Sebbene l’impresa sia ardua,
trovare un senso logico alle disposizioni adottate dalla legge di Stabilità
soprattutto in materia di liberalizzazione del contante è non solo possibile,
ma a voler sommare la beffa al danno lo si può rintracciare nel sito web del
Partito Democratico.
Trattasi di uno studio
commissionato nel 2011 all’istituto di ricerca Swg per tastare il polso della
galassia dei lavoratori autonomi: il risultato, pubblicato sul documento «Indagine sul lavoro autonomo in Italia: artigiani e commercianti», dimostra con ineguagliabile evidenza l’acuta profondità del dissapore di
queste categorie nei confronti delle istituzioni pubbliche segnalando a pagina
23 che l’86% degli artigiani e il 78% dei commercianti vede nel fisco il nemico
più odioso.
Il rapporto conflittuale tra fisco e lavoro autonomo in uno studio commissionato dal Pd |
Se esistessero partiti politici
dotati di organizzazione, autorevolezza e credibilità tra le priorità
divulgative vedrebbe quella di fornire ai cittadini gli strumenti per
comprendere l’indissolubile legame tra evasione e pressione fiscale, sfatando
in tal modo l’interessato bombardamento mediatico – storicamente infondato –
incline a vedere nel rimedio (la lotta all’evasione) la causa della
sbalorditiva infedeltà fiscale registrata nel Paese. Equivoco non privo di
situazioni grottesche, come quella che proprio nei giorni in cui un editoriale
di Piero Ostellino sul «Corriere della Sera» si scagliava contro il «terrorismo
fiscale» e la presunta «cultura becera e totalitaria» applicata nei riguardi
degli evasori (da P. Ostellino, «Caccia all’evasore (ma senza terrorismi)» sul «Corriere della Sera» del 15/10/2011) la Corte dei Conti avrebbe fatto notare che «nel consuntivo 2012 l’andamento
della riscossione segnala un preoccupante indebolimento» (da Corte dei Conti, «Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica», maggio 2013, pag.20).
Se non prevalesse l’ottusità
demagogica fondata sul fatto che
«in alcune campagne elettorali le
differenze di punti di vista e programmi, ma soprattutto di slogan e di
obiettivi propagandistici, tra i due schieramenti (centrodestra e
centrosinistra) in materia fiscale sono state determinanti degli esiti finali
del voto» (da A. Santoro in «L’evasione fiscale», ed.Il Mulino)
sarebbe stata possibile già da
tempo un’articolata discussione con l’ausilio di approfonditi studi uno dei
quali afferma che anche qualora le aliquote fiscali venissero portate ai
livelli della Spagna i risultati sortiti sul fronte dell’evasione sarebbero
deludenti: non solo l’economia sommersa rimarrebbe impiantata sulla soglia del
16% in confronto al Pil, non solo l’incasso previsto si limiterebbe a 16
miliardi, ma
«si avrebbe una riduzione
cospicua di gettito effettivo, perché la diretta riduzione delle aliquote
legali sui contribuenti in regola farebbe calare l’imposta pagata da questi
ultimi. E tale riduzione supererebbe il maggior gettito derivante dalla minor
imposta evasa» (da Confcommercio, «Una nota sulle determinanti dell’economia sommersa», maggio 2012, pag.21).
Per il momento non è data sapere
la posizione dell’esecutivo in tema di evasione (argomento assai sporadicamente
affrontato nei discorsi ufficiali), di sicuro sappiamo soltanto che del suo
contrasto si farebbe volentieri a meno: rendendo ancora più libera la fruizione
del contante – peraltro esentasse al contrario di quanto avviene col bollo
applicato ad assegni e conti correnti – non si fa altro che andare in perfetta
controtendenza rispetto a quanto caldamente
raccomandato, per esempio, dalla
Corte dei Conti la quale in varie occasioni (ad esempio «Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica», pag.23)
non solo aveva individuato nella stretta all’uso del contante tra le operazioni
più efficaci per contrastare il sommerso, ma affermando che «è intuibile come
la gran parte delle transazioni che possono dar luogo all’occultamento dei
ricavi si addensi al di sotto della soglia dei mille euro» (da Corte dei Conti, «Valutazioni sul fenomeno dell’evasione fiscale e sul sistema informativo dell’anagrafe tributaria ai fini del suo rapporto», luglio 2012, pag.8) riteneva addirittura troppo generoso il limite ora considerato dalla vulgata
governativa un vincolo asfissiante. A generare la premura dei magistrati
contabili era la constatazione di un contesto sociale ove - a prescindere da un
rapporto Eurispes che fa ammontare addirittura a 529 miliardi il valore dell’economia sommersa -
secondo praticamente tutti gli indicatori vede una paurosa galassia dell’economia
in nero oscillante tra il 17 e il 21% del Pil (cioè tra 270 e 340 miliardi
secondo i dati 2012 rilevati dallo Stratfor Global Intelligence) garantendoci una medaglia di bronzo, dopo Grecia e Messico, tra i paesi con
maggior economia sommersa tra le nazioni Ocse (da F. Schneider, A. Buhen e C.E. Montenegro, «Shadow Economies All over the World. New Estimates for 162 Countries from 1999 to 2007», The World Bank, Development Research Group, WP n.5356, Washington 2010, soprattutto pag.24).
Padoan, il ministro che nel giro di pochi anni ha bruscamente invertito la sua opinione sul contante |
Come si colloca l'Italia nella classifica dell'economia sommersa tra i Paesi Ocse |
Che questa montagna di denaro si nutra esclusivamente del contante non è
solo logico, ma anche dimostrato in sede di studi se è vero da un lato che il
nostro Paese adopera il contante per l’82,7% delle transazioni contro una media
Ue del 66,6% (si veda Banca d’Italia, «Il costo sociale degli strumenti di pagamento in Italia», novembre 2012, pag.36)
e dall’altro che
«Grecia e Italia sono i paesi
europei che mostrano i prelievi di contanti di importo medio più elevato
(rispettivamente 250 e 175 euro), e contestualmente hanno la più alta incidenza
dell’economia sommersa sul Pil» (da C. Milani, economista del Centro Europa Ricerche, su «lavoce.info», 22/12/2011)
Sebbene secondo l’Istituto per la
Competitività un’infima riduzione del prelievo di 15 euro agli sportelli del
bancomat comporterebbe un maggior gettito di poco inferiore i dieci miliardi di
euro (da Istituto per la Competitività, «Working Paper – un brillante futuro in pericolo. I benefici economici e sociali della moneta elettronica e i paradossi della regolazione», pag.18), i vantaggi derivati da un minor utilizzo del denaro frusciante non si
limitano alla lotta al sommerso: secondo un rapporto Capgemini 2011 produzione
e mantenimento del contante costituiscono per le casse dello Stato un costo di
dieci miliardi di euro ogni anno (da S. Livadiotti, «L’Italia in nero», da «L’Espresso» del 26/09/2013)
e uno studio Moody’s Analytics è arrivato alla conclusione che grazie alle
carte di pagamento sono stati generati 983 miliardi di dollari di maggior
crescita e due milioni di posti di lavoro a livello globale e nel solo periodo
2008-2012 (da Moody’s Analytics, «The Impact of Electronic Payments on Economic Growth», febbraio 2013, pag.3).
I vantaggi in termini di gettito del minor ricorso ai prelievi di contante |
Su quest’ultimo versante, anche l’Italia può vantare un’effimera esperienza:
grazie al decreto legge 04/07/2006 n.223 del governo Prodi, l’obbligo del pagamento tracciato per i lavoratori autonomi
e la fissazione di un limite al pagamento di compensi in contante sotto i 100
euro provocarono un andamento del Pil che per il 2006 registrò un +3,94% e per
il 2007 un +4,09%. Inoltre, l’imposta sul reddito dichiarata dai lavoratori
autonomi solamente il primo anno schizzò del 12,15%, con conseguenti mugugni
che contribuirono non poco a spingere per un repentino cambio di governo grazie
al quale – siamo nel 2008 e Berlusconi è tornato saldamente a Palazzo Chigi – queste
misure furono celermente debellate facendo registrare un singolare crollo del
gettito dei redditi da lavoro parte d’imprenditori e commercianti del 13,42%
rispetto al 2007.
Da quel momento in poi, nessuna
formazione politica di rilievo ha mostrato verso l’evasione fiscale l’attenzione
meritata, lasciando solo a qualche studio indipendente la considerazione che
«si può affermare che a fronte di un universo di quasi
cinque milioni di contribuenti che svolgono attività indipendenti e, come tali,
a maggior rischio di evasione, il numero dei controlli approfonditi che l’Agenzia
delle entrate, con l’ausilio della guardia di finanza, riesce a mettere in
campo annualmente difficilmente supera quota 200 mila, dato questo che equivale
a una probabilità di controllo approfondito ogni venti anni di attività» (da Corte dei Conti, «Elementi per l’audizione del Presidente della Corte dei Conti presso le Commissioni Bilancio V e Finanze VI della Camera dei Deputati», 19/06/2013, pag.9).
La millantata «svolta buona», qui come altrove, fatica non
poco a trapelare.
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