Già agli albori degli studi in
materia costituzionale si era appurato che
«la teoria dell’elezione altro non è
che la teoria della Costituzione…In uno Stato retto a forma rappresentativa [la
legge elettorale, ndr.] ha importanza non minore delle norme fondamentali dello
Statuto medesimo» (da G. D. Romagnosi, «La scienza delle Costituzioni», 1848,
IV, 1934, pag.90)
di conseguenza sarebbe illogico oltre che ingiusto condurre
un’analisi complessiva sull’attuale riforma della Carta Costituzionale senza
osservare la torsione del verdetto democratico messa nero su bianco nel testo
dell’Italicum. Di vera e propria torsione si tratta dal momento in cui lo scopo
evidente è quello di garantire ad un unico partito la maggioranza assoluta dei
seggi alla Camera a
tutto scapito di una volontà dei cittadini resa sempre più
ininfluente da dosi massicce di premi di maggioranza, soglie di sbarramento e
liste bloccate; giungendo peraltro in tal modo a delle contraddizioni le quali
ad un freddo sguardo clinico assumono le sembianze d’inutili congegni dettati
solamente dal semplice gusto di comprimere il più possibile la partecipazione
pubblica. Pensiamo ad esempio alla compresenza del premio di maggioranza-
affibbiato qualunque sia il risultato elettorale- e di soglie di sbarramento
per l’accesso in Parlamento: uno strumento, quest’ultimo, totalmente vano anche
nella più convinta retorica maggioritaria visto che l’ottenimento di
maggioranze stabili (solo sulla carta) è già formalmente garantito dall’applicazione
del premio. E difatti nella nazione maggioritaria per eccellenza, il Regno
Unito, la Camera dei Comuni vede tra i suoi membri anche parlamentari eletti
con poche migliaia di voti senza che nessuno ne accusi le conseguenze
destabilizzanti. Parliamo di un Paese, del resto, la cui scelta dell’assetto
istituzionale è scaturita dal quadro (finora) irremovibilmente bipartitico del
contesto elettorale: detto in soldoni, si è optato per una legge che si confacesse
il più possibile al dettame dei cittadini, non si è cercato d’imporre
forzosamente un quadro partitico come gli ideatori dell’Italicum confessano
candidamente di voler fare (si veda R. D’Alimonte, «Così il sistema di voto porterà al bipartitismo» sul «Sole 24Ore» del 19/04/2015) tramite un testo che ormai viene oramai unanimemente considerato inedito
nelle democrazie d’avanguardia (a partire dal nome che gli è stato etichettato,
ma si veda anche R. D’Alimonte, «Con il premio alla lista sistema migliore di quello francese» sul «Sole 24Ore» del 31/03/2015 oppure «La lezione inglese» sul «Sole 24Ore» del 09/05/2015) a partire dall’inserimento di un doppio turno di lista che non conosce eguali
di alcun tipo e la cui applicazione non è altro che un metodo truffaldino per
garantire il premio di maggioranza a formazioni politiche anche dotate
d’irrisorio radicamento nell’elettorato- la percentuale di voti risulta infatti
distorsiva sia a causa della forzosa presenza nel secondo turno di due sole
liste, sia a causa del fondato rischio (visti peraltro i precedenti dei doppi
turni amministrativi) di bassa affluenza ai ballottaggi- riuscendo
maldestramente nell’intento di circuire la raccomandazione della Consulta
(dettata per di più dai più banali rudimenti democratici) secondo cui è
inaccettabile una legge elettorale che garantisca molti seggi a seguito di
pochi voti.
L'Italicum secondo il "Corriere della Sera" del 12/11/2014 |
Il sistema delle soglie di sbarramento dell'Italicum da uno schema estrapolato dal sito della Camera dei Deputati |
Per carità, il doppio turno (specie
se con premio di maggioranza) in sé è una pratica legittima e perfettamente
democratica: peccato solo che questo sistema viene applicato esclusivamente nei
casi di cariche monocratiche, con particolare riguardo per i casi di governo
del Primo ministro; a suo modo è ciò che avviene anche in Italia nel caso di
alcuni sindaci e governatori, con la differenza però che mentre
«a livello
nazionale ci si confronta con una forma di governo parlamentare, a livello
locale e regionale la composizione dell’organo consiliare è collegata
all’elezione diretta del vertice dell’esecutivo» (da F. Biondi, «Il premio di
maggioranza dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014»)
e
oltretutto gli organi amministrativi non si trovano al cospetto di
responsabilità fondamentali quali il ruolo della magistratura e del Capo dello
Stato. Proprio quest’ultimo è l’aspetto più pericoloso del cocktail tra
Italicum e depotenziamento del Senato in quanto suscita il fondato rischio di
mettere nelle mani del solo Presidente del Consiglio- peraltro non eletto e
appoggiato da una maggioranza non corrispondente alla volontà popolare- la
scelta del Presidente della Repubblica (a sua volta elettore di un terzo della
Consulta), di tre membri della Corte Costituzionale, delle Autorità
indipendenti, del Presidente della Camera, di un terzo dei membri laici del
Consiglio Superiore della Magistratura e (in caso di controllo di un terzo del
Senato riformato) nientemeno che della possibilità di riformare la Costituzione
a propria indiscussa discrezione. Uno sconcertante «modello italiano di
governo» (per usare le parole di R. D’Alimonte, da «Con il premio alla lista
governi più coesi» sul «Sole 24Ore» del 28/01/2015) che a detta dei suoi stessi
aedi provoca l’introduzione di fatto del premierato fondato sull’investitura
plebiscitaria del Primo ministro (da T.E. Frosini, «Rappresentanza+Governabilità=Italicum», audizione presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera sulla legge elettorale, 15/04/2015, in www.confronticostituzionali.eu, 12/05/2015).
Il doppio turno dell'Italicum, dal sito della Camera dei Deputati |
Ovviamente, a tutto ciò si
aggiunge la celeberrima (ma forse sopravvalutata) ciliegina sulla torta costituita dall’impossibilità da parte del cittadino di
scegliere (ma anche di conoscere, vista la possibilità di pluricandidature) i
parlamentari, specie per quanto concerne gli elettori delle liste escluse dal
premio di maggioranza. Una situazione ove non solo si garantisce al segretario
un ulteriore potere incontrollato sulla composizione delle Camere, ma in palese
contrasto con il dettame costituzionale che prescriverebbe un voto libero (cosa
che non avviene in caso di scarso consenso verso il capolista bloccato) ed
eguale (condizione non prevista né tra gli elettori visto che quelli che non
esprimono preferenze o optano per il capolista sono più avvantaggiati, né tra i
candidati visto che il capolista assume un ruolo privilegiato).
Riassunto dell'Italicum, dal "Corriere della Sera" del 05/05/2015 |
I sistemi istituzionali possono
dare una mano, ma da soli non sono determinanti né se s’intende favorire la
partecipazione (ma lo scopo delle riforme in atto è l’esatto opposto), né se si
vuole garantire maggiore longevità ai governi. Nell’ottenimento dell’uno e dell’altro
il discorso va invece focalizzato sulle strutture di partecipazione e
coordinamento delle istanze dei cittadini, a partire dal ruolo e dalla funzione
dei partiti politici. Come si spiega, ad esempio, che nazioni come Spagna e
Germania riescono ad avere esecutivi stabili pur disponendo di una legge
elettorale tipicamente proporzionale mentre le Camere elette con l’abnorme
premio del Porcellum si sono distinte per frammentarietà? (si veda
«Rappresentare e governare», di O. Massari e G. Pasquino, ed.1994). E come si
spiega egualmente che nella Prima Repubblica dominata dal proporzionale
sussistevano non più di sette partiti mentre nella Seconda Repubblica (in cui
furono incamminati alcuni passi verso il maggioritario) per contare il numero
delle formazioni politiche si rischia l’emicrania?
Già in sede costituente questo
dibattito era affiorato, peraltro consentendo a personaggi (democristiani e
sensibili al tema della governabilità) come Costantino Mortati di esprimersi
affermando quanto sia
«inutile affannarsi a creare congegni tecnici per
ottenere maggiore stabilità di governo, se prima non si tengono presenti gli
elementi politico-sociali che sono necessari per dare a questa stabilità una
effettiva realizzazione».
Concetto ribadito dal comunista Giorgio Amendola:
«Noi non abbiamo bisogno di questi congegni in Italia perché i partiti
garantiscono al di sopra di tutto. Se c’è la necessaria volontà politica la
maggioranza è forte; senza la necessaria volontà politica la maggioranza è
inevitabilmente debole. E la necessaria volontà politica dipende dai partiti.
Sono i partiti perciò la garanzia e nessun congegno costituzionale ne può
sostituire il ruolo essenziale».
Solo acquisendo questa logica si
comprendono quelli che a primo acchito appaiono gli straordinari poteri di cui
gode il Primo ministro inglese, in realtà perennemente a rischio di sfiducia da
parte del proprio partito (è la sorte a cui sono andati incontro anche premier
proverbialmente decisionisti come Blair e la Thatcher). In Italia siede soprattutto
nella deformazione autoritaria e personalistica delle formazioni politiche la
ferita più sanguinante della tenuta democratica, un modello che ben lungi
dall’essere accantonato inaugurando nuovi spazi che favoriscano la
partecipazione a discapito della delega s’intende trasferirlo in toto persino
nei più nevralgici organi di garanzia costituzionale dando luogo ad artificiose
«maggioranze senza popolo» (da G. Azzariti, «Dopo la decisione della Corte costituzionale sulla legge elettorale. “Blowin’ in the wind”», pubblicato su costituzionalismo.it il 10/12/2013).
Il padre costituente Giorgio Amendola |
Nell’attesa di una riforma
interna dei partiti- o della nascita di nuovi aggregati- avente come
protagonista l’autentico coinvolgimento democratico, sarebbe possibile già da
ora attuare qualche dispositivo che, all’apparenza ininfluente, potrebbe
confluire verso questa direzione: si potrebbe aprire ai cittadini il tribunale
costituzionale (come avviene in Spagna e in Germania; si veda M. Ainis sul «Corriere della Sera» dell’11/03/2015), oppure legare il numero e le competenze
del Parlamento all’affluenza al voto (un’ipotesi non così assurda: nell’Austria
degli anni Settanta e nella Germania pre-hitleriana si guadagnava un seggio
ogni 60mila voti validi, si veda M. Ainis sul «Corriere della Sera» del 18/06/2015), oppure rafforzare la pratica referendaria. Quello degli spazi
democratici è il bisogno più impellente per qualsiasi democrazia.
Altro riepilogo dell'Italicum, dal "Corriere della Sera" del 14/09/2015 |
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