lunedì 22 febbraio 2016

Europa, dove vai?

«Circostanze eccezionali». Solo queste, a detta del numero uno della Commissione Europea Juncker, dovrebbero giustificare la fortificazione dei confini interni al continente europeo; e sebbene già dal 2012 è prevista la possibilità di estendere per dodici mesi la sospensione della libera circolazione, quella di Juncker fino a qualche mese fa appariva una constatazione sottintesa, e come tale era stata applicata senza sbavature in occasione di eventi per l’appunto «eccezionali» (meeting dei G7 e dei G8, giornate seguenti gli attentati terroristici, campionati di calcio, conferenze sul clima).

Un bambino che passa il confine tra Serbia e Ungheria: questa la foto dell'anno vincitrice del World Press Photo Award

Nel giro di poche settimane i confini tra eccezionalità e consuetudine hanno però iniziato a dissolversi, spingendo verso la smaniosa bramosia d’invocare altri confini. Più tangibili, più consolanti e soprattutto permanenti. Confini in grado di proteggere, grazie a cui risulta possibile rintanarsi nel proprio guscio nazionale come un feto nel sacco amniotico, coltivando come unica ossessione la risibile ma evocativa immagine mitologica della purezza di un nazionalismo attaccato da ogni versante. Immagine enfatizzata a dismisura dalla compattezza dei fronti politici interni, i quali con la massima spregiudicatezza non esitano ad abbracciare i dogmi da sempre circoscritti nello starnazzante recinto della destra estrema. Così si esprime, ad esempio, un esponente di spicco della destra costituzionale francese:

«Noi siamo un paese giudaico-cristiano – lo diceva il generale de Gaulle – di razza bianca, che accoglie persone straniere. Voglio che la Francia resti la Francia. Non voglio che la Francia diventi musulmana»,

in questo non troppo divergente dal premier slovacco Robert Fico, fiero esponente della socialdemocrazia europea giunto ad affermare il proposito di ricorrere alla Corte di giustizia europea pur d’impedire lo smistamento dei profughi nel continente in virtù degli «enormi rischi di sicurezza connessi all’immigrazione». Quando il fronte orgogliosamente nazionalista si abbandona a frasi quali: «Siamo in guerra col terrorismo. Occorre sospendere Schengen» - è il caso del vicepremier ceco Andrej Babiš – l’approccio adottato appare analogo.
Una recente cena del Consiglio europeo
Una spinta che peraltro non si arresta nemmeno nelle terre della leadership europea per antonomasia, quella Germania che vede il famigerato ministro Schäuble ammonire metaforicamente 
«uno sciatore disattento», chiaro riferimento alla Cancelliera Merkel nella sua scelta di accoglienza, dal rischio «di provocare una valanga quando si avventura sulla neve fresca».

Paura, diffidenza e calcoli elettorali paiono prevalere nettamente sulla ragionevolezza, sulla lungimiranza e sul rispetto dei valori dell’Unione Europea, certo non attinenti con la schiumante retorica belligerante quanto anzitutto sulla fiducia reciproca; la quale però sembra cedere il passo anche sul versante seguito con cura maniacale dalle autorità comunitarie: ancora nel marzo 2013 un rapporto McKinsey sosteneva che tra il 2007 e il 2012 i flussi interbancari europei hanno subito un crollo di 3,7 trilioni di dollari.
Metaforiche o concrete, le barriere che s’innalzano minacciose sui confini europei ci dicono che l’unico collante a rendere pregno di un qualche flebile significato il concetto di Unione Europea è rappresentato dalla sua peculiare struttura, che a partire dallo Statuto della Bce pare predisposta unicamente per soddisfare gli appetiti speculativi dei gruppi industriali e finanziari. Le principali sfide di questo frangente storico – a partire dai flussi migratori – vengono codardamente snobbate, lasciando ad esempio che questo magma umano rimanga alla completa mercé delle organizzazioni criminali.

Dal "Corriere della Sera" del 16/02/2016


Né la storia (recente e lontana) fornisce stimolo, monito e ispirazione alle classi dirigenti europee, se bastano un paio di maldestri attentati per far invocare al Presidente francese Hollande la necessità di «fare evolvere la nostra costituzione», col suo bagaglio di diritti e principî spesso faticosamente conquistati, al fine di renderla conforme al «terrorismo di guerra».
Perché, fatto sbollire il naturale sconcerto verso eccidi così brutali, gli attentatori che hanno depauperato e traumatizzato un intero continente non sono altro che cialtroni disadattati, la cui inetta goffaggine trapela chiaramente dalla dinamica degli eventi: gli infami che decimarono la redazione di Charlie Hebdo, nel mentre eseguivano il loro disgustoso proposito sbagliarono indirizzo, si trovarono in difficoltà a trovare il piano ove erano ubicati gli uffici del settimanale, dei due fratelli responsabili della strage uno perse una scarpa e l’altro si scordò i documenti d’identità in auto. Ambedue, comunque, non disponevano nemmeno della pur minima perspicacia per pensare ad
Ahmedi Coulibaly
un rifugio per la fuga. Che dire poi di Ahmedi Coulibaly, l’esecrabile macellaio del supermercato ebraico che a qualche giorno di distanza avrebbe invitato i suoi ostaggi a «tornare in Israele» sebbene anche i bambini sono a conoscenza che la posizione assunta dal mondo islamico è diametralmente opposta? Persino i filmati di rivendicazione dimostrano la più completa ottusità di questa ciurma omicida, dal momento che si alternano confusamente attestati di fedeltà allo Stato Islamico e ad al-Qāʻida.
Sorte forse migliore, del resto, rispetto all’imbranato attentatore di Villejuif che quattro mesi più tardi si sparò erroneamente a una coscia. Si può solo immaginare quale sia la preparazione religiosa di questi idioti: per dare un’idea basti pensare al caso dei due aspiranti combattenti che in vista della partenza da Birmingham alla volta del Califfato avevano pensato bene di ordinare su Amazon i volumi Islam for Dummies e The Koran for Dummies.
  
Specie per quanto concerne le stragi di Parigi del novembre scorso, di queste brutalità non abbiamo chiari i moventi, non conosciamo i mandanti, sappiamo solo a spanne chi siano gli esecutori materiali (dotati comunque, oltre che di scarso acume, di armamenti modesti e piani logistici semplici), persino sul vero obiettivo del Califfato le ipotesi sono molteplici. E se è vero (come molto probabile) che l’obiettivo dello Stato Islamico è quello di fomentare lo scontro tra mondo occidentale e mondo musulmano, la trappola sembra essere riuscita in pieno dal momento che nel giro di pochi giorni non solo i bombardieri francesi hanno iniziato ad operare nei cieli della Siria – sulla base peraltro di motivazioni del tutto opinabili – ma la presenza sul luogo delle stragi di un passaporto siriano, quasi sicuramente falso, ha acuito ancor di più le pulsioni xenofobe di strati consistenti della società europea.
In poche parole: una bislacca e ambigua sequenza di attentati è stata sufficiente per imprimere una netta accelerazione dell’Europa verso una regressione in tema di libertà individuali, tutele democratiche, costituzioni e utilizzo della razionalità. Quale può essere infatti l’utilità d’interventi militari proprio nel periodo in cui persino Tony Blair ammette che le azioni in Iraq sono state determinanti proprio nel favorire «la nascita dell’Is»? Hanno senso le pulsioni anti-migratorie quando il rischio di attentati proviene non da coloro che dalla Siria arrivano in Europa, ma da coloro che compiono il viaggio opposto? Si potrebbe proseguire a lungo, ma la conclusione sarebbe la stessa: o le classi dirigenti europee sono composte da citrulli demagoghi, oppure le crisi in atto sono solo un pretesto per conseguire obiettivi sociali e geopolitici serbati da tempo.

In ambedue i casi, c’è ben poco di cui rallegrarsi.

Nessun commento:

Posta un commento