mercoledì 1 ottobre 2014

Tutta colpa di Polifemo



Inutile girarci intorno: il Mezzogiorno vive in una situazione catastrofica. La disoccupazione ormai riguarda più della metà dei giovani, la povertà sta umiliando sempre più famiglie, le infrastrutture sono totalmente assenti, i servizi (pagati un occhio nella testa dai contribuenti onesti) sono a livelli indecenti, la giustizia non esiste, scuola e università espletano maldestramente le loro mansioni, la classe politica nazionale e locale usa i pochi soldi a disposizione per soddisfare i propri interessi, la criminalità, la corruzione, l’evasione fiscale, la disaffezione verso lo Stato sono un fenomeno ormai inarrestabile. Per risollevare il meridione occorrerebbe un miracolo: o si prega San Gennaro (ma finora i suoi risultati sono stati assai grami) oppure la soluzione più logica è quella di un colpo di fianchi che coinvolga l’intera cittadinanza di quelle regioni. Sono molti i meridionali onesti pronti a rimboccarsi le maniche, a studiare la situazione senza pregiudizi e a sforzarsi per migliorare le proprie condizioni. Ma sono ancora troppo pochi rispetto al totale della popolazione: una popolazione che spesso, quando non è direttamente complice della criminalità, preferisce sfogarsi su un capro espiatorio, preferisce millantare complotti che investirebbero il Mezzogiorno, preferisce trovare delle assurde ragioni storiche che starebbero a testimoniare come la situazione del Sud-Italia non sia causata dalla disaffezione civica che si trascina in molte frange della popolazione. E ovviamente chi prova a denunciare la situazione disastrosa del meridione fa parte di quel complotto.
Sentite cosa diceva l’ex-governatore della Sicilia Raffaele Lombardo in un’intervista al «Corriere della Sera»: «Non è stato Garibaldi; è stato Ulisse. E il primo di una lunga serie di scrittori che hanno umiliato la Sicilia è Omero. Polifemo era il povero siciliano, un pecoraio che badava al gregge e vendeva il suo formaggio. Ulisse arriva dal mare, sconfigge il gigante cattivo, lo acceca, lo lascia per morto, e passa pure alla storia come il civilizzatore buono. Da lì comincia il saccheggio della mia isola, troppo ricca per non attirare i predoni». Insomma, la vicenda del viaggio di Ulisse è stata studiata appositamente da Omero per portare discredito alla ricca e invidiata isola. Una congiura che si perpetua da millenni a scapito del Mezzogiorno, e che arriva intatta ai giorni attuali: basta solo accennare un’ingiustizia che avviene nel meridione per essere tacciati di invidia, malafede o ignoranza. L’Economist, esattamente come l’Odissea, entra pienamente in questo piano strategico di denigrazione del Mezzogiorno. Quando l’autorevole rivista definì la Sicilia «Terzo mondo dell’Unione Europea», il governatore Totò Cuffaro replicò: «Siamo avvezzi ad attacchi interessati» fondati solo su «mezze verità mischiate a una buona quantità di luoghi comuni».
Ma il bello deve ancora venire: dopo essersi dichiarato «sorpreso e amareggiato dal fatto che un autorevole organo della stampa internazionale quale “The Economist” dia a intendere all’opinione pubblica una superficiale e stereotipata elencazione di problematiche che non da oggi affliggono la Sicilia», Cuffaro affermò senza remore: «Mi chiedo quali interessi ci siano dietro queste analisi, giunte proprio in un momento nel quale per una convergenza di fattori, non ultimo la nuova stabilità politica, qualificati investitori internazionali guardano alla Sicilia come concreto orizzonte della loro espansione», concludendo con una domanda retorica degna di Giacobbo: «A chi interessa accreditare l’immagine di un’isola alla deriva?». Quando, sempre l’Economist, pubblicò una vignetta satirica in cui il Mezzogiorno veniva unito geograficamente alla Grecia in un’unica regione chiamata «Bordello», Cuffaro diede il meglio di sé: «Sarà pure humour inglese ma assomiglia tanto a un proclama violentemente antimeridionale. Evidentemente il newsmagazine britannico, espressione tradizionale dei poteri forti, di quella globalizzazione senz’anima che sta distruggendo l’economia mondiale assieme alle radici storico-culturali dei territori, non conosce la storia». Ed è a questo punto che il governatore si abbandona ad una disquisizione storica talmente ornata da bufale e castronerie da far arrossire anche il più somaro tra gli scolari: «Infatti il Sud, al tempo del Regno delle Due Sicilie, poteva vantare un sistema industriale in grado di competere con quelli di Inghilterra e Francia, e un’economia florida che fu depredata dopo l’Unità d’Italia, a cui non furono estranee la massoneria e la finanza inglesi, con la spoliazione delle cospicue riserve auree del Banco di Sicilia e di quello di Napoli a favore delle esangui casse dei Savoia».
Un modo di pensare molto (troppo) diffuso che a volte sfiora il senso del ridicolo. Prendiamo uno dei casi più eclatanti: qualche anno fa la stampa nazionale divulgò la notizia che a Catanzaro l’esame di Stato per diventare avvocati si svolgeva in un clima assai bizzarro. Bizzarro sì, ma rinomato in tutt’Italia, visto che ogni anno il capoluogo calabrese veniva assalito da un’orda di aspiranti legali. Se infatti in alcune zone d’Italia la percentuale di respinti arriva a sfiorare il 94%, nel 2000 la Calabria sfornava avvocati tanti quanto Liguria, Umbria, Molise, Veneto, Piemonte, Val d’Aosta, Trentino Alto-Adige, Emilia-Romagna e Sardegna messi insieme. La tecnica per ottenere questi risultati è una delle più elementari nel mondo della scuola: il dettato. Ha spiegato una candidata: «Come volete che sia andata? Entra un commissario e fa: “Scrivete”. E comincia a dettare il tema. Già bello e fatto. Piano piano. Con pazienza. Per dare modo a tutti di non perdere il filo». La lettura dei temi non lascia spazio a dubbi: sono tutti uguali. Vista la ridicola e incresciosa situazione, al posto di nascondersi in un imbarazzato silenzio, il Consiglio del locale Ordine degli Avvocati ha pensato bene di gridare al complotto, d’inveire contro «la ferocia demolitrice con cui in questi ultimi giorni la stampa, la radio e la televisione hanno aggredito tutta la città di Catanzaro indicando al pubblico ludibrio una categoria professionale, quella degli avvocati dell’intera provincia, ben nota in campo nazionale per le sue indiscusse capacità, probità, signorilità […] Con inutile e gratuita ironia si critica la larghezza delle promozioni […] specularmene non può non farsi a meno di criticare la ristrettezza di molte commissioni, specie del Nord […]» e via di questo passo. Ovviamente non manca il riferimento all’«assoluta correttezza e rigore» che accompagnerebbero questi esami. E questo è niente. Sempre su questa vicenda il quotidiano «Il Domani» arrivò a sparare il titolo: «Si è voluto creare un caso!», corredato da un occhiello che asseriva indignato: «Noti professionisti manifestano stupore per i toni scandalistici che ha assunto la vicenda» e (la parte più tragicomica) da un prodigioso contenuto dell’articolo in cui ci si scagliava contro «la prontezza con la quale il “Corriere della Sera” ha, ancora una volta, messo in risalto un possibile aspetto negativo della nostra regione […] Noi calabresi siamo un po’ permalosi e restiamo dell’idea che i settentrionali tendano, forse inconsapevolmente, a evidenziare i nostri “difetti” piuttosto che i nostri “pregi”», concludendo con una frase degna di essere incorniciata: «La “truffa” scoperta a Catanzaro fa quasi ridere rispetto alle sublimi porcherie svelate dall’inchiesta Mani pulite!».
Il complotto nordista è una piovra silenziosa i cui tentacoli sono arrivati ad occupare tutti i gangli della vita nazionale (e non solo), dall’epica classica ai mezzi d’informazione arrivando fino…al campionato di calcio. Come dimenticare quella volta in cui Clemente Mastella (era il 1996) proclamò furioso: «Quest’anno l’unica società meridionale presente nel maggiore campionato è il Napoli. È una palese ed evidente ingiustizia di fatto […] A me interessa porre un problema che esiste e che appare lesivo della dignità di tanti sportivi meridionali»? Non si trattava di uno sfogo momentaneo; in un’altra occasione, con un impeto uguale e opposto rispetto al nordismo di Umberto Bossi, invocò una «ribellione del Sud» affermando: «Questi del Nord ci vogliono sotterrare, ci vogliono umiliati e servi. Dai cento lire all’Irpinia ed è scandalo, copri d’oro il Trentino e la Valle d’Aosta ed è tutto giusto». Sempre colpa del Nord, ovviamente. Il Nord avido e rosicone che vuole depredare il Mezzogiorno per pura invidia. Solo persone dall’elevata caratura morale e dall’elevatissimo amore per il suo territorio come Giuseppe Scopelliti cercano in tutti i modi di frenare questo fenomeno! Sentite cosa affermò quando alcune statue antiche vennero prese in prestito dai musei di Mazara del Vallo e Reggio Calabria per esporle provvisoriamente all’interno di una mostra allestita a Monza: «È un vero e proprio saccheggio quello che si sta perpetrando ai danni delle bellezze e delle ricchezze della nostra terra!».
Il Mezzogiorno, se vuole trovare una via d’uscita alla sua situazione, deve innanzitutto abbandonare queste manie di persecuzione che arrivano a sfociare spesso e volentieri in un complottismo delirante. Il Nord ha le sue grane, è preda di numerose nefandezze e non è di certo esente dall’ottuso vittimismo furbescamente cavalcato dai leghisti. Ma tutto ciò non può fornire un alibi per la situazione disastrosa che sta vivendo il Mezzogiorno, né tantomeno basta a dimostrare una superiorità civile e morale del Sud rispetto al Nord. Come ha spiegato l’imprenditore Santo Versace: «Il vittimismo va maledetto. Impedisce al Mezzogiorno di esprimere tutte le sue potenzialità. Cercare rifugio nel vittimismo serve a raccontare a se stessi una cosa falsa: noi potremmo essere un’altra cosa, sono gli altri che non ci consentono di esprimerci. E lì vanno a saldarsi anche la cattiva politica e la ‘ndrangheta». La conclusione migliore a questo pezzo la fornisce però un’altra figura di spicco della società meridionale, Curzio Malaparte: «La peggior forma di patriottismo è quella di chiudere gli occhi davanti alla realtà, e di spalancare la bocca in inni e in ipocriti elogi, che a null’altro servono se non a nascondere a sé e agli altri i mali vivi e reali. Né vale la scusa che i panni sporchi si lavano in famiglia. Vilissima scusa: un popolo sano e libero, se ama la pulizia, i panni sporchi se li lava in piazza».

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