giovedì 5 febbraio 2015

La vergogna dei ladri (impuniti) di tesori



In uno scrigno di sbalorditive opere storiche, artistiche e culturali come l’Italia, assistere all’immagine di una banda di scellerati che prima s’impossessa illecitamente del monumento funerario dei Gladiatori di Lucus Feroniae, poi lo spacca riducendolo a dodici frammenti difficilmente ricomponibili e infine sotterra il risultato per smerciarlo più disinvoltamente oltreconfine dovrebbe far stringere il cuore. Sono nefandezze che implorano giustizia, invano. Gli autori di questa manovra se ne stanno plausibilmente a gozzovigliare senza aver subito nemmeno una multa simbolica non solo a causa della difficoltà di capire da parte degli investigatori chi abbia effettivamente distrutto l’opera, ma anche a causa di un comma del codice dei Beni culturali redatto nel 2004 tale per cui la pena per i ladri di tesori artistici è talmente infima, massimo tre anni di carcere, che fino ad oggi nessun «predatore dell’arte» (per parafrasare un volume di Fabio Ismam) si è ritrovato dietro le sbarre. Nemmeno uno. Spulciando tra i circa 65mila detenuti costretti in strutture carcerarie imbottite all’inverosimile scoprirete che i tombaroli, i trafugatori, i ladri e chiunque sia connesso al fruttuoso commercio illegale di opere d’arte (spesso esposte in musei di tutto rispetto) stanno tutti a piede libero. Compreso il tombarolo beccato mentre stava in procinto di concludere un affare oltrefrontiera per vendere il Sarcofago delle Muse (nella foto in alto), meravigliosa opera d’arte rinvenuta a Ostia antica nel 2008. Lo ritrovarono appena in tempo, mentre era lì lì per separare rudemente (munito di un semplice crick da carrozziere) le statue ornamentali del sarcofago al fine di poterle trasportare con maggiore facilità.
Compresi i signori beccati mentre erano intenti a trasportare la metà inferiore del trono marmoreo di Caligola rinvenuto a Nemi, nella villa dell’imperatore. Se la cavarono con una semplice denuncia.
Compresi gli infami che, di recente, si sono appropriati di una maestosa (tre metri di altezza) pala d’altare attribuita al Guercino conservata nella chiesa di San Vincenzo, a Modena.
A raccontarle tutte, storie di questo tipo riempirebbero talmente tante pagine in una misura tale che qualche tempo fa «El Mundo» arrivò a sparare un titolo in cui si faceva tornare in auge un termine, «saccheggio», che pareva confinato in qualche oscura pagina di storia medievale. «Italia, saccheggio del paradiso dell’arte», questo il titolo completo che da solo sarebbe sufficiente per far scattare una sentinella d’allarme.
Ma a far rabbrividire contribuiscono i numeri ufficiali: il traffico di tesori culturali è talmente succulento da essere divenuto il quarto a livello mondiale. Solo armi, droga e finanza possiedono un giro d’affari più poderoso. Nel rapporto Ecomafia 2013, stilato da Legambiente adoperando dati forniti dall’arma dei carabinieri, si denunciava che «nel corso del 2012 le forze dell’ordine hanno accertato 1026 furti di opere d’arte». L’anno successivo le cose sono andate leggermente meglio, 872 furti, ma parliamo sempre di una cifra superiore a due opere d’arte derubate ogni giorno. Il rapporto Ecomafia 2014 dice anche che nel corso del 2013 sono state denunciate 1435 persone, si sono verificati 41 arresti e si è provveduto a 184 sequestri. A guidare la classifica regionale ci sono Lazio, Campania, Lombardia e Toscana. In Sicilia, riprendendo il rapporto Legambiente, «la criminalità organizzata movimenterebbe in questo settore, secondo le stime dei carabinieri, un volume d’affari di oltre 157 milioni di euro». Poco più di un anno fa il quotidiano online «linkiesta.it» approfondiva questo aspetto: «Sono circa 11mila i siti controllati dalle forze dell’ordine, ma anche nella dimensione più materiale delle gallerie, stando ai controlli del reparto Tutela patrimonio culturale dei carabinieri su otto opere esaminate tre risultano false. Un piatto ricco quello del mercato nero e del collezionismo dell’arte, che vede otto organizzazioni criminali operanti nel settore, a cui nel solo 2012 sono stati sequestrati poco più di 4mila falsi. Un settore redditizio e adatto per riciclare milioni di denaro sporco, con opere d’arte che escono e rientrano dall’Italia dopo essere state all’estero, mentre, come spiegano gli investigatori “diventano conti correnti, moneta di scambio nei paradisi fiscali, società, attività imprenditoriali e beni”».
È davvero ammirevole lo sforzo compiuto dai militari del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, costretti giorno dopo giorno a riprendere (lo sforzo è enorme, tant’è vero che ultimamente c’è stato un +27% di opere recuperate) e catalogare online l’infinita lista di opere rubate, facendo raggiungere l’ammontare negli ultimi giorni del 2014 (ma il dato è in continuo aggiornamento) a 600 furti, con oltre 10mila pezzi trafugati.
L’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Cnr conclude: «La perdita del patrimonio culturale ci costa circa un punto di Pil, calcolando il solo valore economico e non anche quello culturale che non può essere calcolato».
Eppure, questo autentico scempio non è riuscito a scalfire la strafottenza dei governi succedutisi dal 2004 a oggi: né il governo Berlusconi, né il governo Prodi, né il successivo governo Berlusconi, né il governo Monti, né il governo Letta e nemmeno il governo Renzi hanno mosso un dito per tentare di arginare questo fiume in piena. Basterebbe inserire un comma di poche parole in cui si dispone il raddoppio delle pene in caso di furto di opere artistiche per porre quantomeno un piccolo intralcio a questi criminali. Ad essere sinceri, in realtà, qualche pigro movimento c’è stato: Giancarlo Galan, quando svolgeva l’incarico di ministro dei Beni culturali durante l’ultimo governo Berlusconi, soltanto in seguito ad una nutrita mobilitazione aveva architettato a tal proposito un decreto, destinato però a volatilizzarsi in vista della caduta dell’esecutivo. Il suo successore sotto il governo Monti, Lorenzo Ornaghi, tentò di riproporre la questione, scegliendo però l’improvvida strada di lasciare agire il Parlamento. Alla velocità di un mollusco, soltanto durante gli ultimi mesi di legislatura venne partorito un disegno di legge (contenente anche un paio di disposizioni sui reati ambientali) che riuscì addirittura a raggiungere il vaglio della commissione Giustizia del Senato sotto la relazione del parlamentare pd Felice Casson. Il testo fu approvato all’unanimità, senza distinzioni di colore politico. Ma il micidiale dedalo di passaggi legislativi era destinato a fagocitare anche questo disegno, inghiottito nel nulla (con la probabile complicità di qualche «manina» ostile all’intervento) durante l’esame della commissione Bilancio (avete capito bene: anche le norme prive di qualsivoglia riferimento alle casse dello Stato devono passare per questa commissione) fino a che lo scioglimento anticipato delle Camere non finì per seppellire definitivamente ogni velleità d’interventi in materia.
Non ci resta che continuare ad aspettare, osservando nel frattempo l’indecente spettacolo di un tesoro tanto ineguagliabile quanto esposto ad ogni sorta di trattamento.

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