martedì 6 maggio 2014

Salviamo la Reggia di Carditello





Il paesaggio bucolico della Campania settentrionale ha fatto rimanere estasiate generazioni di autori e artisti. Plinio il Vecchio scriveva: «Da qui comincia la celebre Campania Felix, da questo punto hanno inizio i colli pieni di viti…», secoli dopo Wolfgang Goethe consigliava: «Bisogna vedere questi paesi per comprendere cosa vuol dire vegetazione e perché si coltiva la terra. […] La regione è totalmente piana e la campagna intensamente e diligentemente coltivata come l’aiuola di un giardino», Carolina Bonaparte rincarava la dose: «Quella è una terra promessa. Nella campagna si vedono festoni di viti attaccati agli alberi con sparsi grappoli di uva assai più belli di quelli che gli ebrei portarono a Mosè…»
Insomma, una fetta di territorio incantevole e invidiata in tutto il mondo. Non a caso Carlo di Borbone (1716-1788) scelse quest’area per erigere una Reggia destinata a ospitare la famiglia reale nei momenti di svago e riposo; e per raggiungere questo obbiettivo si affidò ai migliori artisti dei tempo: basti pensare che per la sola progettazione si incaricò Francesco Collecini, uno dei migliori allievi del Vanvitelli.
Il risultato fu un autentico gioiellino, il cui fiore all’occhiello (per volontà di Ferdinando IV) era la sublime organizzazione della tenuta agricola circostante: 2070 ettari di giardini, frutteti e tenute da caccia che rappresentavano il vanto della famiglia Borbone. Un tesoro, definito dai Borbone «Real Delizia», destinato ad un assai ingrato destino: dopo l’Unità d’Italia la famiglia Savoia non sapeva che farsene della Reggia di Carditello e ne affidò la gestione ai capi della camorra casertana. Nel 1920 la tenuta agricola venne venduta e la villa iniziò una lunga via crucis di passaggi di proprietà tra i più svariati enti pubblici: fino al secondo dopoguerra rimase nelle mani dell’Opera Nazionale Combattenti, poi finì al Consorzio generale di bonifica del bacino inferiore di Volturno. Mentre si trovava sotto la tutela del Consorzio, a qualcuno venne l’idea di usare la Reggia come sede di prestigio in vista della costruzione della linea Alta Velocità Roma-Napoli e si iniziarono addirittura i primi lavori di restauro.
Il progetto andò in fumo: il Consorzio proprietario della villa andò incontro al fallimento, i lavori della Reggia furono bloccati e il palazzo stesso finì ipotecato dal Banco di Napoli.
Totalmente abbandonato a se stesso, si concluse che l’unica soluzione era quella di vendere il gioiellino al miglior offerente. Fu così che la Reggia di Carditello venne battuta all’asta.
La storia, però, era tutt’altro che conclusa: vennero fatte tre aste, e in nessuna delle tre si riuscì a trovare un acquirente. Il prezzo passò da 35 milioni a 10 milioni di euro, eppure nessuno voleva saperne.
La cosa può sembrare assurda, ma guardando le condizioni in cui versa la Reggia ci si rende conto che questa reticenza è pienamente comprensibile: già saccheggiata dall’esercito nazista durante la Seconda guerra mondiale, la villa rappresenta tuttora l’esempio massimo di degrado delle bellezze artistiche del Mezzogiorno.
Gran parte della Reggia è stata nel corso degli anni depredata da criminali di ogni genere: hanno rubato una buona parte delle colonnine che reggevano le balaustre dell’altana, hanno rubato il marmo presente nelle scalinate, hanno rubato i cancelli settecenteschi, hanno rubato interi pezzi di affresco, si sono rubati anche gli stucchi, i camini, le panche, i pavimenti dell’altana. Si cercò di porre un freno a questa barbarie apponendo un sistema d’allarme. Ebbene, hanno rubato anche il sistema d’allarme. Non solo: l’ingordigia di chissà quale boss ha fatto in modo che venisse rubato l’impianto elettrico della villa; rubata la centralina, rubati i quadri di comando, rubati i fili passati nelle canaline.
Risultato: oggi nella Reggia di Carditello non c’è nemmeno la corrente elettrica.
Come se non bastasse, il terreno dove una volta si potevano ammirare gli splendidi giardini, ora ospita le discariche abusive gestite dalla camorra.
Il ministero dei Beni Culturali si è accorto della presenza della Reggia solo nel 2004, un anno dopo il pignoramento giudiziario; soltanto allora si è deciso di apporre il vincolo monumentale su questo incantevole palazzo e solo da allora sono iniziati ad arrivare un po’ di fondi per il recupero del sito (fondi comunque vanificati dai saccheggi). Ci vorranno altri dieci anni per arrivare alla svolta definitiva: considerando che le aste sono state inutili, lo scorso gennaio Intesa Sanpaolo (che soppiantando il Banco di Napoli è divenuto proprietario del tesoro) ha incamerato la Reggia a pagamento del debito e, successivamente, ha firmato un contratto preliminare per cedere la villa al ministero dei Beni Culturali.
Insomma, dopo anni di peripezie la Reggia è tornata nelle mani dello Stato, una conquista che stava particolarmente a cuore all’ex-ministro Bray.
Una battaglia è stata vinta, ma siamo solo all’inizio del cammino. Ora viene la parte più complicata: il restauro, la messa in sicurezza della Reggia, la bonifica dei terreni infetti di rifiuti, la valorizzazione turistica.
I problemi da affrontare sono molteplici e facilmente intuibili; oltre alla scarsità di fondi per il restauro ci troviamo in un territorio dove la camorra spadroneggia senza rivali e dove ogni singola operazione rischia di dover fare i conti con questa realtà che soffoca ogni iniziativa onesta.
Una persona sapeva bene cosa significa voler difendere la Reggia di Carditello: Tommaso Cestrone, volontario della protezione civile, ha passato gli ultimi anni della sua vita cercando di proteggere questo tesoro. Questa sua missione gli ha procurato minacce, incendi, ritorsioni di ogni genere, uccisione delle sue pecore; eppure non si è mai tirato indietro. La notte di Natale aveva scritto su facebook rivolgendosi al ministro Bray: «Auguri dalla Reggia di Carditello. Il mio Natale è qua». Sarebbe morto poche ore dopo.
Questa la triste storia della Reggia di Carditello, uno dei tesori più offesi e dimenticati del nostro immenso patrimonio artistico. Facciamo in modo che d’ora in avanti questo gioiello venga valorizzato in tutta la sua bellezza. Lo dobbiamo al povero Tommaso, eroe dei giorni contemporanei, ma soprattutto lo dobbiamo a noi stessi(1).


------------------------------------


(1) Per la storia della Reggia ci si è affidati all’articolo di Gian Antonio Stella sul «Corriere della Sera» del 09/01/2014 e a quanto descritto nel libro «Se muore il Sud» di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, ed.2013

Nessun commento:

Posta un commento