lunedì 13 gennaio 2014

Lega Mort: il fallimento politico dei padani



C’era una volta la secessione. Una volta accortisi che la secessione poteva andare bene solo per qualche slogan elettorale, si puntò a livello pratico sul federalismo, a cui si accompagnava un progetto nebuloso che prendeva il nome di «macroregione».
Si è parlato molto di come il proposito moralizzatore della Lega Nord sia definitivamente crollato sotto i colpi delle indagini giudiziarie sull’uso assolutamente improprio dei rimborsi elettorali.
Non si è invece mai dato grande risalto al fallimento prettamente politico del partito. Partito che ha avuto un ruolo determinante nei governi Berlusconi e che, di conseguenza, ha tenuto in mano una parte considerevole delle redini del paese per un decennio. Partito che, considerandone la nascita anagrafica, è il più vecchio tra quelli tuttora presenti sulla scena politica.
Visti questi illustri trascorsi, la domanda sorge spontanea: la Lega è riuscita nel suo intento federalista? La risposta è netta: no.
Nel mare degli slogan populisti che ha costituito buona parte del fascino e dell’ideologia leghista, il federalismo (quantomeno quello fiscale) sembrava una proposta tutto sommato ragionevole e attuabile.
Soltanto tre anni fa, gli industriali lombardi riuniti a Cernobbio si dichiaravano fiduciosi e «pronti al federalismo»(1). Nel settembre 2013, in occasione del seminario Ambrosetti riunito, per pura coincidenza, sempre a Cernobbio, gli imprenditori hanno mutato profondamente il loro giudizio.
La domanda rivolta agli organizzatori del seminario era la seguente: «Quali dei grandi temi del Paese devono essere delegati alla competenza delle Regioni e non devono essere accentrati?». Le risposte sono assai eloquenti: il 40% ha dichiarato «nessuna», il 36,2% ha risposto «il turismo». I grandi temi per cui era nato il federalismo (sanità, grandi infrastrutture ed energia) hanno beccato rispettivamente il 7,6%, il 6,7% e il 9,5%(2). Briciole. Praticamente nessun imprenditore affiderebbe queste tre responsabilità alle Regioni.
Il commento a caldo di Luca Antonimi, ex presidente della commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale, è il seguente: «Non mi stupisco. Siamo riusciti a creare un federalismo di complicazione che rende la vita difficile alle imprese perché ha moltiplicato gli adempimenti e ha massacrato la certezza del diritto»(3).
Il vicepresidente di Confindustria con delega per i problemi del fisco, Andrea Bolla, ha saggiamente dichiarato: «Volevamo meno tasse e più efficienza e invece il federalismo ci ha portato in direzione opposta. La fiscalità locale si è sommata a quella nazionale e si è creata una sovrapposizione di competenze tra centro e periferia che ha complicato ulteriormente la vita degli imprenditori»(4).
Per quanto riguarda l’energia, grazie alla devolution verso gli enti locali, i piani di investimento sono bloccati. Per il lavoro, le Regioni che vedono più autonomia sono quelle dove ci sono più ritardi e incertezze normative.
La Cgia di Mestre ha calcolato che, a partire dal 1997 (quando entrò in vigore la legge Bassanini che diede il primo via libera alla decentralizzazione) le tasse locali sono aumentate del 204,3%, con un aumento in termini assoluti di 74,4 miliardi di euro(5). Secondo la Confartigianato, fra il 2000 e il 2010 le tariffe dei servizi pubblici locali sono cresciute in Italia del 54,2% (quasi 25 punti al di sopra della media europea) e la tassa sui rifiuti nel periodo 2003-2013 è cresciuta del 56,6%(6).
Mentre per quanto riguarda i costi generali delle amministrazioni centrali l’Italia si trova nella media europea (38 miliardi, contro i 40 della Germania e i 23 della Francia), i costi delle amministrazioni locali sono di 13 miliardi in Italia e soltanto di 5 miliardi in Francia(7).
Un conto così salato dovrebbe garantire servizi impeccabili e pareggio di bilancio. Invece è proprio il contrario: secondo la Corte dei Conti le amministrazioni locali nel 2012 hanno speso 230 miliardi guadagnandone solo 140, e i servizi lasciano il più delle volte a desiderare(8).
Questi numeri fanno capire chiaramente il fallimento del federalismo leghista. Ora, infatti, il Carroccio sembra aver abbandonato il progetto e avere un’altra idea per la testa: la «macroregione».
La Lega si trova infatti nella paradisiaca situazione di avere il controllo delle tre più importanti regioni del Nord: Piemonte, Lombardia e Veneto. Veneto e Piemonte sono state conquistate rispettivamente da Luca Zaia e Roberto Cota il 28 marzo 2010 (nel periodo d’oro del consenso leghista), mentre la Lombardia è stata espugnata da Roberto Maroni durante le elezioni del 24 febbraio 2013. Un trionfo del genere aveva fatto dire a Maroni (allora segretario della Lega) in occasione della sua elezione: «Abbiamo tre governi di coalizione che hanno un’idea in testa: far ripartire la macchina del Nord». Non solo: «L’ambizione non è solo la macroregione ma anche di dar vita, sul piano politico, a qualcosa di nuovo che metta insieme le forze che adesso ci sono, Lega, Pdl e vedremo chi, sul modello bavarese, Csu, o sul modello catalano». Arrivando a minacciare: «Se serve, faremo guerra a Roma e al governo»(9).
Sembrano risoluti i leghisti, eppure a livello pratico questo «asse del Nord» fatica a mettersi in moto: ad esempio, a luglio il Veneto ha presentato il nuovo orario dei treni regionali, che ha visto di fatto annullate otto corse Venezia-Milano per questioni di bilancio(10).
A quanto pare Cota e Maroni hanno più a cuore le magagne interne (accentuate in queste ultime settimane dai dissidi provocati dalla spaccatura del Pdl) che non il progetto della «macroregione».
Un insospettabile aiuto alla causa è arrivato dalla tanto vituperata Europa: nell’ottobre 2013 il Ministro degli Esteri Emma Bonino con i colleghi di Francia, Slovenia, Austria, Germania, Svizzera e Liechtenstein ha firmato una risoluzione per dare vita all’Euroregione alpina, che comprende anche le cinque regioni del Nord-Italia. «Sono la stessa cosa» ha chiosato Maroni. A quanto pare si è dimenticato del fatto che questo strumento è nato nel 2006 con l’intento di favorire la gestione di alcune politiche comuni nelle aree di confine, senza alcuna velleità federalista o di trattenuta fiscale(11).
La recente sentenza del Tar, che di fatto ha annullato l’elezione di Roberto Cota a governatore del Piemonte a causa di alcune firme false presentate dalla lista «Pensionati per Cota», suona come un colpo di grazia al progetto della «macroregione».
Insomma, per la Lega questo è un periodo più nero che mai.


Il neo-segretario Salvini sta giocando il tutto e per tutto puntando sui temi anti-europeisti, e non è affatto scontato che la Lega non si possa riprendere da questa sua agonia. Se poi si dovesse optare in Italia per il sistema elettorale di tipo spagnolo (Dio non voglia) la Lega potrebbe addirittura ambire ai consensi del passato. L’incubo non è finito.

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(1) da Dario Di Vico, sul «Corriere della Sera» del 09/09/2013, pag.5
(2) da uno schema riportato sul «Corriere della Sera» del 09/09/2013, pag.5
(3) da Dario Di Vico, sul «Corriere della Sera» del 09/09/2013, pag.5
(4) ibid.
(5) da uno schema riportato sul «Corriere della Sera» del 09/09/2013, pag.5
(6) da Sergio Rizzo, sul «Corriere della Sera» del 07/10/2013, pag.1
(7) da una lettera scritta da Gianfelice Rocca, Presidente di Assolombardia, pubblicata sul «Corriere della Sera» del 19/09/2013
(8) ibid.
(9) da Sergio Rizzo, sul «Corriere della Sera» del 15/12/2013, pag.10
(10) ibid.
(11) ibid.

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