peso della palla più pesante non deve superare il
doppio della palla più leggera”, ma quando “il peso della palla più pesante è
uguale o inferiore a 2 kg ”,
la differenza di peso può raggiungere un kg». Per i fagiolini, invece, «la
“larghezza massima del baccello misurata perpendicolarmente alla sutura” non
deve essere superiore a 6 mm
(fagiolini “molto fini”), 9 mm
(“fini”), 12 mm
(“medi”)». Neanche i piselli ne escono indenni: per quelli «di “categoria I”, i
baccelli devono “contenere almeno 5 semi”, che a loro volta devono essere
“teneri, succosi e sufficientemente consistenti, in modo che, premuti tra due
dita, si schiaccino senza dividersi”». Per la zootecnia la situazione non è
molto diversa: si va dalla definizione di piccione viaggiatore («piccione
trasferito o destinato ad essere trasferito dalla sua piccionaia per essere
liberato in modo da poter ritornare liberamente, volando, alla sua piccionaia o
in qualsiasi altro luogo») a tutte le specie di pesce pescabile, ad esempio:
«Considerando che il regolamento Cee stabilisce le categorie di calibro
applicabili ai gamberetti e ai granchi e fissa un calibro minimo, considerando
che l’articolo 7, paragrafo 4 dello stesso regolamento prevede la possibilità
di autorizzare, per i gamberetti, deroghe al calibro minimo; considerando che
l’articolo 7, paragrafo 5 dello stesso regolamento introduce, nell’intento di
garantire l’approvvigionamento locale o regionale di granchi di talune regioni
costiere del Regno Unito, un regime derogatorio che riduce per queste zone il
calibro minimo, considerando che l’esperienza ha dimostrato la necessità di
differenziare, a seconda delle regioni, i calibri minimi, ha adottato il
presente regolamento. Per garantire l’approvvigionamento locale o regionale di
gamberetti e di granchi, possono essere stabilite deroghe ai calibri minimi».
Il convinto antieuropeista Mario
Giordano ha raccontato, fra le altre cose, il suo sbalordimento nell’osservare
la «Gazzetta Ufficiale» europea in un giorno del maggio 2001, in cui apparivano in
fila «legge sulla pesca dello scorfano, legge sull’importazione di spago dalla
Polonia, legge che modifica una legge sul salmone dell’Atlantico, legge per
l’acciaio kazako, legge per la magnesite calcinata sinterizzata, legge per la
carne bovina della Slovacchia, legge per gli accessori dei tubi in ferro
taiwanesi, legge per i piselli spezzati della varietà pisum sativum destinati
alla Sierra Leone e alla Corea del Nord».
Come ogni burocrazia infame che
si rispetti, anche quella europea lega indissolubilmente la logorrea con la
distanza sempre più incolmabile dalla realtà: mentre a noi può scapparci un
sorriso nel leggere le direttive sull’angolo di curvatura del cetriolo o sulla
«pesca della passera di mare a Skagerrak eseguita da parte di navi battenti
bandiera del Belgio», ci sono lavoratori che grazie a queste astruse norme vedono
notevolmente condizionata la loro attività. Questo il racconto, rilasciato a «La Nuova Sardegna », del pescatore
Giovanni Delrio: «La burocrazia rischia di ammazzare la pesca. Tutti questi
nuovi regolamenti sembrano fatti apposta per farci arrendere e lasciare il
mare, il nostro mare, alle multinazionali della pesca. Ma noi non molleremo, anche se è assurdo che al
rientro da una dura giornata di pesca si debba compilare una scheda nella quale
il dentice si chiama “dec”, il cappone “gun”, la seppia “ctc”, il polpo “occ” e
così via. Dicono che serve per la tracciabilità del pescato e quindi per la
qualità, ma così stanno complicando la nostra durissima vita in mare».
Gli assurdi limiti imposti alla
pesca di alcune specie, ad esempio il tonno, hanno comportato non pochi guai a
coloro che grazie al commercio di questo pesce sfamano la propria famiglia.
Sentite le parole dell’armatore di Sciacca Gaspare La Rocca a «Sì24»: «Il mare di
Sciacca è pieno di tonni, anzi è tutto un tonno. Non c’è più pesce azzurro; da
due o tre anni, quando l’Ue ha deciso di limitare a un mese all’anno la pesca
del tonno, questi sono aumentati in maniera esponenziale. È una legge
assassina, che consente solo a pochi in Italia di pescare il tonno, mentre noi
muoriamo. Lo Stato deve intervenire per cambiarla. Pesce spada non ne prendiamo
più, sarde nemmeno, i tonni non li possiamo pescare perché altrimenti
commettiamo un reato. Stiamo morendo e si stanno producendo danni enormi
all’ecosistema marino».
Finché l’Europa non si degnerà di
comprendere le reali dinamiche della vita dei cittadini, divincolandosi da
quell’autentica schiavitù di norme, vincoli e regolamenti di ogni tipo, non si
sorprenda mister Juncker se lui e tutta la sua Commissione verranno trattati
alla stregua di grigi e assurdi burocrati.
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