martedì 20 ottobre 2015

Gli evasori ringraziano

Sebbene l’impresa sia ardua, trovare un senso logico alle disposizioni adottate dalla legge di Stabilità soprattutto in materia di liberalizzazione del contante è non solo possibile, ma a voler sommare la beffa al danno lo si può rintracciare nel sito web del Partito Democratico.
Trattasi di uno studio commissionato nel 2011 all’istituto di ricerca Swg per tastare il polso della galassia dei lavoratori autonomi: il risultato, pubblicato sul documento «Indagine sul lavoro autonomo in Italia: artigiani e commercianti», dimostra con ineguagliabile evidenza l’acuta profondità del dissapore di queste categorie nei confronti delle istituzioni pubbliche segnalando a pagina 23 che l’86% degli artigiani e il 78% dei commercianti vede nel fisco il nemico più odioso.

Il rapporto conflittuale tra fisco e lavoro autonomo in uno studio commissionato dal Pd


Se esistessero partiti politici dotati di organizzazione, autorevolezza e credibilità tra le priorità
divulgative vedrebbe quella di fornire ai cittadini gli strumenti per comprendere l’indissolubile legame tra evasione e pressione fiscale, sfatando in tal modo l’interessato bombardamento mediatico – storicamente infondato – incline a vedere nel rimedio (la lotta all’evasione) la causa della sbalorditiva infedeltà fiscale registrata nel Paese. Equivoco non privo di situazioni grottesche, come quella che proprio nei giorni in cui un editoriale di Piero Ostellino sul «Corriere della Sera» si scagliava contro il «terrorismo fiscale» e la presunta «cultura becera e totalitaria» applicata nei riguardi degli evasori (da P. Ostellino, «Caccia all’evasore (ma senza terrorismi)» sul «Corriere della Sera» del 15/10/2011) la Corte dei Conti avrebbe fatto notare che «nel consuntivo 2012 l’andamento della riscossione segnala un preoccupante indebolimento» (da Corte dei Conti, «Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica», maggio 2013, pag.20).

Se non prevalesse l’ottusità demagogica fondata sul fatto che

«in alcune campagne elettorali le differenze di punti di vista e programmi, ma soprattutto di slogan e di obiettivi propagandistici, tra i due schieramenti (centrodestra e centrosinistra) in materia fiscale sono state determinanti degli esiti finali del voto» (da A. Santoro in «L’evasione fiscale», ed.Il Mulino)

sarebbe stata possibile già da tempo un’articolata discussione con l’ausilio di approfonditi studi uno dei quali afferma che anche qualora le aliquote fiscali venissero portate ai livelli della Spagna i risultati sortiti sul fronte dell’evasione sarebbero deludenti: non solo l’economia sommersa rimarrebbe impiantata sulla soglia del 16% in confronto al Pil, non solo l’incasso previsto si limiterebbe a 16 miliardi, ma

«si avrebbe una riduzione cospicua di gettito effettivo, perché la diretta riduzione delle aliquote legali sui contribuenti in regola farebbe calare l’imposta pagata da questi ultimi. E tale riduzione supererebbe il maggior gettito derivante dalla minor imposta evasa» (da Confcommercio, «Una nota sulle determinanti dell’economia sommersa», maggio 2012, pag.21).

Per il momento non è data sapere la posizione dell’esecutivo in tema di evasione (argomento assai sporadicamente affrontato nei discorsi ufficiali), di sicuro sappiamo soltanto che del suo contrasto si farebbe volentieri a meno: rendendo ancora più libera la fruizione del contante – peraltro esentasse al contrario di quanto avviene col bollo applicato ad assegni e conti correnti – non si fa altro che andare in perfetta controtendenza rispetto a quanto caldamente
Padoan, il ministro che nel giro di pochi anni
ha bruscamente invertito la sua opinione sul contante
raccomandato
, per esempio, dalla Corte dei Conti la quale in varie occasioni (ad esempio «Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica», pag.23) non solo aveva individuato nella stretta all’uso del contante tra le operazioni più efficaci per contrastare il sommerso, ma affermando che «è intuibile come la gran parte delle transazioni che possono dar luogo all’occultamento dei ricavi si addensi al di sotto della soglia dei mille euro» (da Corte dei Conti, «Valutazioni sul fenomeno dell’evasione fiscale e sul sistema informativo dell’anagrafe tributaria ai fini del suo rapporto», luglio 2012, pag.8) riteneva addirittura troppo generoso il limite ora considerato dalla vulgata governativa un vincolo asfissiante. A generare la premura dei magistrati contabili era la constatazione di un contesto sociale ove - a prescindere da un rapporto Eurispes che fa ammontare addirittura a 529 miliardi il valore dell’economia sommersa - secondo praticamente tutti gli indicatori vede una paurosa galassia dell’economia in nero oscillante tra il 17 e il 21% del Pil (cioè tra 270 e 340 miliardi secondo i dati 2012 rilevati dallo Stratfor Global Intelligence) garantendoci una medaglia di bronzo, dopo Grecia e Messico, tra i paesi con maggior economia sommersa tra le nazioni Ocse (da F. Schneider, A. Buhen e C.E. Montenegro, «Shadow Economies All over the World. New Estimates for 162 Countries from 1999 to 2007», The World Bank, Development Research Group, WP n.5356, Washington 2010, soprattutto pag.24). 

Come si colloca l'Italia nella classifica dell'economia sommersa tra i Paesi Ocse


Che questa montagna di denaro si nutra esclusivamente del contante non è solo logico, ma anche dimostrato in sede di studi se è vero da un lato che il nostro Paese adopera il contante per l’82,7% delle transazioni contro una media Ue del 66,6% (si veda Banca d’Italia, «Il costo sociale degli strumenti di pagamento in Italia», novembre 2012, pag.36) e dall’altro che

«Grecia e Italia sono i paesi europei che mostrano i prelievi di contanti di importo medio più elevato (rispettivamente 250 e 175 euro), e contestualmente hanno la più alta incidenza dell’economia sommersa sul Pil» (da C. Milani, economista del Centro Europa Ricerche, su «lavoce.info», 22/12/2011)

Sebbene secondo l’Istituto per la Competitività un’infima riduzione del prelievo di 15 euro agli sportelli del bancomat comporterebbe un maggior gettito di poco inferiore i dieci miliardi di euro (da Istituto per la Competitività, «Working Paper – un brillante futuro in pericolo. I benefici economici e sociali della moneta elettronica e i paradossi della regolazione», pag.18), i vantaggi derivati da un minor utilizzo del denaro frusciante non si limitano alla lotta al sommerso: secondo un rapporto Capgemini 2011 produzione e mantenimento del contante costituiscono per le casse dello Stato un costo di dieci miliardi di euro ogni anno (da S. Livadiotti, «L’Italia in nero», da «L’Espresso» del 26/09/2013) e uno studio Moody’s Analytics è arrivato alla conclusione che grazie alle carte di pagamento sono stati generati 983 miliardi di dollari di maggior crescita e due milioni di posti di lavoro a livello globale e nel solo periodo 2008-2012 (da Moody’s Analytics, «The Impact of Electronic Payments on Economic Growth», febbraio 2013, pag.3). 

I vantaggi in termini di gettito del minor ricorso ai prelievi di contante

Su quest’ultimo versante, anche l’Italia può vantare un’effimera esperienza: grazie al decreto legge 04/07/2006 n.223 del governo Prodi, l’obbligo del pagamento tracciato per i lavoratori autonomi e la fissazione di un limite al pagamento di compensi in contante sotto i 100 euro provocarono un andamento del Pil che per il 2006 registrò un +3,94% e per il 2007 un +4,09%. Inoltre, l’imposta sul reddito dichiarata dai lavoratori autonomi solamente il primo anno schizzò del 12,15%, con conseguenti mugugni che contribuirono non poco a spingere per un repentino cambio di governo grazie al quale – siamo nel 2008 e Berlusconi è tornato saldamente a Palazzo Chigi – queste misure furono celermente debellate facendo registrare un singolare crollo del gettito dei redditi da lavoro parte d’imprenditori e commercianti del 13,42% rispetto al 2007.



Da quel momento in poi, nessuna formazione politica di rilievo ha mostrato verso l’evasione fiscale l’attenzione meritata, lasciando solo a qualche studio indipendente la considerazione che

«si può affermare che a fronte di un universo di quasi cinque milioni di contribuenti che svolgono attività indipendenti e, come tali, a maggior rischio di evasione, il numero dei controlli approfonditi che l’Agenzia delle entrate, con l’ausilio della guardia di finanza, riesce a mettere in campo annualmente difficilmente supera quota 200 mila, dato questo che equivale a una probabilità di controllo approfondito ogni venti anni di attività» (da Corte dei Conti, «Elementi per l’audizione del Presidente della Corte dei Conti presso le Commissioni Bilancio V e Finanze VI della Camera dei Deputati», 19/06/2013, pag.9).


La millantata «svolta buona», qui come altrove, fatica non poco a trapelare. 

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