Massimo Artini, l’ultimo in
ordine di tempo tra i parlamentari pentastellati ad essere finito sul plotone
d’esecuzione della Rete degli iscritti, ha descritto nel seguente modo l’ultimo
approccio tentato col leader maximo Beppe Grillo: «Beppe ci ha detto che il
movimento va bene così, portando come prova i contatti avuti sul sito. Io ho
cercato di fargli capire che il successo di un progetto politico non si misura
dai clic su Internet». Non sappiamo se il racconto sia veritiero, né se
l’enfasi della rabbia abbia offuscato la memoria di questo giovane deputato,
fatto sta che una dichiarazione del genere, se unita ad altri tasselli,
contribuisce a rendere più chiaro il motivo di tante scelte e di tanti misteri
che aleggiano attorno ai 5 Stelle: i click contano, contano molto. Perché molte
visualizzazioni significano molta pubblicità per gli inserzionisti che
imbottiscono il blog degli annunci più disparati. Più pubblicità significa più
guadagno per gli inserzionisti stessi. E se gli inserzionisti hanno un ottimo
ritorno il prezzo da pagare per godere di un posto ad ottima visibilità sulle
piattaforme a 5 Stelle inizia a lievitare, a tutto guadagno della Casaleggio
Associati, che di queste piattaforme ne rappresenta il dominus assoluto.
Fa quasi sorridere leggere le
parole di Grillo (che fra l’altro ha già dei trascorsi nel campo della
pubblicità) quando asserisce che «la Rete è francescana e anticapitalistica»,
oppure quando l’esperto di marketing digitale e suo compare Gianroberto
Casaleggio si abbandona a frasi come: «Credo che Internet apra all’umanità per
la prima volta l’era della partecipazione e della conoscenza. La democrazia
diretta si diffonderà in futuro grazie all’aumento dell’informazione libera
dovuto a Internet». Quanta ingenuità in affermazioni che paiono dimenticare la
realtà di un pianeta dove, al contrario, i grandi padroni della Rete hanno
offerto negli ultimi anni lo spettacolo del capitalismo più sfrenato e
predatorio. Un pianeta dove, tanto per dare un’idea, i listini della borsa
vedono Facebook valere il triplo della Philip Morris e Google valere sette
volte più della Nike. Come si fa a vedere il francescanesimo e il baluardo
della libertà in una Rete dove il vero obiettivo dei grossi papaveri del web è
quello di captare ogni singolo esercizio della nostra vita quotidiana e di
catturare ogni nostro desiderio al fine di piazzarci i messaggi commerciali più
consoni a noi ma, soprattutto, più remunerativi per le imprese private? È vero,
non si possono negare le infinite possibilità che offre la Rete in termini di
confronto, divulgazione e scambio d’idee, ma sulle reali potenzialità di
aggregazione e di informazione che lo strumento offre c’è ancora moltissimo
lavoro da fare: per come stanno le cose adesso, secondo uno studio
commissionato dalla Hewlett-Packard, il quoziente intellettivo di alcuni
professionisti (professionisti!) distratti dal leggere una mail precipita del
10% (tanto per dare un’idea, la marijuana ottiene una diminuzione del 5%). Il
giornalista Federico Mello ha descritto nel seguente modo cosa avviene alla
nostra psicologia mentre siamo connessi: «Se siamo sempre impegnati a capire se
sta arrivando una nuova notifica, se la gratificazione immediata di una nuova
mail (non il suo contenuto, ma l’arrivo della mail stessa) ci distrae da un
articolo interessante che stiamo leggendo, se i nostri occhi partono sempre a
cercare informazioni che ci riguardano direttamente, vuol dire che nel solo
fatto di navigare online la nostra memoria di lavoro è già in buona parte
impegnata. Di conseguenza la nostra capacità di pensare quando siamo connessi
risulta ridotta. Siamo deboli, insomma, sul web; con un cervello esposto e
seminudo».
Un cervello distratto, «esposto e
seminudo» pare davvero il requisito più odioso per chi desideri imbastire un
autentico luogo di scambio o di coordinamento virtuale. Eppure la gran parte
delle volte che navighiamo succede proprio questo: la capacità di
concentrazione cala sensibilmente, la riflessione della lettura è in genere
assai ridotta (Tony Haile, amministratore delegato di Chartbet, una delle più
importanti aziende che produce contenuti per il web, ha stimato che la durata
media del 55% degli utenti che accedono alle sue piattaforme è di appena 15
secondi, mentre «Socialmedia today» avverte che uno status con meno di 70
caratteri riceve in media un terzo in più di «mi piace» rispetto a uno più
lungo di 141) e se la capacità d’analisi si assottiglia così tanto, i contenuti
da cui si viene attratti sono quelli più frivoli, inconsistenti e focalizzati
sulle sensazioni più immediate: rabbia, gioia, sgomento e poco altro ancora.
Basta che provochi sentimenti «di pancia» ed eviti di far funzionare il
cervello. Il «click-baiting» si basa proprio su questo: ottenere il maggior numero
di visualizzazioni del proprio sito suscitando reazioni tanto viscerali quanto
destinate a consumarsi nel giro di qualche istante, giusto il tempo di
accorgersi quanto sia stato inutile aprire quel link. Agli
strateghi del «click-baiting» (il cui giro d’affari è stimato attorno ai 200
milioni di dollari) importa poco altro. L'importante è che quel sito sia stato visualizzato, chi se
ne frega se per cinque secondi o per cinque minuti.
***
La Casaleggio Associati si occupa
proprio di questo: lo scopo primario dell’azienda è esattamente quello di far
attirare ai suoi clienti quanti più click possibili adoperando tutti i mezzi a
disposizione e senza guardare in faccia a nessuno. Un esempio: quando si capì
che il giornale «Il Fatto Quotidiano» poteva essere un progetto di buon
successo, ci si pose il problema di dare vita a un sito web adeguato e
inizialmente l’editoriale pensò proprio a Casaleggio per fargli risolvere la
questione. Tutto andò a monte a causa del fatto che il manager pretendeva di
decidere cosa andava pubblicato, come andava pubblicato e addirittura
pretendeva che il sito web pubblicasse materiale prodotto da persone esterne
alla redazione.
Un caso isolato? Niente affatto.
Anche il sito web de L’Italia dei Valori venne gestito per un periodo di tempo
da Casaleggio; la collaborazione s’interruppe sia per i problemi finanziari del
partito, sia a causa dell’invadenza del manager. Un militante la racconta così:
«Volevano decidere tutto loro. C’erano questi ragazzi dello staff che facevano
e disponevano: cosa andava pubblicato, come, dove, quando. Di fatto era come se
la linea del blog la decidessero loro».
Il caso più interessante è però
un altro: la Casaleggio Associati
nel 2011 aveva iniziato ad occuparsi del sito web della casa editrice
Chiarelettere. Una piattaforma di questo tipo dovrebbe garantire prodotti di
prima scelta e pregni di contenuto: è ovvio che i metodi demagogici e
commerciali di Casaleggio sono i meno adatti e difatti, nonostante il successo
di visualizzazioni, nel luglio 2013 avviene la rottura. Vanity Fair osserva
come «nel mirino dei dirigenti Mauri Spagnol sono finite anche la gestione dei
social network, ritenuta approssimativa, e la “bontà” dei pur numerosissimi
accessi registrati dal portale cadoinpiedi.it [la piattaforma web di
Chiarelettere, ndr]. Molte delle visite quotidiane a cadoinpiedi.it
proverrebbero da link originati dal circuito beppegrillo.it. Gli articoli più
visitati non sarebbero quelli a firma degli autori Chiarelettere, ma quelli
scritti dai collaboratori della Casaleggio Associati e incentrati sul gossip».
Beppegrillo.it, il prodotto di
punta della Casaleggio Associati, rappresenta l’esempio più eclatante di questo
modo di fare comunicazione: brevi slogan di grande impatto emotivo e
assolutamente carenti di contenuti di spessore. Tutto pare finalizzato ad
attirare il massimo numero di visualizzazioni facendo guadagnare gli
inserzionisti che quotidianamente imbottiscono il sito web dei più disparati
banner pubblicitari.
È un caso che quando Grillo ha
intrapreso ufficialmente la carriera politica ha imposto il suo sito web come
unico punto di riferimento del nuovo movimento politico? Anzi, per essere
precisi beppegrillo.it è divenuto esso stesso il movimento politico, comparendo
addirittura nel simbolo ufficiale. Il non-statuto parla chiaro: il «“MoVimento
5 Stelle” è una “non Associazione”. Rappresenta una piattaforma e un veicolo di
confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel blog
www.beppegrillo.it (…) La “Sede” del
“MoVimento 5 Stelle” coincide con l’indirizzo web www.beppegrillo.it. I contatti con il
MoVimento sono assicurati esclusivamente attraverso posta elettronica
all’indirizzo MoVimento5stelle@beppegrillo.it».
Più chiari di così non si può essere.
È assai interessante porre l’attenzione
su un particolare sottodominio di beppegrillo.it, ossia «Tze-Tze», presenza
fissa nella colonna destra (quella su cui casca subito l’occhio) del blog di
Grillo. Si tratta di una sorta di giornale online, il cui scopo è «promuovere
l’informazione indipendente in Rete svincolandosi dai mainstream media e
pubblicare notizie in funzione dell’importanza attribuita dai loro utenti». Già
il fatto che un giornale selezioni le notizie in base alla loro popolarità e
non in base a dei precisi criteri d’importanza la dice lunga sul modo di
Casaleggio di vedere il mondo dell’informazione, ma la cosa più sconcertante è
il modo in cui sono redatti gli articoli. Oltre al fatto che i post sono
soltanto finalizzati a fare propaganda in favore dei 5 Stelle (altro che «informazione
indipendente»!), la piattaforma si distingue per il pietoso modo di erogare
notizie (non a caso a breve finirà a giudizio per diffamazione).
Un post, ad esempio, afferma in
pompa magna: «Di Maio asfalta il deputato Pd in diretta. Luigi Di Maio
ridicolizza il deputato Pd Matteo Richetti. Guarda il video…». Si apre
diligentemente il video (con pubblicità annessa) e si scopre una serie di
frammenti di un dibattito dove i due deputati si affrontano in maniera molto
pacata.
Un altro articolo titola:
«Vergognoso attacco al M5S. Ecco cosa ha detto Laura Boldrini…Vergognoso! La Boldrini viene
intervistata. Quello che state per leggere è sconcertante, ecco cosa ha detto».
Apri diligentemente il link e scopri alcuni stralci di un’intervista in cui il
momento più polemico del confronto è quando la Boldrini afferma che il 5
Stelle «poteva dare un apporto determinante per il cambiamento e invece non
l’ha fatto». Non so voi, ma temo che il «vergognoso attacco» lo veda solo
Casaleggio.
Oppure: «La rivelazione della
Lorenzin in diretta. Sconcertante. Ecco cos’è successo alle elezioni europee».
Clicchi sopra e vedi il ministro della Salute affermare che «la mia è una
candidatura di servizio».
Un’altra volta il titolo è:
«Ultim’ora- denunciato Matteo Renzi: clicca qui». Clicchi diligentemente e
scopri che il Codacons ha annunciato l’intenzione di avanzare un esposto alla Corte
dei Conti nei confronti del premier. Da qui ad affermare che Renzi è stato
«denunciato» di acqua ne scorre.
Ancora: «L’onorevole vuota il
sacco in diretta tv. Una confessione sconcertante. Guardate cos’è successo»
promette il titolo di un articolo dove si riprende la seguente dichiarazione di
Andrea Romano (Scelta Civica): «Prima di entrare in Parlamento io lavoravo».
Passare dai titoli mirabolanti
alle bufale vere e proprie il passo è breve: grazie a «Tze-Tze» scopriamo che
un vasaio indiano possiede un frigorifero che «funziona senza corrente»,
scopriamo che per «distruggere le cellule tumorali» la soluzione è data da
«iniezioni di sale» e arriviamo nientemeno a sapere che il succo di melograno è
«l’alimento che combatte il cancro».
Un metodo spudoratamente
finalizzato solo e soltanto ad ottenere click (spesso mettendo in anteprima
immagini sessiste). Una vera e propria truffa nei confronti del lettore. Un
modo di agire adoperato anche da Grillo stesso; qualche mese fa egli stesso
scriveva su Facebook: «Dati truccati! L’hanno fatto veramente! È una cosa
assurda: clicca qui. Ci prendono in giro» con tanto di foto dell’allora premier
Letta insieme al ministro Saccomanni. Apri il link e ti ritrovi un articolo del
blog in cui s’informa che la Commissione
Europea utilizzerà nuovi parametri per calcolare il Pil.
«Dati truccati»? «Cosa assurda»? Ma quando mai. Questo è un puro e semplice
raggiro per garantire visualizzazioni e far guadagnare gli inserzionisti. La
domanda sorge spontanea: sono questi gli avamposti di conoscenza e
partecipazione via web di cui parla Casaleggio? Spero proprio di no.
***
Grillo ha cercato più volte di
smentire che il suo blog abbia finalità d’interesse economico e per tal motivo
ha più volte evidenziato come il fatturato della Casaleggio Associati non sia
molto elevato (anzi, nel 2011 era addirittura in perdita).
Peccato che il comico si dimentichi
di spiegare che il valore delle aziende digitali non dipende dal fatturato.
Twitter, ad esempio, nel 2012 aveva un passivo di 79 milioni di dollari; l’anno
successivo entrò in borsa e venne valutato 31 miliardi di dollari.
Sapete quanto fatturato ottiene
Instagram? Zero virgola zero. Eppure nel 2012 il popolare social network di
foto venne acquistato da Zuckerberg per la sbalorditiva cifra di un miliardo di
dollari. Una pazzia? Un’ingenuità? Una truffa? Nient’affatto, si tratta
semplicemente del modo in cui vengono valutate le aziende digitali, un modello
economico che prende il nome di «zero revenue model» («modello a zero incassi»)
consistente nel principio che una start-up di recente nascita non viene
valutata in base agli incassi, ma in base agli utenti che coinvolge. Gli
incassi in genere sono molto lenti ad arrivare: anche Google e Facebook hanno
vissuto per anni senza vedere il becco di un quattrino pensando solo ad
incrementare il proprio traffico. Attualmente, comunque, beppegrillo.it non se
la passa male: si pensi ad esempio che il blog è nella categoria top site degli
AdSense di Google; ciò significa che gli inserzionisti devono pagare una cifra
superiore alla norma per poter inserire il proprio banner pubblicitario su
beppegrillo.it. E non è un caso che la Casaleggio Associati
ha visto il suo fatturato raddoppiare nel corso del 2013: si è passati
magicamente da 1,2 a
2 milioni di euro…
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