mercoledì 12 febbraio 2014

La versione di Friedman. Tutto quello che è successo nell'estate 2011



Se n’è parlato molto in questi giorni. Si sono immaginati scenari, retroscena, complotti, complotti di complotti e fantasie di ogni genere.
Una vicenda senza risvolti giudiziari, ma stracolma di strascichi polemici. Strascichi polemici che si avvalgono di una ricostruzione fuorviante ma pur sempre efficace quando si tratta di sputare fango mediatico contro la più alta Istituzione della Repubblica. La polemica era stata ampiamente prevista: il giornalista che ha indagato sulla vicenda, lo statunitense Alan Friedman, ha dedicato molto tempo per delineare la storia in tutti i suoi aspetti. La pubblicazione dello scoop, concordata tra «Corriere della Sera» e «Financial Times», è stata preceduta anch’essa da varie verifiche. In particolare, il prestigioso quotidiano anglosassone ha impiegato ben quattordici dipendenti (tra i quali un avvocato) per appurare l’attendibilità della vicenda.
In realtà lo scopo di Friedman era ben lungi dal trovare qualche scoop sul Presidente della Repubblica. La vicenda nasce (forse casualmente, forse no) durante un’intervista rilasciata dal dominus del gruppo Repubblica-l’Espresso Carlo De Benedetti nell’autunno scorso. Friedman voleva sentire alcuni pareri dell’imprenditore sulle prospettive dell’economia italiana, oggetto del libro che andava scrivendo (per la precisione «Ammazziamo il Gattopardo», uscito stamattina).
Nel corso dell’intervista, De Benedetti rilascia qualche dichiarazione di troppo su alcuni colloqui privati avuti tra Monti e Napolitano nell’estate 2011, colloqui che affascinano il giornalista, il quale, per mesi, decide di scavare a fondo nella questione.
Quello che segue è il racconto, addolcito da un po’ di prosa, di quanto è avvenuto in quell’estate passata ad architettare il destino del governo italiano. Per la ricostruzione ci si è avvalsi delle cronache di quei giorni e delle dichiarazioni di Mario Monti, Giorgio Napolitano, Carlo De Benedetti e Romano Prodi.

Giugno 2011
Le nubi iniziano ad addensarsi sulla scena italiana.
Il salvataggio della Grecia da parte dell’Unione Europea rischia di innescare una serie di speculazioni sui titoli di Stato di altri paesi in difficoltà, in primis l’Italia.
Il governo appare ben poco consapevole delle gravi responsabilità. Secondo il Primo Ministro, Silvio Berlusconi, «i ristoranti sono pieni», la crisi è solo un fattore psicologico, non c’è alcun bisogno di ricevere aiuti da parte dell’Europa. Come se non bastasse, la maggioranza parlamentare si va sempre più sfaldando: il Pdl ha visto una quota di parlamentari abbandonare il partito per sostenere la nuova formazione di Gianfranco Fini, serpeggiano i malumori della Lega Nord in materia pensionistica, il Ministro dell’Economia Tremonti suscita perplessità all’interno del suo stesso partito, Brancher e Cosentino sono costretti a dimettersi, il primo qualche ora dopo l'insediamento.
Il 7 giugno arriva il primo avvertimento da parte dell’Europa: bisogna agire, entro ottobre il deficit italiano va assolutamente ridotto. Giulio Tremonti va a parlare con Napolitano.
In Europa, e non solo, sono in molti a sostenere che, in caso di estrema urgenza, l’Italia debba affidarsi a un governo responsabile e consapevole. È in questi giorni che un nome inizia a farsi strada: quello di Mario Monti, stimato economista ed editorialista del «Corriere della Sera». Secondo molti illustri pareri è lui la persona che, se la situazione dovesse peggiorare, sarebbe destinata a guidare un governo di tecnici per riportare l’Italia su un sentiero virtuoso. Tra questi illustri pareri c’è anche quello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Napolitano conosce Monti da anni, legge con curiosità e apprezzamento i suoi articoli, intavola spesso e volentieri dei colloqui con l’economista. Insomma: Napolitano stima Monti, è una persona di cui nutre fiducia. I due si danno addirittura del «tu».
Non è dato sapere se già a quell’epoca Napolitano avesse parlato esplicitamente a Monti di un possibile incarico a Presidente del Consiglio, fatto sta che la voce di una possibile investitura in caso di estrema urgenza è insistente già da giugno.
Talmente insistente che a fine mese l’ex Presidente del Consiglio ed ex capo della Commissione Europea Romano Prodi, durante una delle lunghe chiacchierate con l’amico Monti nell’Ufficio dell’economista, dice chiaro e tondo: «Vedrai, Mario, quando lo spread arriverà a 300 punti ti chiameranno a fare il Primo Ministro». Una frase del genere lascia Monti un po’ attonito. L’argomento è delicato e lui sa di non avere per nulla la stoffa del politico. Prodi capisce la sensazione dell’amico, ma il buon Romano (che di governi ne ha guidati due e che di politica ci capisce qualcosa) lo rassicura come un padre affettuoso e navigato: «Non puoi fare nulla per diventare Presidente del Consiglio. Se ti arriverà l’offerta non ti potrai sottrarre. Ma non ti devi preoccupare dell’evenienza, anzi: quando l’offerta arriverà dovrai essere felice, l’uomo più felice del mondo!»
Le parole di Prodi servono come supporto psicologico a Monti. La discesa in politica ha per lui lo stesso effetto di uno sciroppo amaro. La scena politica italiana è complicata, buffa, inestricabile. Come si fa a sentirsi felici in mezzo a quella ciurma di chiassosi personaggi?
Sono molte le figure di spicco del mondo economico che, nei colloqui con Napolitano, sottolineano l’esigenza di un «piano B» da attuare nel caso la situazione sfugga di mano. Questo governo non è in grado di fronteggiare i guai finanziari che sembrano avvicinarsi.
Tra questi economisti c’è Corrado Passera, capo del gruppo Banca Intesa, che al Capo dello Stato riferisce senza troppi mezzi termini: «Occorre un programma di governo da tenere a portata di mano in caso di estrema necessità. Ma bisogna fare in fretta. Se la situazione va avanti di questo passo c’è bisogno di un cambio di rotta il prima possibile». Napolitano è concorde e affida proprio a Corrado Passera l’incarico di stilare una bozza di programma di governo.
Passera si mette al lavoro.

Luglio 2011
I segnali di tempesta in arrivo si fanno sempre più insistenti.
Tra l’8 e l’11 di quel mese lo spread schizza da 150 a 300 punti base, i titoli di Stato e le quotazioni borsistiche sono sotto il tiro degli investitori internazionali. La Borsa perde quasi il 4%.
Tremonti e Berlusconi promettono che, entro l’estate, arriverà la manovra economica. Ma a Brunetta non va a genio l’impostazione rigorista di Tremonti e quindi le fibrillazioni nella maggioranza e, manco a dirlo, tra maggioranza e opposizione restano molto alte. Dovrà intervenire Napolitano per chiedere di calmare gli animi e affrontare la situazione con la più grande responsabilità possibile. Ma anche lui sa che il governo, così com’è, non è in grado di fronteggiare la catastrofe.
Nei colloqui con Mario Monti, Napolitano dà dei segnali sempre più chiari: «Tieniti pronto, potrei chiamarti da un momento all’altro per sostituire Berlusconi».
Nel frattempo Corrado Passera ha stilato la prima bozza di programma di governo. L’ha fatta in fretta e furia, consapevole che non c’è tempo da perdere. Passera consegna una copia del documento sia a Mario Monti (con cui si era già ritrovato a parlare di questo documento), sia a Giorgio Napolitano.
La bozza sembra buona ad entrambi i lettori. Contiene molti punti (il documento finale, che arriverà a novembre, è formato da quasi 200 pagine) e tocca molti aspetti. Si parla di «terapia d’urto». C’è la priorità di risanare i conti (la famosa «austerity»), ma c’è anche lo spazio per programmi che favoriscano la crescita. Nel documento finale, ma è probabile che vi sia scritto anche nella bozza di luglio, è riportato chiaro e tondo: «Non ci mancano le possibilità ed energie per raggiungere obiettivi di questa portata a patto, però, di non sprecare il poco tempo che ci rimane a disposizione». Si parla di politiche per il lavoro, di pensioni, di privatizzazioni (un piano da 100 miliardi), di liberalizzazioni, di una patrimoniale al 2% su tutti i patrimoni immobiliari e finanziari (eccezion fatta per conti bancari e prime case).

Agosto 2011
Mario Monti, come ogni estate, passa qualche giorno di relax in una casa presa in affitto a Silvaplana, nei pressi di St.Moritz. Ma in quella situazione c’è ben poco da rilassarsi. Berlusconi è ancora al governo, lo spread ora sfiora quota 400.
Il 5 agosto arriva una lettera di fuoco da parte della Banca Centrale Europea: bisogna assolutamente darsi una mossa per evitare l’irreparabile.
Berlusconi è furibondo, vede la lettera come un inopportuno diktat da parte dell’Europa. Nonostante ciò, si decide di anticipare il pareggio di bilancio già nel 2013 e il Parlamento continuerà a lavorare senza pausa.
Durante la permanenza estiva a St.Moritz, Monti incontra spesso Carlo De Benedetti. Il professore conosce De Benedetti da una vita, era addirittura amico di suo padre. I due si scambiano confidenze e consigli. Nell’agosto 2011 però Monti appare più cupo e preoccupato del solito. Quando vede De Benedetti e la consorte chiede un incontro.
«Con piacere! Ci possiamo trovare a cena uno di questi giorni. Conosco una bella trattoria tipica. È un po’ fuori mano ma sono sicuro che non ne rimarrai deluso» risponde solare De Benedetti. Passare una serata con un vecchio amico è sempre allettante. Vengono fissati il giorno e l’ora.
Si stanno già salutando quando Monti trova il coraggio e chiede un po’ imbarazzato: «Però vorrei parlarti a quattr’occhi di una faccenda seria». «Nessun problema», risponde De Benedetti. «Vieni a casa mia prima della cena così possiamo parlare in tutta tranquillità».
Così avvenne.
Sono circa le 18 del giorno prestabilito quando Mario Monti si trova nello studio della casa dell’imprenditore.
È un po’ difficile trovare le parole adatte, ma alla fine Monti arriva al nocciolo della questione: «C’è la concreta possibilità che io venga nominato Primo Ministro. Cosa mi consigli? Io non ho mai avuto grossi rapporti con la politica, ho paura di inciampare…»
«Ma guarda», risponde De Benedetti, tranquillo e riflessivo: «Secondo me tu sei perfettamente all’altezza di un ruolo del genere, l’unica questione è il timing: se te lo chiedono a settembre accetta senza neanche pensarci. Se te lo chiedono a dicembre o più in là ti conviene lasciar perdere. Insomma, non c’è tempo da perdere: o vai subito a Palazzo Chigi, altrimenti è inutile».

Quanto narrato è quello che è esattamente successo nell’estate 2011, le vicende sono confermate da tutti i diretti interessati. Quelli che urlano al «complotto» dicendo che quell’estate l’Italia andava a gonfie vele sanno di mentire.
Il governo Berlusconi perdeva pezzi da tutte le parti, e i successivi tre mesi furono soltanto una sequela di fallimenti e figuracce. Il governo veniva battuto al Senato, l’Europa che considerava Berlusconi nient’altro che un ridicolo incompetente rideva di noi e dall’altro lato lanciava preoccupati ultimatum, le agenzie di rating tagliavano le valutazioni del debito pubblico italiano senza pietà, lo spread arrivava alla preoccupante quota record di 550 punti.
A novembre Napolitano convince Berlusconi a lasciare la poltrona: la situazione è insostenibile. Ciò che era stato previsto e calcolato (ma scongiurato) si avvera: Mario Monti viene convocato a guidare un nuovo esecutivo composto da persone che con la politica non hanno nulla a che fare.
Nonostante la stima goduta sia nell’ambiente politico che nell’ambiente economico, Monti è uno sconosciuto di fronte all’opinione pubblica. Nemmeno i giornali più attenti erano a conoscenza del fatto che da almeno quattro mesi il Quirinale stava avviando consultazioni nell’eventualità di un nuovo governo tecnico guidato dal professore.
Passera verrà nominato Ministro dello Sviluppo Economico, ma il suo programma (che vedrà ben quattro modifiche tra il luglio e il novembre 2011) non verrà mai messo in pratica.

Sull’opportunità da parte di Monti e De Benedetti di rivelare questa storia si può discutere a lungo, così come sull’effettiva efficacia del governo tecnico. Ma non è questo l’obiettivo di questo articolo. L’obiettivo è semplicemente quello di raccontare i fatti di quella torrida estate.

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