L’Italia è da sempre il Paese dei
navigatori. «Nonostante tutto», verrebbe da aggiungere, considerata la
situazione disastrosa in cui versa la
Rete in tutta la penisola.
Il web negli ultimi anni è
diventato un protagonista assoluto della vita mondiale: non solo per lo svago
che offrono giochi e social network, ma anche nell’ambito della comunicazione,
del commercio, della competitività aziendale, del rapporto con la pubblica
amministrazione, arrivando nel giro di pochi mesi a diventare uno strumento
indispensabile per svolgere praticamente ogni mansione lavorativa. Una
tendenza, questa, che va aumentando in maniera vertiginosa di giorno in giorno.
Volete qualche esempio? Secondo un’analisi di MM-One Group su dati Eurostat, il
fatturato delle imprese europee ricavato dal web nel 2013 è stato circa del
14%, una media che nasconde il 18% di Slovacchia e Gran Bretagna, il 16% di
Ungheria e Finlandia, il 26% della Repubblica Ceca, il 31% dell’Irlanda
(praticamente un terzo del fatturato totale delle aziende) e il misero 7% del
nostro Paese. La metà della media europea. Settori come il turismo oramai
campano in misura determinante grazie alla Rete: almeno il 25% dei quattrini
che circolano intorno al comparto vacanziero proviene dal web, con picchi del
39% dell’Inghilterra. L’Italia, il «paese che dovrebbe vivere solo di turismo»,
sta fermo al 17% (secondo l’Istat, nel 2012 solo il 27.5% di aziende legate al
settore dispone di un sito web).
Inoltre, stando a una ricerca
MM-One Group, se in Danimarca l’utilizzo della Rete nel rapporto tra cittadini
e pubblica amministrazione è a quota 100, il nostro Paese è a quota 9. Andando
nel dettaglio, scopriamo che mediamente in Europa il 41% dei cittadini ha
sbrigato online almeno una parte delle pratiche con gli uffici pubblici: mentre
in Danimarca si raggiunge l’85%, in Olanda il 79%, in Finlandia il 69% e in
Svezia il 78%, in Italia siamo fermi al 21%. Un municipio su quattro non è
nemmeno attrezzato per far scaricare dal web i moduli delle pratiche
burocratiche. In Sicilia solo il 56% dei comuni è attrezzato, in Molise il 48%
e in Basilicata il 54%. Comunque, per quanto riguarda i comuni che consentono
di conseguire l’intero processo burocratico soltanto online, Nord e Sud non
conoscono differenze: la media nazionale è solo del 18.9% e, fatta eccezione
per l’eccellente dato dell’Emilia-Romagna (un bel 40%), le altre regioni sono
un disastro; non si supera il 10.3% in Sicilia, il 9.4% in Veneto, il 9.1% in
Basilicata e l’8.4% in Val D’Aosta. Una situazione aggravata dall’ignoranza
digitale che accompagna il nostro Paese: gli europei tra i sedici e i
settantaquattro anni che non hanno mai navigato in internet sono il 24%, gli
italiani sono il 39%, i pugliesi il 50%, i calabresi il 47% e i campani il
49%. Fatta eccezione per cinque regioni rumene e due regioni bulgare, il nostro
mezzogiorno ha i peggiori dati europei per quanto riguarda l’ignoranza del web.
***
Quasi tutti i governi del mondo
hanno capito l’importanza strategica del web nei tempi che corrono. Sebbene le
classi dirigenti di molte nazioni non spicchino per responsabilità, sul tema
della Rete c’è stata una vera e propria mobilitazione: secondo il sito
netindex.com (che studia questo dato facendo qualcosa come cinque milioni di
test al giorno), nel 2012 la velocità media di download è di circa quattro
volte maggiore rispetto a quella del 2008, oscillando a livello mondiale
intorno ai 16.20 megabyte al secondo. Nel quadriennio preso in esame, si può
osservare come molte nazioni ci abbiano messo anima e corpo per raggiungere
velocità di download al passo coi tempi. La Germania è passata da 7.2 a 22.6 megabyte al
secondo, la Svizzera
da 6.6 a
34.1, la Svezia
da 10.2 a
39.8, il Canada da 4.1 a
18.7, la Francia
da 6 a
24.61. Non sono soltanto i soliti «secchioni» ad essersi aggiudicati risultati
ragguardevoli: la Lettonia
è passata da 7.7 a
38.9, la Romania
da 6.5 a
49.3 e la Cina
da 1.9 a
16.5 (una velocità di download quasi decuplicata). La media europea è collocata
a 24.5 mentre noi siamo a meno di un terzo.
L’Italia, che tra il 2008 e i
giorni odierni è passata da 3.1
a 8.51, nel giro di pochi anni è di fatto precipitata
nella classifica dei paesi per quanto riguarda la velocità del web: in passato
ci trovavamo a 0.9 punti di distacco dal Regno Unito mentre ora siamo a 15.8,
ne avevamo 4.1 dalla Germania e ora siamo a 15.7, ne avevamo 3.9 dalla Francia
e ora siamo a 18 (dodici anni fa Italia e Francia stavano grosso modo sullo
stesso piano), ne avevamo 7.1 dalla Svezia e ora ci ritroviamo a 32.9, ne
avevamo 1.3 dalla Spagna e ci ritroviamo a 12, ne avevamo 3.4 dalla Romania e
ora abbiamo un distacco di 33, e via di questo passo, compresi tutti i paesi
ex-comunisti. Ma sono le classifiche mondiali della velocità di download quelle
a far venire la pelle d’oca. Nel novembre 2011 stavamo al 70° posto (dopo
Kazakistan e Rwanda), nel maggio 2012 eravamo al 76° posto, nel febbraio 2013
ci eravamo piantati all’85° e alla fine dell’anno eravamo già passati al 93°: a
16 gradini di distanza dalla Turchia, a 10 dalla Grecia, a 44 dalla Slovenia, a
59 dall’Austria, a 65 dalla Germania, a 53 dalla Spagna, a 66 dalla Gran
Bretagna, a 70 dalla Francia, a 68 dal Portogallo e a 89 (ottantanove!)
posizioni dalla Romania. Un mese fa eravamo al 98esimo posto, facendoci
sorpassare da nazioni come Serbia, Portorico e Namibia, situandoci appena sopra
il Kenya e a 58 posizioni dalla Cina, con il risultato di trovarci penultimi
tra i paesi europei (solo la
Croazia fa peggio di noi) e ultimi tra i 34 paesi dell’Ocse.
La vergogna è cocente, se si pensa che l’Italia è un paese che fa parte del G8.
Tra i paesi facenti parte dell’organizzazione ovviamente siamo in fondo alla
classifica, ma la cosa raggiunge quasi il grottesco se si pensa che al
penultimo posto c’è il Canada, il quale, con una media attuale di 23.9
megabyte, ha una velocità di download tripla rispetto a quella del Belpaese. La
nostra dirimpettaia Svizzera (con 50.6 megabyte al secondo) ha una velocità di
download sestupla rispetto a noi, Hong Kong (che sta a quota 79.6 megabyte) ha
una velocità nove volte maggiore della nostra, la snobbata Romania (con un
ottimo 55.5) ha una velocità sette volte superiore.
Secondo una classifica mondiale
di fine 2013 di Akamai, l’Italia sta alla 48esima posizione per velocità media
di navigazione misurata, dopo paesi come Slovacchia, Romania, Polonia,
Portogallo e Ungheria. La cosa peggiore è costituita però dal fatto che in poco
più di un anno e mezzo abbiamo perso la bellezza di 26 posizioni: soltanto nel
maggio 2012 eravamo al 22esimo posto.
Per la velocità misurata in
megabit al secondo la situazione non migliora; anzi, proprio a tal riguardo il
«Sole 24Ore» ha sparato alla fine del 2013 il titolo «La cenerentola d’Europa»,
spiegando come (mentre iniziano a circolare fibre da 30 Mbps) il nostro Paese detenga
una media di 4.9 megabit al secondo, la metà rispetto a quanto accade in paesi
come Regno Unito, Belgio, Danimarca e Repubblica Ceca. Con l’Olanda non si può
nemmeno fare il confronto, visto che nella patria di Spinoza la media è di 12.5
megabit.
E non sono nemmeno i dati più
sconfortanti: sempre secondo netindex.com, la velocità di upload (ossia quanto
ci si mette a caricare un file nella Rete) vede tra i primi classificati Hong
Kong, Lussemburgo, Corea del Sud, Singapore, Andorra, Macao, Lituania e Giappone.
Bisogna scorrere molto la classifica, bisogna scendere sotto le posizioni di
Indonesia, Filippine, Trinidad e Tobago e addirittura sotto le isole Barbados
per trovare l’Italia, piazzata al 157° posto con una velocità di upload che è
almeno 37 volte inferiore rispetto a quella di Hong Kong e non molto distante
da quella di paesi come Congo e Burkina Faso.
Un recente rapporto sul mercato
delle telecomunicazioni redatto dalla Commissione europea per il periodo
2012-2013, pur parlando di «leggeri miglioramenti» sul tema della banda larga,
rigira il coltello nella piaga denunciando come nel nostro Paese «le
penetrazioni della banda larga fissa tradizionale e di nuova generazione sono
ancora molto al di sotto della media». Sempre secondo il rapporto, siamo ultimi
nell’Ue per diffusione di banda con velocità da 30 Mbps e per copertura delle
reti d’accesso di nuova generazione. La qualità delle linee esistenti viene
definita «molto bassa», con solo il 18.4% degli abbonamenti con velocità
superiori a 10 Mbps (la media Ue è del 66%). Il ricavo medio per utente,
considerata una media europea di 187 euro, da noi è ferma a 153 con una perdita
del 3.4% nel 2011 e del 6.1% nel 2012. Gli investimenti nel settore delle
telecomunicazioni continuano a languire, scendendo del 2.3% nel 2011 e dello
0.6% nel 2012 (a livello europeo c’è stata invece una ripresa del 7.8%).
Se la cava bene la banda larga
mobile, che a gennaio ha visto una quota di partecipazione del 66.3%, il doppio
del 2011 e addirittura superiore alla media Ue del 61.1%. Ma ovviamente questo
non può bastare.
***
La situazione della Rete continua
a peggiorare nonostante l’Agenda digitale italiana abbia sottolineato come in
Italia il web abbia dato vita a 700mila posti di lavoro (il sestuplo rispetto a
un settore storico come il chimico) e nonostante la Confesercenti abbia
stimato che «ogni comunicazione burocratica con i metodi tradizionali costa
alla pubblica amministrazione 49 minuti di lavoro e 22 euro. Una email costa 2
euro, undici volte meno». Non c’è nulla da fare: la carta è ancora la sovrana
indiscussa dell’Italia. Una parlamentare rimasta anonima ha rivelato nel 2012 a «Libero» di ricevere
ogni anno «una marea di scatoloni. Ne apro uno: centinaia di buste piccole, da
lettera, con l’intestazione Camera dei deputati, che troverò dappertutto. Ne
apro un altro: centinaia di buste di media grandezza. Un altro ancora: bustoni
formato A5. Ancora: un altro tipo di busta normale, meno pregiata. Guardo il
primo dei due armadi di cui è dotato il mio ufficio. Metà è già pieno. Continuo
ad aprire. […] Ecco i fogli di carta: risme formato lettera, formato letterina,
cartoncini, carta per fotocopie. L’armadio scoppia». Come se non bastasse, ogni
atto parlamentare, ddl, interrogazione, emendamento e ordine del giorno
continua ad essere stampato e consegnato ai vari organi parlamentari. Emanuele
Bellano di «Reportime» ha spiegato: «Sommando tutte le voci di bilancio la
cifra nel 2013 arriva a 6 milioni di euro, dentro ci sono 388mila euro per i
vari tipi di carta e per materiali di cancelleria, e 30mila euro solo per
consulenze su come stampare o rilegare i documenti. […] Ogni anno, mettere a
disposizione dei deputati copie cartacee di leggi, decreti ed emendamenti ci
costa oltre 5 milioni di euro». Fondandosi sui dati forniti da Montecitorio, si
può tranquillamente sostenere che la
Camera ha cestinato 1644 chilogrammi
di carta per ogni giorno di seduta, quasi tre chili di documenti per ogni
deputato.
E i governi cosa ne pensano?
Berlusconi, superato il periodo in cui dichiarava spavaldamente: «Io di
internet a casa non ho bisogno. Ho il mio internet umano, che è Gianni Letta»,
propugnò le famose tre «i» (inglese, imprese, internet), finite ahimé nel
dimenticatoio. Ma avvicinandosi nel tempo apprendiamo che il premier Renzi
(quello fissato con twitter e con la mania di stare al passo coi tempi) aveva
annunciato in pompa magna al forum Digital Venice d’inizio luglio 2014 che
tecnologia e innovazione sarebbero stati i pilastri del semestre di presidenza
italiana dell’Ue, e il ministro Padoan aveva lanciato un messaggio analogo
davanti alla commissione Affari economici del Parlamento europeo. Nonostante le
sollecitazioni europee (l’ultima nel 2013) d’investire nella banda larga e
nonostante gli obiettivi che i governi si sono dati (obiettivi contenuti
nell’Agenda digitale e nel programma «Europa 2020»), a parte un uso smodato del
social network non abbiamo visto un bel nulla. Anzi, il decreto
«sblocca-Italia» prevede una limitazione degli aiuti per l’estensione della
banda larga. Andiamo bene.
Nessun commento:
Posta un commento