«Er pinguino», viene
affettuosamente soprannominato Domenico Gramazio. Affiorato dal sottobosco paludoso
del neofascismo romano e noto per la sua assidua familiarità con gli ambienti
missini e finiani, viene lautamente ripagato di questa prestigiosa carriera con
un’onorifica poltrona parlamentare alla quale «Er pinguino» rimarrà avvinghiato
per quattro mandati parlamentari, due volte da deputato e due volte da
senatore, per poi passare all’ancor più remunerativo incarico di consigliere
regionale del Lazio. Qui s’insedia per tre mandati. Il tutto condito da una
formidabile gavetta nei sindacati che lo porterà, da semplice dipendente
dell’Inps, a raggiungere gli apici della Cisnal (quella che tutt’oggi viene
chiamata Ugl).
Alla fine di questo faticoso
peregrinare arriva finalmente la meritata (doppia) pensione: 4982 euro al mese
di vitalizio in qualità di ex-parlamentare e 5895 euro al mese di vitalizio in
qualità di ex-consigliere regionale, per un totale di 10877 euro mensili. Una
parte della quale, possiamo starne certi, donerà quale lascito al figlio insieme
alla poltrona che, come impone la tradizione di certi ambienti, è già stata
ereditata nel 2013: Luca Gramazio, infatti, ricopre dal 2013 l’incarico di
consigliere della Regione Lazio nel gruppo di Forza Italia. «Non percepirò il
vitalizio», ammette sconsolato il giovine Gramazio, riferendosi alle
disposizioni seguite agli scandali di Batman&co., «ma sono figlio del
vitalizio. Sono stato meno fortunato». Una sfortuna destinata a perseguitarlo,
considerato il suo coinvolgimento nello squallido putridume dell’inchiesta
sulla criminalità mafiosa nella Capitale. Gramazio jr., ascoltato in varie
intercettazioni, pare essere legato a doppio filo alla Cupola della
sperimentata ditta Carminati-Buzzi in un traffico di mazzette finalizzato alla
compromissione del regolare esito delle elezioni regionali. Il suo seggio,
questa l’accusa, sarebbe il frutto di una vera e propria manomissione delle
schede elettorali. Altro che popolo sovrano, limitandoci a questa vicenda si
evince che l’organigramma della Regione Lazio non è altro che il figlio diretto
dei desiderata ben sovvenzionati di un manipolo di terroristi neri,
ex-picchiatori, cafoni, nefandi e magari pure con qualche mese di galera alle
spalle. Talmente insinuati in un intrecciato gioco di favori e «ringraziamenti»
da essere diventati essi stessi i burattinai non solo di una classe politica
mediocre e succube compiacente, ma dell’intera gestione della cosa pubblica in
una Regione come il Lazio e, ancora più agghiacciante, in una città come Roma,
al tempo stesso capitale dell’Italia, capitale religiosa, città d’arte,
metropoli e città più popolosa della penisola.
Le avventure della famiglia
Gramazio non terminano però qui: coloro che possiedono una discreta memoria
delle cronache politiche ricorderanno Domenico Gramazio come il senatore che
nel gennaio 2008, festeggiando nell’Aula di Palazzo Madama la caduta del
governo Prodi, stappò senza pudore una bottiglia di spumante brandendola in
aria e barrendo a gran voce la sua euforia.
Le vicende di questa famiglia
sembrano una perfetta metafora di tutti i difetti della classe dirigente
italiana: l’avidità, il nepotismo (o il clientelismo, a seconda dei casi),
l’asservimento verso ambigui «gruppi» di pressione, il disprezzo per la
legalità e il dissapore verso i valori della democrazia parlamentare.
Se ascoltassimo le parole del
cittadino della strada, basterebbe estirpare la gramigna infestante
dell’attuale classe politica e i problemi del Paese si risolverebbero con uno
schiocco di dita. Semplice, lineare, di un’elementarità imbarazzante: se la
politica rappresenta il tumore cresciuto in un corpo sano come quello del
nostro Paese, estraiamo il tumore e tutti gli organi dovrebbero ritornare forti
e sani come ai bei tempi. L’antipolitica, in fin dei conti, non va molto oltre
questo schema: superiamo tutte le strutture che possono in qualche modo
rappresentare un impiccio per il compimento della «pulizia» (via i partiti, via
il Parlamento, via lo Stato; si affidi il tutto ad una singola figura
carismatica e si proceda ad avviare il liberismo più sfrenato) e i problemi si
risolvono senza eccessive scosse e, soprattutto, senza provare a sfiorare i
propri personali interessi.
Basterebbe un po’ di memoria
storica per comprendere che è proprio l’assenza (e non l’eccessiva presenza) di
una guida politica accreditata, strutturata e frutto di una formazione
specializzata (come ha fatto notare Sabino Cassese in questi giorni: se non
esistono dei partiti solidi e definiti, quale sarà la gavetta per i futuri
esponenti della classe dirigente?) ad aver favorito l’insorgere dei peggiori
mali della nostra società. Mali, questi, che non appartengono solo alla classe
politica come se questa fosse infetta da una specie di pandemia che attacca
solo coloro che raggiungono certe cariche: sono mali intrinseci ad una società
che si è sempre ritrovata totalmente priva di punti d’appoggio legali e di
conseguenza priva di un’autorità statale in grado di fornire un esempio di
autorevolezza, autonomia e credibilità. La Chiesa Cattolica , l’unica
autorità ad essere sempre stata presente in ogni angolo della penisola e in
grado di condizionare con la forza della sua dottrina amplissimi strati della
popolazione, ha abdicato dal suo ruolo educativo almeno dai tempi della
Controriforma, epoca in cui le gerarchie ecclesiastiche hanno scelto
coscientemente (e vergognosamente) di perseguire un indottrinamento fondato
sull’esteriorità, sul simbolismo spiccio e sulla forma superficiale degli
aspetti quotidiani al posto di dedicarsi a piantare i semi della cultura del
rispetto reciproco, del benessere collettivo e della responsabilità nei
confronti del mondo circostante.
La continua invocazione popolare
(tanto comprensibile quanto contestabile) di una generalizzata minor presenza
della politica, di un generalizzato minor intervento pubblico e di una
generalizzata soppressione degli aspetti sia formali che sostanziali della vita
istituzionale non sono la risposta agli attuali problemi socio-economici, ma ne
rappresentano la causa primaria e scatenante. Le imperterrite richieste che
arrivano dalla società, ben lungi dall’essere il diserbante dell’attuale classe
dirigente, ne rappresentano il miglior concime per mantenerla robusta e in
salute. Non dimentichiamo che la famiglia Gramazio proviene dalle fila di Forza
Italia, una formazione politica nata esattamente per assecondare queste antiche
pulsioni popolari. Cerchiamo di non ripetere l’errore: non affidiamo il nostro
futuro nelle mani di formazioni politiche che ne seguono l’esempio.
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