In uno scrigno di sbalorditive
opere storiche, artistiche e culturali come l’Italia, assistere all’immagine di
una banda di scellerati che prima s’impossessa illecitamente del monumento
funerario dei Gladiatori di Lucus Feroniae, poi lo spacca riducendolo a dodici
frammenti difficilmente ricomponibili e infine sotterra il risultato per
smerciarlo più disinvoltamente oltreconfine dovrebbe far stringere il cuore.
Sono nefandezze che implorano giustizia, invano. Gli autori di questa manovra
se ne stanno plausibilmente a gozzovigliare senza aver subito nemmeno una multa
simbolica non solo a causa della difficoltà di capire da parte degli
investigatori chi abbia effettivamente distrutto l’opera, ma anche a causa di
un comma del codice dei Beni culturali redatto nel 2004 tale per cui la pena per i
ladri di tesori artistici è talmente infima, massimo tre anni di carcere, che
fino ad oggi nessun «predatore dell’arte» (per parafrasare un volume di Fabio
Ismam) si è ritrovato dietro le sbarre. Nemmeno uno. Spulciando tra i circa
65mila detenuti costretti in strutture carcerarie imbottite all’inverosimile
scoprirete che i tombaroli, i trafugatori, i ladri e chiunque sia connesso al
fruttuoso commercio illegale di opere d’arte (spesso esposte in musei di tutto
rispetto) stanno tutti a piede libero. Compreso il tombarolo beccato mentre
stava in procinto di concludere un affare oltrefrontiera per vendere il Sarcofago
delle Muse (nella foto in alto), meravigliosa opera d’arte rinvenuta a Ostia
antica nel 2008. Lo ritrovarono appena in tempo, mentre era lì lì per separare
rudemente (munito di un semplice crick da carrozziere) le statue ornamentali
del sarcofago al fine di poterle trasportare con maggiore facilità.
Compresi i signori beccati mentre
erano intenti a trasportare la metà inferiore del trono marmoreo di Caligola
rinvenuto a Nemi, nella villa dell’imperatore. Se la cavarono con una semplice
denuncia.
Compresi gli infami che, di
recente, si sono appropriati di una maestosa (tre metri di altezza) pala d’altare
attribuita al Guercino conservata nella chiesa di San Vincenzo, a Modena.
A raccontarle tutte, storie di
questo tipo riempirebbero talmente tante pagine in una misura tale che qualche
tempo fa «El Mundo» arrivò a sparare un titolo in cui si faceva tornare in auge
un termine, «saccheggio», che pareva confinato in qualche oscura pagina di
storia medievale. «Italia, saccheggio del paradiso dell’arte», questo il titolo
completo che da solo sarebbe sufficiente per far scattare una sentinella d’allarme.
Ma a far rabbrividire contribuiscono
i numeri ufficiali: il traffico di tesori culturali è talmente succulento da
essere divenuto il quarto a livello mondiale. Solo armi, droga e finanza
possiedono un giro d’affari più poderoso. Nel rapporto Ecomafia 2013, stilato
da Legambiente adoperando dati forniti dall’arma dei carabinieri, si denunciava
che «nel corso del 2012 le forze dell’ordine hanno accertato 1026 furti di
opere d’arte». L’anno successivo le cose sono andate leggermente meglio, 872
furti, ma parliamo sempre di una cifra superiore a due opere d’arte derubate ogni
giorno. Il rapporto Ecomafia 2014 dice anche che nel corso del 2013 sono state
denunciate 1435 persone, si sono verificati 41 arresti e si è provveduto a 184
sequestri. A guidare la classifica regionale ci sono Lazio, Campania, Lombardia
e Toscana. In Sicilia, riprendendo il rapporto Legambiente, «la criminalità
organizzata movimenterebbe in questo settore, secondo le stime dei carabinieri,
un volume d’affari di oltre 157 milioni di euro». Poco più di un anno fa il
quotidiano online «linkiesta.it» approfondiva questo aspetto: «Sono circa 11mila
i siti controllati dalle forze dell’ordine, ma anche nella dimensione più
materiale delle gallerie, stando ai controlli del reparto Tutela patrimonio
culturale dei carabinieri su otto opere esaminate tre risultano false. Un
piatto ricco quello del mercato nero e del collezionismo dell’arte, che vede
otto organizzazioni criminali operanti nel settore, a cui nel solo 2012 sono
stati sequestrati poco più di 4mila falsi. Un settore redditizio e adatto per
riciclare milioni di denaro sporco, con opere d’arte che escono e rientrano
dall’Italia dopo essere state all’estero, mentre, come spiegano gli
investigatori “diventano conti correnti, moneta di scambio nei paradisi
fiscali, società, attività imprenditoriali e beni”».
È davvero ammirevole lo sforzo
compiuto dai militari del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale,
costretti giorno dopo giorno a riprendere (lo sforzo è enorme, tant’è vero che
ultimamente c’è stato un +27% di opere recuperate) e catalogare online l’infinita
lista di opere rubate, facendo raggiungere l’ammontare negli ultimi giorni del
2014 (ma il dato è in continuo aggiornamento) a 600 furti, con oltre 10mila
pezzi trafugati.
L’Istituto per i beni
archeologici e monumentali del Cnr conclude: «La perdita del patrimonio
culturale ci costa circa un punto di Pil, calcolando il solo valore economico e
non anche quello culturale che non può essere calcolato».
Eppure, questo autentico scempio
non è riuscito a scalfire la strafottenza dei governi succedutisi dal 2004 a
oggi: né il governo Berlusconi, né il governo Prodi, né il successivo governo
Berlusconi, né il governo Monti, né il governo Letta e nemmeno il governo Renzi
hanno mosso un dito per tentare di arginare questo fiume in piena. Basterebbe
inserire un comma di poche parole in cui si dispone il raddoppio delle pene in
caso di furto di opere artistiche per porre quantomeno un piccolo intralcio a
questi criminali. Ad essere sinceri, in realtà, qualche pigro movimento c’è
stato: Giancarlo Galan, quando svolgeva l’incarico di ministro dei Beni
culturali durante l’ultimo governo Berlusconi, soltanto in seguito ad una
nutrita mobilitazione aveva architettato a tal proposito un decreto, destinato
però a volatilizzarsi in vista della caduta dell’esecutivo. Il suo successore
sotto il governo Monti, Lorenzo Ornaghi, tentò di riproporre la questione,
scegliendo però l’improvvida strada di lasciare agire il Parlamento. Alla
velocità di un mollusco, soltanto durante gli ultimi mesi di legislatura venne
partorito un disegno di legge (contenente anche un paio di disposizioni sui
reati ambientali) che riuscì addirittura a raggiungere il vaglio della
commissione Giustizia del Senato sotto la relazione del parlamentare pd Felice
Casson. Il testo fu approvato all’unanimità, senza distinzioni di colore
politico. Ma il micidiale dedalo di passaggi legislativi era destinato a
fagocitare anche questo disegno, inghiottito nel nulla (con la probabile
complicità di qualche «manina» ostile all’intervento) durante l’esame della
commissione Bilancio (avete capito bene: anche le norme prive di qualsivoglia
riferimento alle casse dello Stato devono passare per questa commissione) fino
a che lo scioglimento anticipato delle Camere non finì per seppellire
definitivamente ogni velleità d’interventi in materia.
Non ci resta che continuare ad
aspettare, osservando nel frattempo l’indecente spettacolo di un tesoro tanto
ineguagliabile quanto esposto ad ogni sorta di trattamento.
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