Inutile girarci intorno: il
Mezzogiorno vive in una situazione catastrofica. La disoccupazione ormai
riguarda più della metà dei giovani, la povertà sta umiliando sempre più
famiglie, le infrastrutture sono totalmente assenti, i servizi (pagati un
occhio nella testa dai contribuenti onesti) sono a livelli indecenti, la
giustizia non esiste, scuola e università espletano maldestramente le loro
mansioni, la classe politica nazionale e locale usa i pochi soldi a
disposizione per soddisfare i propri interessi, la criminalità, la corruzione,
l’evasione fiscale, la disaffezione verso lo Stato sono un fenomeno ormai
inarrestabile. Per risollevare il meridione occorrerebbe un miracolo: o si
prega San Gennaro (ma finora i suoi risultati sono stati assai grami) oppure la
soluzione più logica è quella di un colpo di fianchi che coinvolga l’intera
cittadinanza di quelle regioni. Sono molti i meridionali onesti pronti a
rimboccarsi le maniche, a studiare la situazione senza pregiudizi e a sforzarsi
per migliorare le proprie condizioni. Ma sono ancora troppo pochi rispetto al
totale della popolazione: una popolazione che spesso, quando non è direttamente
complice della criminalità, preferisce sfogarsi su un capro espiatorio,
preferisce millantare complotti che investirebbero il Mezzogiorno, preferisce
trovare delle assurde ragioni storiche che starebbero a testimoniare come la
situazione del Sud-Italia non sia causata dalla disaffezione civica che si
trascina in molte frange della popolazione. E ovviamente chi prova a denunciare
la situazione disastrosa del meridione fa parte di quel complotto.
Sentite cosa diceva
l’ex-governatore della Sicilia Raffaele Lombardo in un’intervista al «Corriere
della Sera»: «Non è stato Garibaldi; è stato Ulisse. E il primo di una lunga
serie di scrittori che hanno umiliato la Sicilia è Omero. Polifemo era il povero
siciliano, un pecoraio che badava al gregge e vendeva il suo formaggio. Ulisse
arriva dal mare, sconfigge il gigante cattivo, lo acceca, lo lascia per morto,
e passa pure alla storia come il civilizzatore buono. Da lì comincia il
saccheggio della mia isola, troppo ricca per non attirare i predoni». Insomma,
la vicenda del viaggio di Ulisse è stata studiata appositamente da Omero per
portare discredito alla ricca e invidiata isola. Una congiura che si perpetua
da millenni a scapito del Mezzogiorno, e che arriva intatta ai giorni attuali:
basta solo accennare un’ingiustizia che avviene nel meridione per essere
tacciati di invidia, malafede o ignoranza. L’Economist, esattamente come
l’Odissea, entra pienamente in questo piano strategico di denigrazione del
Mezzogiorno. Quando l’autorevole rivista definì la Sicilia «Terzo mondo
dell’Unione Europea», il governatore Totò Cuffaro replicò: «Siamo avvezzi ad
attacchi interessati» fondati solo su «mezze verità mischiate a una buona
quantità di luoghi comuni».
Ma il bello deve ancora venire:
dopo essersi dichiarato «sorpreso e amareggiato dal fatto che un autorevole
organo della stampa internazionale quale “The Economist” dia a intendere
all’opinione pubblica una superficiale e stereotipata elencazione di
problematiche che non da oggi affliggono la Sicilia », Cuffaro affermò senza remore: «Mi
chiedo quali interessi ci siano dietro queste analisi, giunte proprio in un
momento nel quale per una convergenza di fattori, non ultimo la nuova stabilità
politica, qualificati investitori internazionali guardano alla Sicilia come
concreto orizzonte della loro espansione», concludendo con una domanda retorica
degna di Giacobbo: «A chi interessa accreditare l’immagine di un’isola alla
deriva?». Quando, sempre l’Economist, pubblicò una vignetta satirica in cui il
Mezzogiorno veniva unito geograficamente alla Grecia in un’unica regione
chiamata «Bordello», Cuffaro diede il meglio di sé: «Sarà pure humour inglese
ma assomiglia tanto a un proclama violentemente antimeridionale. Evidentemente
il newsmagazine britannico, espressione tradizionale dei poteri forti, di
quella globalizzazione senz’anima che sta distruggendo l’economia mondiale
assieme alle radici storico-culturali dei territori, non conosce la storia». Ed
è a questo punto che il governatore si abbandona ad una disquisizione storica
talmente ornata da bufale e castronerie da far arrossire anche il più somaro
tra gli scolari: «Infatti il Sud, al tempo del Regno delle Due Sicilie, poteva
vantare un sistema industriale in grado di competere con quelli di Inghilterra
e Francia, e un’economia florida che fu depredata dopo l’Unità d’Italia, a cui
non furono estranee la massoneria e la finanza inglesi, con la spoliazione
delle cospicue riserve auree del Banco di Sicilia e di quello di Napoli a
favore delle esangui casse dei Savoia».
Un modo di pensare molto (troppo)
diffuso che a volte sfiora il senso del ridicolo. Prendiamo uno dei casi più
eclatanti: qualche anno fa la stampa nazionale divulgò la notizia che a
Catanzaro l’esame di Stato per diventare avvocati si svolgeva in un clima assai
bizzarro. Bizzarro sì, ma rinomato in tutt’Italia, visto che ogni anno il
capoluogo calabrese veniva assalito da un’orda di aspiranti legali. Se infatti
in alcune zone d’Italia la percentuale di respinti arriva a sfiorare il 94%,
nel 2000 la Calabria
sfornava avvocati tanti quanto Liguria, Umbria, Molise, Veneto, Piemonte, Val
d’Aosta, Trentino Alto-Adige, Emilia-Romagna e Sardegna messi insieme. La
tecnica per ottenere questi risultati è una delle più elementari nel mondo
della scuola: il dettato. Ha spiegato una candidata: «Come volete che sia
andata? Entra un commissario e fa: “Scrivete”. E comincia a dettare il tema.
Già bello e fatto. Piano piano. Con pazienza. Per dare modo a tutti di non
perdere il filo». La lettura dei temi non lascia spazio a dubbi: sono tutti
uguali. Vista la ridicola e incresciosa situazione, al posto di nascondersi in
un imbarazzato silenzio, il Consiglio del locale Ordine degli Avvocati ha
pensato bene di gridare al complotto, d’inveire contro «la ferocia demolitrice
con cui in questi ultimi giorni la stampa, la radio e la televisione hanno
aggredito tutta la città di Catanzaro indicando al pubblico ludibrio una
categoria professionale, quella degli avvocati dell’intera provincia, ben nota
in campo nazionale per le sue indiscusse capacità, probità, signorilità […] Con
inutile e gratuita ironia si critica la larghezza delle promozioni […]
specularmene non può non farsi a meno di criticare la ristrettezza di molte
commissioni, specie del Nord […]» e via di questo passo. Ovviamente non manca
il riferimento all’«assoluta correttezza e rigore» che accompagnerebbero questi
esami. E questo è niente. Sempre su questa vicenda il quotidiano «Il Domani»
arrivò a sparare il titolo: «Si è voluto creare un caso!», corredato da un
occhiello che asseriva indignato: «Noti professionisti manifestano stupore per
i toni scandalistici che ha assunto la vicenda» e (la parte più tragicomica) da
un prodigioso contenuto dell’articolo in cui ci si scagliava contro «la
prontezza con la quale il “Corriere della Sera” ha, ancora una volta, messo in
risalto un possibile aspetto negativo della nostra regione […] Noi calabresi
siamo un po’ permalosi e restiamo dell’idea che i settentrionali tendano, forse
inconsapevolmente, a evidenziare i nostri “difetti” piuttosto che i nostri
“pregi”», concludendo con una frase degna di essere incorniciata: «La “truffa”
scoperta a Catanzaro fa quasi ridere rispetto alle sublimi porcherie svelate
dall’inchiesta Mani pulite!».
Il complotto nordista è una
piovra silenziosa i cui tentacoli sono arrivati ad occupare tutti i gangli
della vita nazionale (e non solo), dall’epica classica ai mezzi d’informazione
arrivando fino…al campionato di calcio. Come dimenticare quella volta in cui
Clemente Mastella (era il 1996) proclamò furioso: «Quest’anno l’unica società
meridionale presente nel maggiore campionato è il Napoli. È una palese ed
evidente ingiustizia di fatto […] A me interessa porre un problema che esiste e
che appare lesivo della dignità di tanti sportivi meridionali»? Non si trattava
di uno sfogo momentaneo; in un’altra occasione, con un impeto uguale e opposto
rispetto al nordismo di Umberto Bossi, invocò una «ribellione del Sud»
affermando: «Questi del Nord ci vogliono sotterrare, ci vogliono umiliati e
servi. Dai cento lire all’Irpinia ed è scandalo, copri d’oro il Trentino e la Valle d’Aosta ed è tutto
giusto». Sempre colpa del Nord, ovviamente. Il Nord avido e rosicone che vuole
depredare il Mezzogiorno per pura invidia. Solo persone dall’elevata caratura
morale e dall’elevatissimo amore per il suo territorio come Giuseppe Scopelliti
cercano in tutti i modi di frenare questo fenomeno! Sentite cosa affermò quando
alcune statue antiche vennero prese in prestito dai musei di Mazara del Vallo e
Reggio Calabria per esporle provvisoriamente all’interno di una mostra allestita
a Monza: «È un vero e proprio saccheggio quello che si sta perpetrando ai danni
delle bellezze e delle ricchezze della nostra terra!».
Il Mezzogiorno, se vuole trovare
una via d’uscita alla sua situazione, deve innanzitutto abbandonare queste
manie di persecuzione che arrivano a sfociare spesso e volentieri in un complottismo
delirante. Il Nord ha le sue grane, è preda di numerose nefandezze e non è di
certo esente dall’ottuso vittimismo furbescamente cavalcato dai leghisti. Ma
tutto ciò non può fornire un alibi per la situazione disastrosa che sta vivendo
il Mezzogiorno, né tantomeno basta a dimostrare una superiorità civile e morale
del Sud rispetto al Nord. Come ha spiegato l’imprenditore Santo Versace: «Il
vittimismo va maledetto. Impedisce al Mezzogiorno di esprimere tutte le sue
potenzialità. Cercare rifugio nel vittimismo serve a raccontare a se stessi una
cosa falsa: noi potremmo essere un’altra cosa, sono gli altri che non ci
consentono di esprimerci. E lì vanno a saldarsi anche la cattiva politica e la
‘ndrangheta». La conclusione migliore a questo pezzo la fornisce però un’altra
figura di spicco della società meridionale, Curzio Malaparte: «La peggior forma
di patriottismo è quella di chiudere gli occhi davanti alla realtà, e di
spalancare la bocca in inni e in ipocriti elogi, che a null’altro servono se
non a nascondere a sé e agli altri i mali vivi e reali. Né vale la scusa che i
panni sporchi si lavano in famiglia. Vilissima scusa: un popolo sano e libero,
se ama la pulizia, i panni sporchi se li lava in piazza».
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