Il primo governo Renzi ha iniziato la sua corsa. Renzi I lo chiamano, e non ci potrebbe essere nome migliore per battezzare la squadra dell’esecutivo. Dopo due governi sotto la tutela del Presidente della Repubblica questo esecutivo è fortemente premier-centrico: la squadra dei ministri (piccola, giovane, piena di donne e con pochi meridionali) appare come un satellite che ruota intorno a Matteo Renzi, vera e unica voce in capitolo nel governo. La figura del vicepremier è assente.
Per molti aspetti non è la squadra che Renzi desiderava: il Primo Ministro, ad esempio, desiderava qualche nome famoso e inaspettato (Saviano, Montezemolo, Farinetti, Baricco) ma alla fine ciò non è stato possibile e, a pensarci bene, probabilmente qualche nome troppo appariscente avrebbe rischiato di mettere mediaticamente in secondo piano il vero protagonista di questo esecutivo: Renzi, per l’appunto.
Dopo giorni di estenuanti trattative la squadra è una miscellanea dalle molte facce: c’è chi proviene da Confindustria, chi dal mondo delle cooperative, chi faceva il sindaco nella Locride, chi all’ottavo mese di gravidanza, chi proviene dall’area bersanian-cuperliana, addirittura un civatiano, tre ex-fedelissimi di Berlusconi, un ex-segretario comunista di Imola…andando a guardare bene, di personalità di stretta osservanza renziana ce ne sono pochissime. Il che può apparire una contraddizione: come può un governo fondato intorno alla figura di Renzi avere pochi renziani? Invece è proprio da questo cocktail che si capisce la personalità del premier, una personalità che passa disinvoltamente dall’esigenza dell’operaio alla richiesta dell’imprenditore, da Goldrake a Dante Alighieri, da Nelson Mandela a Paolo Virzì. È la poliedricità l’aspetto fondamentale della figura del premier.
Nella messa a punto della squadra i rospi ingoiati sono stati molti: probabilmente la discontinuità rispetto al governo Letta voleva essere più marcata, invece i ministri del Ncd sono rimasti tutti al loro posto e al ministero dell’economia è rimasto un tecnico.
Quella dell’economia in questo frangente è indubbiamente la poltrona più importante. Eppure Renzi non è riuscito a piazzare né un nome di fiducia e nemmeno una personalità proveniente dal mondo della politica. Un grosso smacco, frutto delle pressioni sia del Capo dello Stato che delle istituzioni europee, dalle quali siamo ancora fortemente vincolati.
Ironia del destino ha voluto che il ministro designato (Pier Carlo Padoan) non sia stato presente il giorno del giuramento del governo e non abbia nemmeno preso parte al primo Consiglio dei Ministri. Sia chiaro, i motivi sono dovuti unicamente al fatto che Padoan si trovasse all’altro capo del pianeta, eppure è una coincidenza che strappa un sorriso. Proprio Padoan, l’unica figura del governo distante anni luce dall’indole di Renzi, uno dei pochi ministri che il premier non è mai riuscito a conoscere di persona. Insomma, un alieno nel governo, per giunta seduto dietro la scrivania più importante; la scrivania realizzata dai maestri d’ascia biellesi e donata a Quintino Sella alla fine del suo terzo mandato; la scrivania meno ambita e meno sognata. Anzi, probabilmente la scrivania più temuta. «Non prendetevi troppa cura delle mie condizioni. Anch’io, come tutti, non mancherò di morire», disse Guido Carli, anziano ministro dell’economia alla fine degli anni Ottanta sotto il governo Andreotti. Basta questa frase per capire quanto sia pesante il fardello degli inquilini del palazzo di via XX settembre, quanto sia amaro il calice di chi siede dietro quella scrivania.
Stando alle parole del portavoce forlaniano Carra, all’epoca della Democrazia Cristiana si riteneva che il ministro dell’economia, a furia di parlare di conti pubblici e rigore, fosse vittima di un particolare malocchio. Sicuramente un malocchio non era, fatto sta che tutti i ministri di via XX settembre (l’unica eccezione è Ciampi) hanno vissuto di malavoglia la loro esperienza governativa, perenni vittime di attacchi, insinuazioni e invettive da parte di personaggi che sembrano avere in tasca la soluzione di tutti i problemi.
Uno degli uomini più longevi su quella poltrona è stato Beniamino Andreatta, che occupò quel posto dall’ottobre 1980 al dicembre 1992. Ovviamente non ebbe vita facile: dopo il crac del Banco Ambrosiano i rapporti con il Vaticano si fecero tesi e volarono ingiurie di ogni tipo. E cosa dire di Giuliano Amato, che durante un congresso del Partito Socialista scimmiottò se stesso cercando di svuotare il mare con un secchiello?
La Seconda Repubblica non ha sicuramente reso più piacevole questa carica. Anzi. Il ministero dell’economia si è costantemente ritrovato a dover mediare tra le richieste demagogiche del primo ministro e la situazione disperata dei conti pubblici. Una specie di cornacchia realista atta a sgonfiare le roboanti dichiarazioni da campagna elettorale.
Domenico Siniscalco lo aveva capito fin troppo bene, tant’è vero che rassegnò le dimissioni nel 2005, ad appena un anno dall’insediamento nel governo Berlusconi. Le dimissioni vennero invocate anche per Vittorio Grilli all’epoca del governo Monti a causa di alcune vicende legate ad ex mogli e consulenze Finmeccanica. Fino ad arrivare al governo Letta, dove il ministro Saccomanni minacciò le dimissioni nel settembre 2013 a causa dei continui attacchi di alcuni esponenti della maggioranza di governo (Brunetta in primis). La colpa: quella di non saper dove trovare in poche settimane 5 miliardi di euro per eliminare la seconda rata dell’Imu e l’aumento dell’Iva.
Sberleffi, cattiverie, insulti e pretese assurde. Questo è il risultato che spetta ai vari ministri dell’economia in Italia. Nel corso dell’ultimo governo Prodi, per esempio, durante una manifestazione venne fatto sfilare un somaro che teneva appeso al collo il nome di Tommaso Padoa Schioppa, all’epoca, manco a dirlo, ministro dell’economia. Una sorte assai benevola se paragonata alle liti furenti tra il premier Silvio Berlusconi e il suo ministro Giulio Tremonti, specie tra la primavera e l’autunno del 2011, quando ormai la maggioranza di governo era sfaldata e l’accanimento degli speculatori sul nostro debito si faceva pesante.
Leggenda vuole che, di fronte ad un ospite che visitava villa Certosa, il padrone di casa Berlusconi abbia mostrato la sua collezione di piante grasse dando particolare risalto a un cactus spinoso e contorto, a cui era stato affibbiato il nome di «Cervello di Giulio Tremonti».
Questa la dura storia dei ministri dell’economia, lasciati soli a fronteggiare i guai finanziari oppressi dalle ingerenze della potente burocrazia del ministero e oppressi dalla demagogia dei partiti di governo.
La sorte di Padoan è ancora difficile da definire. Finora i suoi rapporti sia con la politica (di destra e di sinistra) che con le istituzioni europee sono stati pacifici. Ora staremo a vedere cosa succederà quando dovrà mettere in pratica la furia innovatrice che propone Matteo Renzi. Gli auguro buona
fortuna(1).
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(1) Le citazioni storiche sono state estrapolate da Filippo Ceccarelli, su «La Repubblica» del 23/09/2013
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