Da quando sono state posate le
armi del secondo conflitto mondiale, mai il pianeta ha vissuto turbolenze,
disperazioni e crudeltà come in questi ultimi mesi. Secondo l’Oim,
organizzazione intergovernativa che si occupa di migranti, corrisponde a circa
17 milioni il numero di essere umani che ha cercato una via di fuga dalla fame,
dalla guerra e dalle condizioni politiche del proprio paese d’origine per
gettarsi nell’estremo azzardo di formarsi una nuova vita in una nuova nazione.
Un rapporto Global trends dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite ha
stimato in 51,2 milioni l’immane compagine di migranti forzati nel mondo per il
solo anno 2013, in una dinamica perennemente in crescita (si stima un aumento
di 6 milioni in un solo anno). Gli apolidi, questa la stima, sono circa 10
milioni, di cui solo un terzo legalmente censiti.
Sempre più ampie zone del mondo
conoscono escalation d’inaudita violenza, rendendosi atrocemente inospitali per
chi si tiene alla larga dall’orrido intrecciarsi di fanatismi e interessi
criminali: ad esempio, nell’ultimo anno il pianeta ha assistito a qualcosa come
592 attacchi suicidi (un incremento del 94%) che hanno provocato oltre 4mila
vittime. Come al solito, l’Africa è la zona che più risente le ingiustizie del
mondo tanto che il Cnel, in uno studio redatto nel 2011, stimava che da qui al
2050 ogni anno tra 1,5 e 2 milioni di persone lasceranno il continente alla
volta di un’esistenza dignitosa in Europa. Una fuga sofferta la quale, come se
non fosse sufficiente lo strazio provocato dallo sradicamento dai proprio
affetti e dalle proprie culture, viene quasi sempre insidiata da atrocità e
sempre nuove incognite. «Sono migliaia i profughi intrappolati nella guerra in
Libia», dichiara don Mussie Zerai, sacerdote presidente dell’agenzia Habeshia,
«arrivano dal Corno d’Africa o dall’Africa Subsahariana e spesso finiscono
nelle mani dei miliziani delle varie fazioni in lotta, vengono costretti a
trasportare in battaglia armi e rifornimenti. Come schiavi».
Spesso rappresenta già un’iridata
conquista raggiungere illesi, privi di malattie e non troppo affamati il
confine meridionale della Libia come l’oasi di Kufrah, dove i profughi
provenienti da ogni angolo dell’Africa vengono arrestati e scaraventati in un
campo di raccolta, uno di quelli a cui, in nome dell’«aiutiamoli a casa loro»,
il governo Berlusconi aveva dato la delega affinché si ponesse una forma di
controllo al flusso verso l’Europa, anche se il più delle volte le persone
rinchiuse lì dentro hanno il sacrosanto diritto di ottenere l’asilo politico.
Poco importa, le milizie tribali che gestiscono il campo non conosco né
diritti, né umanità; e a farne le maggiori spese sono, come di consueto, le
donne. Il rapporto dell’Osservatorio sulle vittime delle migrazioni di Fortress
Europe ha raccolto innumerevoli testimonianze, tra cui quella di Fatawhit: «Ho
visto mille donne violentate nel centro di detenzione di Kufrah. I poliziotti
entravano nella stanza, prendevano una donna e la violentavano in gruppo
davanti a tutti. Non facevano alcuna distinzione tra donne sposate e donne
sole. Molte di loro sono rimaste incinte e molte di loro sono state obbligate a
subire un aborto, fatto nella clandestinità, mettendo a forte rischio la
propria vita…». La Chiesa ha addirittura stimato che l’85% delle donne subisce
violenza sessuale nel tragitto tra il proprio luogo d’origine e la destinazione
europea. Nell’ottobre 2013 si stimava che in questi lager sperduti nel deserto
ci fossero almeno tra i 10 e i 12mila esseri umani, più altri 10mila imprigionati
nei campi clandestini, dove lì più che altrove sevizie e torture sono
all’ordine del giorno, soprattutto ora che l’unica autorità presente in Libia è
costituita da un nugolo inestricabile costituito da bande di predoni,
criminali, fondamentalisti islamici o tribù di ogni genere. Solo dalla
discrezione di queste genti dipende la sorte dei disperati: se salperanno per
compiere la traversata del Mediterraneo, quando lo faranno, da dove lo faranno,
su quale mezzo e in quali condizioni. L’attesa può essere lunga o breve,
l’unica certezza sono la disumanità che accompagna questa tratta e il fatto che
c’è un prezzo letterale da pagare, accumulato con estrema fatica e chissà quali
patimenti dai profughi che sognano le coste europee come l’unica possibilità di
salvezza. Le bande che presidiano le coste godono di vasti e intrecciati
interessi criminali (un business di circa 6 miliardi), che spaziano in tutti i
rami del commercio e del contrabbando, dalle armi alla benzine, dalle droghe
sintetiche per arrivare fino a loro, i profughi. Un giro d’affari che si stima
arrivi a toccare i 3-4 miliardi di dollari l’anno, qualcosa che assomiglia al
10% di una ricchezza, quella libica, fondata ancora in larga parte sulle
riserve petrolifere.
Schema apparso sul Corriere della Sera del 04/01/2015
Attualmente il prezzo medio per
garantirsi la traversata del Mediterraneo è di ottocento dollari a persona,
notevolmente di meno (circa la metà) rispetto al 2013. La situazione è peggiore
nei porti della Turchia, dove i trafficanti acquistano per 200mila euro i cargo
destinati alla rottamazione, li imbottiscono di profughi provenienti dalla
Siria richiedendo a ciascuno di loro una somma oscillante intorno ai cinquemila
dollari e alla fine riescono a racimolare, per ogni viaggio, circa due milioni.
Solo ora il viaggio può avere
inizio. Stipati per ore e guidati prima dalla misera riserva di carburante di
cui è provvista la fragile imbarcazione, e poi dai semplici capricci delle
condizioni atmosferiche. Quando va bene le chiamate satellitari o gli
avvistamenti possono porre una provvidenziale conclusione prematura alla
traversata, meglio ancora se gli uomini preposti al salvataggio godono (come
nel caso di Mare Nostrum) di un’ampia possibilità d’intervento lungo tutta
l’area del Mediterraneo. Ma la buona sorte non è garantita a tutti. Quelle ore
di galleggiamento hanno visto le tragedie più spietate del nostro tempo,
soprattutto in estate, quando la bella stagione consente un flusso quasi
ininterrotto di esseri umani. A fine agosto Fortress Europe denunciava che
nell’attraversamento del Canale di Sicilia si era passati repentinamente da una
media di due a una media di tre morti al giorno. Ma sono solo stime: nessuno
conosce realmente quanto sia capiente il cimitero del Mediterraneo. Negli
ultimi dieci anni si stimano 7mila morti, che diventano più di 20mila se si fa
cominciare il macabro conteggio dal 1988. Quando l’imbarcazione naufraga,
l’annegamento è una dura sorte per svariati profughi, ma non è quella l’unica
causa di morte. Questa l’agghiacciante cronaca di Francesco Viviano e Alessandra
Ziniti pubblicata su «La Repubblica» del 25 agosto: «I profughi che annaspavano
senza salvagente, li hanno salvati quasi tutti ma sul fondo del gommone c’erano
18 corpi, tutti uomini, tutti dell’Africa sub sahariana, morti forse
disidratati, visto che non avevano un goccio d’acqua e molti di loro avevano
bevuto acqua di mare, o forse- ed è stata la prima ipotesi del capitano Marco
Bilardi, comandante della nave Sirio che li ha poi presi a bordo sbarcandoli
ieri pomeriggio a Pozzallo- intossicati dall’esalazione o dall’ingestione di
idrocarburi che spesso i trafficanti di uomini mettono in bottiglie d’acqua».
Dopo un naufragio si può morire anche di freddo, come successo negli ultimi
giorni, oppure di soffocamento, come la scorsa estate, per lo scriteriato
ammasso di esseri umani che viene concentrato in ogni imbarcazione. Nel solo
periodo tra gennaio e agosto 2014, l’agenzia Habeshia faceva ammontare a
duemila le vittime delle traversate. Una stima analoga a quella dell’Alto
commissariato Onu per i rifugiati, secondo cui le vittime sarebbero state 1889,
di cui 1600 nel solo periodo tra giugno e agosto. Una somma inaudita, se si
considera che il record di 1800 vittime era stato registrato nell’intero arco
del 2011. A fine anno, il bilancio dell’Oim (Organizzazione internazionale per
le migrazioni, Onu) sarebbe stato di 3.224 esseri umani deceduti nel Mediterraneo
nei dodici mesi del 2014, il quadruplo rispetto all’anno precedente. Secondo
questo stesso rapporto, i morti in questa lingua di mare rappresentano il 66%
dei decessi a cui hanno incorso i profughi a livello planetario. Poteva andare
molto peggio, se non fossero entrate in azione missioni come Mare Nostrum: a
fine agosto Giuseppe De Giorgi, Capo di stato maggiore della Marina, rivelava
che grazie a questa operazione 113mila esseri umani sono stati strappati da una
morte certa.
Confronto tra migranti sbarcati e decessi avvenuti nel Canale di Sicilia tra il 2001 e il 2012. Dal Corriere della Sera del 04/10/2013
Non è il mare ad essere più
crudele rispetto agli altri anni; è il numero di disperati disposto ad
imbarcarsi che in questi mesi ha raggiunto livelli inimmaginabili. Alcuni numeri
possono dare un’idea delle proporzioni del fenomeno: nei primi sei mesi del
2013 sono sbarcati 7.916 profughi, mentre nello stesso periodo del 2014 sono
stati 61.500 (in tutto il 2011, considerato annus horribilis per le traversate,
non vennero superati i 63mila). Ad agosto questo numero era già vigorosamente
aumentato superando la soglia, tra mare e terra, di 103mila arrivi nel solo
periodo tra gennaio e agosto (i dati sono forniti dal Dipartimento
immigrazione), cinque volte di più rispetto a quanto verificatosi l’anno
precedente e il doppio rispetto a quelli accolti nel periodo caotico delle
primavere arabe. Il 31 ottobre il numero era arrivato a 153.389 (di cui 106.732
nella sola Sicilia), facendo ammontare a 316.155 gli stranieri giunti
irregolarmente in Italia da cinque anni a questa parte. Gli ultimi giorni di
dicembre Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i
rifugiati, annunciava l’ultimo agghiacciante bollettino: «Nel 2014 hanno
attraversato il Mediterraneo 208mila persone: di queste 170mila sono approdate
in Italia». E aggiunge: «Temiamo che il flusso aumenti, soprattutto dalla
Siria. Ci sono 9 milioni di persone in fuga dalla Siria». Nel solo Canale di
Sicilia, dal primo gennaio al 28 dicembre 2014, i mercantili delle Capitanerie
di porto e della Marina militare hanno eroicamente soccorso 42mila migranti,
quattro volte di più rispetto all’anno precedente. Nei soli primi sette mesi
del 2014 sono stati inoltre 14mila i minori arrivati in Italia, e di questi ben
8.600 separati (talvolta forzosamente) dalla propria famiglia.
Se consideriamo il numero degli
sbarchi, possiamo stimarli in 1.109 nel 2014 contro i 483 del 2013.
Schema apparso sul Corriere della Sera dell'01/07/2014
È quasi sicuramente un falso mito
la teoria che vedrebbe nelle capillari operazioni umanitarie un incentivo alle
partenze, visto che da quando è stata dismessa l’operazione Mare Nostrum gli
sbarchi, ben lungi dal calare, hanno proseguito la loro crescita: secondo
l’Alto commissariato per i rifugiati, nel gennaio 2015 gli arrivi via mare sono
stati del 60% superiori a quelli del gennaio 2014.
Inutile dire che l’accoglienza di
questi disperati raggiunge livelli d’inadeguatezza disumana: la struttura di
Lampedusa originariamente contava 850 posti letto garantiti, dopo un incendio
dell’autunno 2011 sono divenuti 254. Nell’ottobre 2013 lì dentro vivevano 1055
esseri umani, con un tempo di permanenza medio di una settimana.
Schema apparso sul Corriere della Sera del 28/12/2014
La Sicilia è la regione che più
di tutte deve sobbarcarsi l’onere di questa tragedia: l’81% dei migranti
sbarcano in quest’isola (al secondo posto c’è la Puglia, con una percentuale
dell’8%), e lì (i numeri sono aggiornati al 31 luglio 2014) vengono
provvisoriamente accolti nelle strutture temporanee e nei centri governativi il
28% dei profughi, mentre il 13% finisce nel Lazio e l’11% in Puglia. La
situazione è comunque fuori da ogni previsione. Quest’estate i tecnici del
ministero dell’Interno ammonivano: «In base alle risorse del bilancio di
assestamento l’accoglienza è demansionata su un numero massimo di 90mila, al
più 100mila, arrivi. Ma il tetto è già stato superato e le nostre previsioni
aggiornate parlano di almeno 140mila arrivi nel 2014» (previsione ottimista,
come abbiamo visto).
Schema apparso su La Repubblica del 25/08/2014
Le espulsioni non sono nemmeno da
prendere in considerazione: oltre ad essere costose e poco efficienti, bisogna
ricordare che l’80% delle persone sbarcate nel 2014 ha diritto, in base a
quanto prescrive anche la nostra Costituzione, a delle forme di protezione. Non
sono molti, infatti, i migranti che fuggono unicamente per motivi economici:
c’è qualche tunisino e al limite qualche minorenne egiziano, ma nulla di più.
Eppure i richiedenti asilo in Italia non sono molti: nel maggio 2014
ammontavano a 10.300 le persone presenti nei centri Cara (centri di accoglienza
richiedenti asilo), a 12.500 le persone registrate nel sistema di protezione
per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e 10.300 le persone presenti nelle
strutture di prima accoglienza. Secondo l’Alto commissariato Onu per i
rifugiati, tra gennaio e agosto sono state 25.026 le richieste di asilo giunte al
nostro Paese (in tutto il 2013 sono state 27.830). Sempre ad agosto, il
ministero dell’Interno stimava in 53mila le persone accolte nelle nostre
strutture d’accoglienza, aggiungendo che nell’ultimo anno è stato concesso
asilo a 24.435 richiedenti su 35.424 domande presentate. In tutto il 2014, a
detta del Viminale le richieste d’asilo non hanno superato le 63mila, mentre
sono 16mila le richieste di protezione internazionale esaminate dalle
Commissioni territoriali.
Numeri che dimostrano chiaramente
come l’Italia non sia la mèta predestinata dai profughi che sbarcano sulle
nostre coste: si prediligono i paesi del nord Europa, più accoglienti e dotati
di migliore assistenza. Ma ecco che le assurdità legislative s’inseriscono
prepotentemente nella già disgraziata vicenda di questi disperati. Il
regolamento di Dublino II (2003) prevede infatti che l’unico stato competente a
valutare la richiesta d’asilo corrisponda al primo Paese dell’area Schengen in
cui il migrante ha poggiato il piede, costringendo quindi quest’ultimo a
rimanere lì.
Ecco allora che si studia il più
semplice degli escamotage: le autorità italiane acconsentono tacitamente a non
riconoscere e identificare gli stranieri, abbandonando al proprio destino i
profughi, costretti con i propri mezzi e in totale clandestinità a raggiungere
lo stato dove eseguire la richiesta. Come sottolineava Gad Lerner su «La
Repubblica» del primo luglio, dopo aver concesso il monopolio del traffico di
esseri umani alle organizzazioni criminali, «per favorire la loro ripartenza,
dopo quello degli scafisti incrementiamo pure il traffico dei passeur»,
prolungando a dismisura l’odissea di questi poveri cristi i quali sono sovente
costretti a viaggiare attraverso l’Europa nascondendosi dentro un camion (come
scoperto ad agosto a Ilminster, nell’Inghilterra meridionale) o un container,
oppure aggrappandosi sotto il vano di un tir o al semiasse di un pullman
turistico, oppure ad appiattirsi in qualche intercapedine di un traghetto.
Alla fine, come dichiarato da
Carlotta Sami, «a Milano quest’anno ne sono transitati 50mila, solo una
quarantina ha chiesto asilo politico qui. Gli altri hanno preferito il Nord
Europa». Più precisa Daniela Pompei, responsabile per gli immigrati nella
Comunità di Sant’Egidio: «La maggior parte delle 170mila persone arrivate in
Italia ha diritto a chiedere asilo: di queste, poi, qui ne sono rimaste
62mila». A dispetto di quanto dichiarato dagli xenofobi nostrani, la Svezia
(paese con 9,5 milioni di abitanti) stando ai dati Unhcr ha ricevuto nel 2013 50mila
richieste d’asilo, mentre l’Italia (pur disponendo di 60 milioni di abitanti)
ne ha ricevute non più di 25mila. La disparità è lampante nel caso delle
domande dei siriani: 14.367 in Svezia contro 677 in Italia. Nel panorama
dell’intera Europa, «lavoce.info» stimava per il 2011 571mila rifugiati in
Germania, 194mila nel Regno Unito, 210mila per la Francia, 87mila per la
Svezia, 75mila per l’Olanda e solo 58mila per l’Italia. Per rendere ancora più
chiara l’idea, in Svezia ci sono 9 rifugiati ogni mille abitanti, 7 in
Germania, 4,5 in Olanda e solo 1 in Italia.
Schema apparso sul Corriere della Sera del 25/10/2013
Qui si conclude il viaggio verso
l’Europa. Quello che viene dopo: la discriminazione, lo sfruttamento, il
disagio o la reclusione in centri ben poco consoni a paesi civili come i Cie
meriterebbero nuovi approfondimenti.
Di fronte a questa tragedia di
portata storica, provoca un effetto disarmante scoprire che l’Europa preferisce
trascorrere gran parte del proprio tempo dietro i decimali di bilancio pubblico
o appresso a nuovi regolamenti sulla dimensione degli ortaggi: come scriveva
Guido Viale sul «manifesto» del primo agosto, sembra di assistere alla
riedizione del «dibattito sul sesso degli angeli che impegnava i governanti di
Bisanzio mentre i Turchi la stavano espugnando». E non può che suscitare
ribrezzo l’atteggiamento dimostrato spavaldamente dai più ferrei antieuropeisti
di marca razzista. Si legga ad esempio quanto scriveva Paola Pellai su «La
Padania» del 14 maggio 2009: «Se rinasco voglio fare la rifugiata perché così
non devo sbattermi a fare un mutuo, né a cercare un lavoro né a mettermi in
quelle logoranti file d’attesa che prima che li accontenti tutti è già tempo di
cercarti un ospizio…».
La situazione merita interventi
risoluti e urgenti. Anche l’invocata Mare Nostrum, pur indispensabile per
fermare la mattanza, come scriveva Gad Lerner «è solo un palliativo, là dove
andrebbe creato subito un corridoio umanitario, ovvero un servizio civile di
traghetti e voli charter per smistare razionalmente i migranti in varie
destinazioni europee». Concludendo: «Traghetti subito. Mutuo riconoscimento
delle domande d’asilo. Monitoraggio comune e equo smistamento». Un auspicio che
esige una risposta.
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