giovedì 17 aprile 2014

Assalto alla dirigenza





Il calendario segna la data del 20 gennaio 2014, siamo davanti al banco del buffet preparato negli studi Rai pochi minuti prima della messa in onda di «Porta A Porta». Sta per aprirsi una puntata che ha come ospiti Matteo Renzi, segretario del Pd, e Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni. I due invitati più prestigiosi si rilassano un po’ prima di andare apparire davanti agli schermi; sebbene Scaroni sia un berlusconiano di ferro, tra i due si è creato un buon feeling. È in questa situazione che l’ad di Eni chiede tranquillamente: «Matteo, hai visto quello schema che ti ho mandato? Se c’è qualcosa che non si capisce, chiamami…». Il riferimento, neanche troppo velato, è al cambio di vertici delle principali aziende pubbliche che si sta consumando in questi giorni. Quella frase mostra inequivocabilmente come le grosse aziende pubbliche stavano meditando già in quei giorni che un cambio di governo era necessario; sapevano che l’esuberante sindaco di Firenze rappresentava una garanzia sui nomi da assegnare alla testa dei vari colossi. Sono state proprio quelle aziende le prime a spingere Renzi verso la decisione di disarcionare Letta.
Il «cambio della guardia» che sta avendo luogo, infatti, era un passaggio atteso da tempo e di importanza quasi vitale per i diretti interessati. Inoltre, non succedeva da anni che a occuparsi delle nomine (e quante nomine!) fosse un governo a guida di centrosinistra.
Insomma, uno dei motivi (per non dire il principale motivo) che hanno portato Renzi a Palazzo Chigi è proprio la fiducia che le grosse aziende pubbliche nutrivano in lui in vista di questo cambio di vertici. Sarebbe stato da ingenui aspettarsi che i desiderata dei pezzi da novanta non venissero rispettati: l’attuale Presidente del Consiglio aveva un forte debito da saldare con questi personaggi.
Con la nomina dei ministri e dei sottosegretari avevamo visto come Renzi, a dispetto della sua sbruffoneria di facciata, si prodighi sempre per non scontentare nessuno: tra ministri e sottosegretari il premier era riuscito a soddisfare tutti i partiti e le correnti politiche che garantiscono la sopravvivenza del suo esecutivo, compresa Forza Italia (che si è vista assegnare il ministero dello Sviluppo Economico e i sottosegretari alla Giustizia pur essendo ufficialmente all’opposizione).
Il modus operandi adoperato per tracciare la lista delle nomine delle principali aziende pubbliche si è svolto più o meno sulla stessa falsa riga, con la differenza che, oltre ai partiti politici, Renzi si è sentito in dovere di ringraziare (regalando una poltrona di prestigio) anche le forze economiche che gli hanno permesso di arrivare a ricoprire la carica di primo ministro.
A leggerli a prima vista certi nomi non dicono nulla, ecco perché mi sono sentito in dovere di stilare un elenco che sveli i nomi (con breve descrizione) di coloro che in questi giorni sono riusciti ad accaparrarsi una fetta importante di potere dopo aver garantito a Matteo Renzi il sostegno per la scalata fino a Palazzo Chigi. 

Mauro Moretti: Fino a qualche giorno fa era amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, ora è diventato (quinta nomina consecutiva da ad) amministratore delegato della ben più prestigiosa Finmeccanica. Bisogna riconoscergli che ha sempre svolto il suo ruolo con senso del dovere. Tale senso del dovere, unito con una solida amicizia che lo lega a Massimo D’Alema, gli hanno permesso di rimanere nel pantheon delle aziende pubbliche nonostante la recente affermazione: «Se tagliano gli stipendi ai manager, io me ne vado». Un peccatuccio perdonato in fretta e furia. 

Luisa Todini: Diventata presidente di Poste Italiane, è il regalo più vistoso concesso a Berlusconi: Todini, infatti, in passato ha ricoperto la carica di eurodeputata del Pdl. C’è anche qualche sospetto di conflitto d’interessi, visto che la Todini appartiene a una famiglia di costruttori. 

Emma Marcegaglia: Ora presidente di Eni, è anche azionista di Alitalia. Qualcuno ha fatto notare che il fratello di Emma, Antonio, cinque anni fa fu condannato per aver pagato una tangente a un manager di Enipower. Ironia del destino? 

Claudio Descalzi: Nominato amministratore delegato di Eni, questo invece è il regalo per Scaroni (di cui abbiamo già visto il suo peso nell’intera vicenda). Descalzi, infatti, è il delfino più fidato dell’ex ad di Eni. 

Alberto Bianchi: Nominato membro del consiglio d’amministrazione di Enel, è tuttora presidente della Fondazione Open che si è occupata di finanziare le campagne politiche di Matteo Renzi. 

Roberto Rao: Nominato membro del consiglio d’amministrazione di Poste Italiane, è nientemeno che l’ex portavoce di Pier Ferdinando Casini ed ex deputato dell’Udc. 

Salvatore Mancuso: Nominato membro del consiglio d’amministrazione di Enel (in realtà lo avevano messo in Eni, ma una volta scoperto che la presidente dell’ente era la Marcegaglia, Mancuso ha puntato i piedi per essere cambiato di posto) è in quota Alfano. Inoltre, guida la società d’investimenti Equinox, azionista di Alitalia. 

Diva Moriani: Membro del consiglio d’amministrazione di Eni, azionista di Alitalia e consigliere d’amministrazione di i2 Capital partners sgr., società che fa parte del gruppo Kme Intek. Ai vertici di Kme Intek siede Vincenzo Manes, amico intimo (ma soprattutto finanziatore) di Matteo Renzi. 

Fabrizio Landi: Nominato nel consiglio d’amministrazione di Finmeccanica, si tratta dell’ex amministratore delegato di Esaote, che in passato ha versato 10mila euro per la Fondazione Open al fine di sostenere Matteo Renzi. 

Antonio Campo Dall’Orto: Consigliere d’amministrazione di Poste Italiane, ex vicedirettore di Canale 5 ma soprattutto sostenitore della Fondazione Open. 

Marta Dassù: Nominata membro del consiglio d’amministrazione di Finmeccanica, in passato è stata consigliere politico del Presidente del Consiglio Massimo D’Alema. 

Andrea Gemma: Nominato membro del consiglio d’amministrazione di Eni in quota Alfano.

E dire che erano stati interpellati ben due «cacciatori di teste» e addirittura una commissione di saggi capitanata da Cesare Mirabelli al fine di fornire i nominativi più idonei. Fatica sprecata: si sapeva fin dall’inizio che le regole che dominano questi giochi hanno ben poco a che fare con la competenza. La «spinta rinnovatrice» la si è vista nella rilevante quota femminile alla presidenza di ben tre aziende e di questo è giusto riconoscere il merito. Ma oltre a ciò Renzi ha dimostrato ancora una volta che il suo modo di agire non è quello del carro armato che va avanti senza guardare in faccia a nessuno: il suo modo di agire è quello dell’astuzia e della tattica atta a non scontentare nessuno. Lo abbiamo visto per i vari incarichi assegnati (sia al governo che nelle aziende) e lo vedremo anche nelle riforme.

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