venerdì 13 febbraio 2015

Profughi

Da quando sono state posate le armi del secondo conflitto mondiale, mai il pianeta ha vissuto turbolenze, disperazioni e crudeltà come in questi ultimi mesi. Secondo l’Oim, organizzazione intergovernativa che si occupa di migranti, corrisponde a circa 17 milioni il numero di essere umani che ha cercato una via di fuga dalla fame, dalla guerra e dalle condizioni politiche del proprio paese d’origine per gettarsi nell’estremo azzardo di formarsi una nuova vita in una nuova nazione. Un rapporto Global trends dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite ha stimato in 51,2 milioni l’immane compagine di migranti forzati nel mondo per il solo anno 2013, in una dinamica perennemente in crescita (si stima un aumento di 6 milioni in un solo anno). Gli apolidi, questa la stima, sono circa 10 milioni, di cui solo un terzo legalmente censiti.
Sempre più ampie zone del mondo conoscono escalation d’inaudita violenza, rendendosi atrocemente inospitali per chi si tiene alla larga dall’orrido intrecciarsi di fanatismi e interessi criminali: ad esempio, nell’ultimo anno il pianeta ha assistito a qualcosa come 592 attacchi suicidi (un incremento del 94%) che hanno provocato oltre 4mila vittime. Come al solito, l’Africa è la zona che più risente le ingiustizie del mondo tanto che il Cnel, in uno studio redatto nel 2011, stimava che da qui al 2050 ogni anno tra 1,5 e 2 milioni di persone lasceranno il continente alla volta di un’esistenza dignitosa in Europa. Una fuga sofferta la quale, come se non fosse sufficiente lo strazio provocato dallo sradicamento dai proprio affetti e dalle proprie culture, viene quasi sempre insidiata da atrocità e sempre nuove incognite. «Sono migliaia i profughi intrappolati nella guerra in Libia», dichiara don Mussie Zerai, sacerdote presidente dell’agenzia Habeshia, «arrivano dal Corno d’Africa o dall’Africa Subsahariana e spesso finiscono nelle mani dei miliziani delle varie fazioni in lotta, vengono costretti a trasportare in battaglia armi e rifornimenti. Come schiavi».
Spesso rappresenta già un’iridata conquista raggiungere illesi, privi di malattie e non troppo affamati il confine meridionale della Libia come l’oasi di Kufrah, dove i profughi provenienti da ogni angolo dell’Africa vengono arrestati e scaraventati in un campo di raccolta, uno di quelli a cui, in nome dell’«aiutiamoli a casa loro», il governo Berlusconi aveva dato la delega affinché si ponesse una forma di controllo al flusso verso l’Europa, anche se il più delle volte le persone rinchiuse lì dentro hanno il sacrosanto diritto di ottenere l’asilo politico. Poco importa, le milizie tribali che gestiscono il campo non conosco né diritti, né umanità; e a farne le maggiori spese sono, come di consueto, le donne. Il rapporto dell’Osservatorio sulle vittime delle migrazioni di Fortress Europe ha raccolto innumerevoli testimonianze, tra cui quella di Fatawhit: «Ho visto mille donne violentate nel centro di detenzione di Kufrah. I poliziotti entravano nella stanza, prendevano una donna e la violentavano in gruppo davanti a tutti. Non facevano alcuna distinzione tra donne sposate e donne sole. Molte di loro sono rimaste incinte e molte di loro sono state obbligate a subire un aborto, fatto nella clandestinità, mettendo a forte rischio la propria vita…». La Chiesa ha addirittura stimato che l’85% delle donne subisce violenza sessuale nel tragitto tra il proprio luogo d’origine e la destinazione europea. Nell’ottobre 2013 si stimava che in questi lager sperduti nel deserto ci fossero almeno tra i 10 e i 12mila esseri umani, più altri 10mila imprigionati nei campi clandestini, dove lì più che altrove sevizie e torture sono all’ordine del giorno, soprattutto ora che l’unica autorità presente in Libia è costituita da un nugolo inestricabile costituito da bande di predoni, criminali, fondamentalisti islamici o tribù di ogni genere. Solo dalla discrezione di queste genti dipende la sorte dei disperati: se salperanno per compiere la traversata del Mediterraneo, quando lo faranno, da dove lo faranno, su quale mezzo e in quali condizioni. L’attesa può essere lunga o breve, l’unica certezza sono la disumanità che accompagna questa tratta e il fatto che c’è un prezzo letterale da pagare, accumulato con estrema fatica e chissà quali patimenti dai profughi che sognano le coste europee come l’unica possibilità di salvezza. Le bande che presidiano le coste godono di vasti e intrecciati interessi criminali (un business di circa 6 miliardi), che spaziano in tutti i rami del commercio e del contrabbando, dalle armi alla benzine, dalle droghe sintetiche per arrivare fino a loro, i profughi. Un giro d’affari che si stima arrivi a toccare i 3-4 miliardi di dollari l’anno, qualcosa che assomiglia al 10% di una ricchezza, quella libica, fondata ancora in larga parte sulle riserve petrolifere.


Schema apparso sul Corriere della Sera del 04/01/2015

Attualmente il prezzo medio per garantirsi la traversata del Mediterraneo è di ottocento dollari a persona, notevolmente di meno (circa la metà) rispetto al 2013. La situazione è peggiore nei porti della Turchia, dove i trafficanti acquistano per 200mila euro i cargo destinati alla rottamazione, li imbottiscono di profughi provenienti dalla Siria richiedendo a ciascuno di loro una somma oscillante intorno ai cinquemila dollari e alla fine riescono a racimolare, per ogni viaggio, circa due milioni.
Solo ora il viaggio può avere inizio. Stipati per ore e guidati prima dalla misera riserva di carburante di cui è provvista la fragile imbarcazione, e poi dai semplici capricci delle condizioni atmosferiche. Quando va bene le chiamate satellitari o gli avvistamenti possono porre una provvidenziale conclusione prematura alla traversata, meglio ancora se gli uomini preposti al salvataggio godono (come nel caso di Mare Nostrum) di un’ampia possibilità d’intervento lungo tutta l’area del Mediterraneo. Ma la buona sorte non è garantita a tutti. Quelle ore di galleggiamento hanno visto le tragedie più spietate del nostro tempo, soprattutto in estate, quando la bella stagione consente un flusso quasi ininterrotto di esseri umani. A fine agosto Fortress Europe denunciava che nell’attraversamento del Canale di Sicilia si era passati repentinamente da una media di due a una media di tre morti al giorno. Ma sono solo stime: nessuno conosce realmente quanto sia capiente il cimitero del Mediterraneo. Negli ultimi dieci anni si stimano 7mila morti, che diventano più di 20mila se si fa cominciare il macabro conteggio dal 1988. Quando l’imbarcazione naufraga, l’annegamento è una dura sorte per svariati profughi, ma non è quella l’unica causa di morte. Questa l’agghiacciante cronaca di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti pubblicata su «La Repubblica» del 25 agosto: «I profughi che annaspavano senza salvagente, li hanno salvati quasi tutti ma sul fondo del gommone c’erano 18 corpi, tutti uomini, tutti dell’Africa sub sahariana, morti forse disidratati, visto che non avevano un goccio d’acqua e molti di loro avevano bevuto acqua di mare, o forse- ed è stata la prima ipotesi del capitano Marco Bilardi, comandante della nave Sirio che li ha poi presi a bordo sbarcandoli ieri pomeriggio a Pozzallo- intossicati dall’esalazione o dall’ingestione di idrocarburi che spesso i trafficanti di uomini mettono in bottiglie d’acqua». Dopo un naufragio si può morire anche di freddo, come successo negli ultimi giorni, oppure di soffocamento, come la scorsa estate, per lo scriteriato ammasso di esseri umani che viene concentrato in ogni imbarcazione. Nel solo periodo tra gennaio e agosto 2014, l’agenzia Habeshia faceva ammontare a duemila le vittime delle traversate. Una stima analoga a quella dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, secondo cui le vittime sarebbero state 1889, di cui 1600 nel solo periodo tra giugno e agosto. Una somma inaudita, se si considera che il record di 1800 vittime era stato registrato nell’intero arco del 2011. A fine anno, il bilancio dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni, Onu) sarebbe stato di 3.224 esseri umani deceduti nel Mediterraneo nei dodici mesi del 2014, il quadruplo rispetto all’anno precedente. Secondo questo stesso rapporto, i morti in questa lingua di mare rappresentano il 66% dei decessi a cui hanno incorso i profughi a livello planetario. Poteva andare molto peggio, se non fossero entrate in azione missioni come Mare Nostrum: a fine agosto Giuseppe De Giorgi, Capo di stato maggiore della Marina, rivelava che grazie a questa operazione 113mila esseri umani sono stati strappati da una morte certa.


Confronto tra migranti sbarcati e decessi avvenuti nel Canale di Sicilia tra il 2001 e il 2012. Dal Corriere della Sera del 04/10/2013

Non è il mare ad essere più crudele rispetto agli altri anni; è il numero di disperati disposto ad imbarcarsi che in questi mesi ha raggiunto livelli inimmaginabili. Alcuni numeri possono dare un’idea delle proporzioni del fenomeno: nei primi sei mesi del 2013 sono sbarcati 7.916 profughi, mentre nello stesso periodo del 2014 sono stati 61.500 (in tutto il 2011, considerato annus horribilis per le traversate, non vennero superati i 63mila). Ad agosto questo numero era già vigorosamente aumentato superando la soglia, tra mare e terra, di 103mila arrivi nel solo periodo tra gennaio e agosto (i dati sono forniti dal Dipartimento immigrazione), cinque volte di più rispetto a quanto verificatosi l’anno precedente e il doppio rispetto a quelli accolti nel periodo caotico delle primavere arabe. Il 31 ottobre il numero era arrivato a 153.389 (di cui 106.732 nella sola Sicilia), facendo ammontare a 316.155 gli stranieri giunti irregolarmente in Italia da cinque anni a questa parte. Gli ultimi giorni di dicembre Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, annunciava l’ultimo agghiacciante bollettino: «Nel 2014 hanno attraversato il Mediterraneo 208mila persone: di queste 170mila sono approdate in Italia». E aggiunge: «Temiamo che il flusso aumenti, soprattutto dalla Siria. Ci sono 9 milioni di persone in fuga dalla Siria». Nel solo Canale di Sicilia, dal primo gennaio al 28 dicembre 2014, i mercantili delle Capitanerie di porto e della Marina militare hanno eroicamente soccorso 42mila migranti, quattro volte di più rispetto all’anno precedente. Nei soli primi sette mesi del 2014 sono stati inoltre 14mila i minori arrivati in Italia, e di questi ben 8.600 separati (talvolta forzosamente) dalla propria famiglia.
Se consideriamo il numero degli sbarchi, possiamo stimarli in 1.109 nel 2014 contro i 483 del 2013.


Schema apparso sul Corriere della Sera dell'01/07/2014

È quasi sicuramente un falso mito la teoria che vedrebbe nelle capillari operazioni umanitarie un incentivo alle partenze, visto che da quando è stata dismessa l’operazione Mare Nostrum gli sbarchi, ben lungi dal calare, hanno proseguito la loro crescita: secondo l’Alto commissariato per i rifugiati, nel gennaio 2015 gli arrivi via mare sono stati del 60% superiori a quelli del gennaio 2014.
Inutile dire che l’accoglienza di questi disperati raggiunge livelli d’inadeguatezza disumana: la struttura di Lampedusa originariamente contava 850 posti letto garantiti, dopo un incendio dell’autunno 2011 sono divenuti 254. Nell’ottobre 2013 lì dentro vivevano 1055 esseri umani, con un tempo di permanenza medio di una settimana.


Schema apparso sul Corriere della Sera del 28/12/2014

La Sicilia è la regione che più di tutte deve sobbarcarsi l’onere di questa tragedia: l’81% dei migranti sbarcano in quest’isola (al secondo posto c’è la Puglia, con una percentuale dell’8%), e lì (i numeri sono aggiornati al 31 luglio 2014) vengono provvisoriamente accolti nelle strutture temporanee e nei centri governativi il 28% dei profughi, mentre il 13% finisce nel Lazio e l’11% in Puglia. La situazione è comunque fuori da ogni previsione. Quest’estate i tecnici del ministero dell’Interno ammonivano: «In base alle risorse del bilancio di assestamento l’accoglienza è demansionata su un numero massimo di 90mila, al più 100mila, arrivi. Ma il tetto è già stato superato e le nostre previsioni aggiornate parlano di almeno 140mila arrivi nel 2014» (previsione ottimista, come abbiamo visto).


Schema apparso su La Repubblica del 25/08/2014

Le espulsioni non sono nemmeno da prendere in considerazione: oltre ad essere costose e poco efficienti, bisogna ricordare che l’80% delle persone sbarcate nel 2014 ha diritto, in base a quanto prescrive anche la nostra Costituzione, a delle forme di protezione. Non sono molti, infatti, i migranti che fuggono unicamente per motivi economici: c’è qualche tunisino e al limite qualche minorenne egiziano, ma nulla di più. Eppure i richiedenti asilo in Italia non sono molti: nel maggio 2014 ammontavano a 10.300 le persone presenti nei centri Cara (centri di accoglienza richiedenti asilo), a 12.500 le persone registrate nel sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e 10.300 le persone presenti nelle strutture di prima accoglienza. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, tra gennaio e agosto sono state 25.026 le richieste di asilo giunte al nostro Paese (in tutto il 2013 sono state 27.830). Sempre ad agosto, il ministero dell’Interno stimava in 53mila le persone accolte nelle nostre strutture d’accoglienza, aggiungendo che nell’ultimo anno è stato concesso asilo a 24.435 richiedenti su 35.424 domande presentate. In tutto il 2014, a detta del Viminale le richieste d’asilo non hanno superato le 63mila, mentre sono 16mila le richieste di protezione internazionale esaminate dalle Commissioni territoriali.
Numeri che dimostrano chiaramente come l’Italia non sia la mèta predestinata dai profughi che sbarcano sulle nostre coste: si prediligono i paesi del nord Europa, più accoglienti e dotati di migliore assistenza. Ma ecco che le assurdità legislative s’inseriscono prepotentemente nella già disgraziata vicenda di questi disperati. Il regolamento di Dublino II (2003) prevede infatti che l’unico stato competente a valutare la richiesta d’asilo corrisponda al primo Paese dell’area Schengen in cui il migrante ha poggiato il piede, costringendo quindi quest’ultimo a rimanere lì.
Ecco allora che si studia il più semplice degli escamotage: le autorità italiane acconsentono tacitamente a non riconoscere e identificare gli stranieri, abbandonando al proprio destino i profughi, costretti con i propri mezzi e in totale clandestinità a raggiungere lo stato dove eseguire la richiesta. Come sottolineava Gad Lerner su «La Repubblica» del primo luglio, dopo aver concesso il monopolio del traffico di esseri umani alle organizzazioni criminali, «per favorire la loro ripartenza, dopo quello degli scafisti incrementiamo pure il traffico dei passeur», prolungando a dismisura l’odissea di questi poveri cristi i quali sono sovente costretti a viaggiare attraverso l’Europa nascondendosi dentro un camion (come scoperto ad agosto a Ilminster, nell’Inghilterra meridionale) o un container, oppure aggrappandosi sotto il vano di un tir o al semiasse di un pullman turistico, oppure ad appiattirsi in qualche intercapedine di un traghetto.
Alla fine, come dichiarato da Carlotta Sami, «a Milano quest’anno ne sono transitati 50mila, solo una quarantina ha chiesto asilo politico qui. Gli altri hanno preferito il Nord Europa». Più precisa Daniela Pompei, responsabile per gli immigrati nella Comunità di Sant’Egidio: «La maggior parte delle 170mila persone arrivate in Italia ha diritto a chiedere asilo: di queste, poi, qui ne sono rimaste 62mila». A dispetto di quanto dichiarato dagli xenofobi nostrani, la Svezia (paese con 9,5 milioni di abitanti) stando ai dati Unhcr ha ricevuto nel 2013 50mila richieste d’asilo, mentre l’Italia (pur disponendo di 60 milioni di abitanti) ne ha ricevute non più di 25mila. La disparità è lampante nel caso delle domande dei siriani: 14.367 in Svezia contro 677 in Italia. Nel panorama dell’intera Europa, «lavoce.info» stimava per il 2011 571mila rifugiati in Germania, 194mila nel Regno Unito, 210mila per la Francia, 87mila per la Svezia, 75mila per l’Olanda e solo 58mila per l’Italia. Per rendere ancora più chiara l’idea, in Svezia ci sono 9 rifugiati ogni mille abitanti, 7 in Germania, 4,5 in Olanda e solo 1 in Italia.


Schema apparso sul Corriere della Sera del 25/10/2013

Qui si conclude il viaggio verso l’Europa. Quello che viene dopo: la discriminazione, lo sfruttamento, il disagio o la reclusione in centri ben poco consoni a paesi civili come i Cie meriterebbero nuovi approfondimenti.
Di fronte a questa tragedia di portata storica, provoca un effetto disarmante scoprire che l’Europa preferisce trascorrere gran parte del proprio tempo dietro i decimali di bilancio pubblico o appresso a nuovi regolamenti sulla dimensione degli ortaggi: come scriveva Guido Viale sul «manifesto» del primo agosto, sembra di assistere alla riedizione del «dibattito sul sesso degli angeli che impegnava i governanti di Bisanzio mentre i Turchi la stavano espugnando». E non può che suscitare ribrezzo l’atteggiamento dimostrato spavaldamente dai più ferrei antieuropeisti di marca razzista. Si legga ad esempio quanto scriveva Paola Pellai su «La Padania» del 14 maggio 2009: «Se rinasco voglio fare la rifugiata perché così non devo sbattermi a fare un mutuo, né a cercare un lavoro né a mettermi in quelle logoranti file d’attesa che prima che li accontenti tutti è già tempo di cercarti un ospizio…».
La situazione merita interventi risoluti e urgenti. Anche l’invocata Mare Nostrum, pur indispensabile per fermare la mattanza, come scriveva Gad Lerner «è solo un palliativo, là dove andrebbe creato subito un corridoio umanitario, ovvero un servizio civile di traghetti e voli charter per smistare razionalmente i migranti in varie destinazioni europee». Concludendo: «Traghetti subito. Mutuo riconoscimento delle domande d’asilo. Monitoraggio comune e equo smistamento». Un auspicio che esige una risposta.

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