venerdì 31 gennaio 2014

Si mangia, si beve e Sicilia


La situazione della Sicilia si può riassumere nel paesaggio urbano di Palermo. Macerie e degrado convivono a stretto contatto con alcune delle più incantevoli opere d’arte di cui dispone il nostro Paese. Il meraviglioso complesso della Casa Professa, ad esempio, si trova immerso nel lerciume del mercato di Ballarò.
Estrema magnificenza ed estrema povertà. L’isola sembra non conoscere qualcosa di diverso dall’iperbole. Vale anche per la situazione sociale.
La Sicilia è la regione che più di tutte è stata colpita dalla scure della crisi. Il 20% delle famiglie siciliane vive con meno di mille euro al mese (nella vicina Calabria sono «solo» il 12,8%), due giovani su tre sono senza lavoro, le donne che lavorano sono solo il 34,7% (la media italiana è del 57%), l’abbandono scolastico è fissato al 25% (in Germania è a quota 10,5%). La società del trasporto pubblico di Palermo (l’Amat) ha avuto nel 2012 un bilancio in perdita di 9,5 milioni di euro. Nel 1951 la Sicilia, secondo Confindustria, produceva 1/8 del Pil italiano; ai giorni nostri ne produce 1/18. Nel 2011 il Pil pro capite della Val d’Aosta, secondo l’Istat, era di 32.565 euro; in Sicilia era di appena 15.136 euro, ossia il 66% rispetto alla media europea e con un calo del 13,3% rispetto al 2007. Secondo lo Svimez «crolla Pil siciliano (-4,3%), doppiata la decrescita nazionale». A detta de «Il Giornale di Sicilia» ci sono stati «65mila posti di lavoro persi in raffronto con il primo trimestre 2012, disoccupazione al 21,1%, imprese alla canna del gas con cali di fatturato e investimenti al palo, scambi con l’estero a -17,9%, con l’export petrolifero crollato a -28,4%, mercato immobiliare paralizzato e sempre meno mutui per l’acquisto di abitazioni (-26,9%)».
Inoltre, ancora secondo Confindustria, gli investimenti esteri in Sicilia nel periodo 2007-2011 erano lo 0,4% degli investimenti esteri compiuti in Italia.
Una situazione assai drammatica, che dovrebbe far comprendere la necessità urgente di agire. Nessuno si aspetterebbe che, da parte degli enti che dovrebbero provvedere a risanare queste profonde fratture, ci sia lo spreco più sfrenato. La Corte dei Conti, nel lontano giugno del 1990, denunciava: «C’è un concentrato di malgoverno nel quale emerge l’esplosione delle spese a scopo clientelare o demagogico».
Da allora non è cambiato molto, sebbene al governo della regione si siano avvicendati uomini di destra e di sinistra. Le situazioni di spreco dell’isola sono centinaia. Analizziamo soltanto il personale.
Nel 2010 i dipendenti della regione erano nientepopodimeno che 144.148 (di cui 17.531 assunti a tempo indeterminato), con 1874 dirigenti in più rispetto alla media nazionale.
Dirigenti e dipendenti che, ancora nel Natale del 2009, si vedevano ricevere regali di tutto rispetto: 300 gemelli da polsino e orecchini d’oro da 358 euro al pezzo, «1500 teste in ceramica dei discendenti dei Borbone» da 115 euro l’uno, cravatte di grande pregio e altro ancora.
Ma soffermiamoci un attimo sui dirigenti regionali: in totale sono 1818, in pratica uno ogni 9 dipendenti (nelle altre Regioni a statuto autonomo il rapporto è 1 a 19), una cifra all’incirca equivalente al numero dei dirigenti delle quindici regioni a statuto ordinario sommate insieme. I dirigenti di stanza a Palermo, tanto per dirne una, sono 7.647, il doppio di quelli lombardi. In mezzo a questa compagine di dirigenti si assiste a scene quasi grottesche: nel Parco archeologico dell’isola di Pantelleria c’è un unico dirigente che dirige soltanto se stesso (e non è un caso isolato: un caso analogo avviene al Parco archeologico della Morgantina e un atro ancora nella «Sezione operativa di assistenza tecnica» dell’assessorato all’Agricoltura).
Passiamo ora ai dipendenti: l’ufficio legale della regione conta la bellezza di 102 avvocati, nella sola Castelvetrano ci sono nel libro paga 77 ispettori del lavoro, il museo «Pirandello» di Agrigento conta 66 dipendenti e in questo esorbitante numero si trova in concorrenza con il «Pietro Griffo», che di dipendenti ne ha 68. Ovviamente poi bisogna aggiungere i 244 dipendenti del dipartimento dei Beni culturali. Lasciando per un attimo da parte il patrimonio culturale si scopre, ad esempio, che il Corpo forestale conta 480 dipendenti, il dipartimento «Acqua e rifiuti» 511, l’autoparco regionale nientemeno che 127.
E qui stiamo escludendo il personale esterno e a tempo. Non mi voglio dilungare molto a riguardo, segnalo soltanto che la Corte dei Conti indica in 20.213 unità il numero del personale di questo tipo. Infine c’è il magico mondo delle municipalizzate, che conta qualcosa come 7000 dipendenti.
Numeri abnormi, di cui bisogna mettere nel conto anche il costo delle pensioni che bisognerà erogare a questi individui. Il 31 dicembre gli assegni previdenziali sono stati 16.377, con 580 nuovi pensionati (di cui i due terzi ha chiesto pensioni particolari, ossia pensioni erogate grazie a una bizzarra normativa che prevede la possibilità di andare in pensione se un genitore è disabile, indipendentemente dall’età). Come se non bastasse, il vitalizio viene calcolato in larga misura in base all’ultima busta paga.
Ed eccoci arrivati ai costi della politica vera e propria, quelli che fanno più rabbrividire. Fa venire i capelli dritti pensare che i contributi dei lavoratori coprono soltanto il 32,3% dei vitalizi. A dicembre si è riusciti a ridurre il tetto degli stipendi dei parlamentari regionali portandoli a quota 11.100 euro lordi con solo qualche piccolo bonus. La beffa però rimane: la norma prevede l’adeguamento automatico al costo della vita. Quindi non è detto che il risparmio avvenga veramente. Fino a dicembre, infatti, la situazione aveva dell’incredibile. I 90 deputati regionali guadagnavano mediamente 11.780 euro netti al mese, tralasciando i vari bonus (tra cui 7.989 euro annui per il carburante necessario per raggiungere Palazzo dei Normanni e 4.866 euro per i presidenti dell’Assemblea e della Regione) che facevano lievitare lo stipendio alla cifra di 14.808 euro netti al mese, con punte di 17.476 (il doppio del segretario generale dell’Onu). Gli assessori regionali, con 9.900 euro al mese, guadagnavano più dei ministri. In totale, secondo il sito «lavoce.info», l’Assemblea Regionale costava 156 milioni. Quelli di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sommati insieme hanno un costo inferiore. Facendo tutti i conti, ciascun parlamentare regionale costava 1.735.000 euro (la media italiana è di 875.000 euro, in Trentino il costo medio è di 415.000 euro), il che vuol dire 85mila euro in più rispetto a un senatore. Ogni cittadino siciliano sborsava mediamente 31 euro per mantenere il proprio parlamentino, contro una media italiana di 16. Ogni giorno di seduta arrivava a contare 2.727 euro. Il segretario generale dell’Assemblea, tanto per dirne una, poteva arrivare a guadagnare 650mila euro l’anno, ossia il doppio di Obama, il triplo di Napolitano e 43 volte il Pil pro capite siciliano.
Ma, ripeto, non è detto che la situazione sia destinata a migliorare. Secondo Giancarlo Cancelleri, del MoVimento 5 Stelle, «in realtà abbiamo risparmiato sul lordo, ma non è detto che prendiamo meno sul netto. Infatti la somma comprende l’indennità che è lorda e la diaria che è esentasse. Se mettono l’indennità a 5.100 euro lordi e la diaria a 6.000 euro netti andremmo addirittura a prendere di più…»
Poi ci sono i contributi ai gruppi politici. I quali toccavano, prima del 2012, la sbalorditiva cifra di 136.577 euro per ognuno dei 90 consiglieri.
Ultimo dato: la buonuscita dei direttori regionali, aumentata del 225% dal 2011 a oggi.
Come prevedibile, il bilancio della regione è un requiem. Già nel 2008 la Corte dei Conti denunciava che l’indebitamento era «cresciuto dell’83%». Secondo la Cgia di Mestre il rapporto entrate-uscite della regione è a -1750 euro pro capite (per i lombardi è di +5775).
Una situazione disperata, che ha costretto il governatore Crocetta a salire a Roma l’altro giorno per chiedere disperatamente di sbloccare 558 milioni congelati. Ci riuscirà?(1)

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(1) Le fonti di quanto riportato sono: articolo di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sul «Corriere della Sera» del 25/11/2013 (munito di dati provenienti da Istat, Svimez e Confartigianato), articolo di Valentina Santarpia sul «Corriere della Sera» del 23/11/2013, l'articolo di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella su «Sette-Corriere della Sera» del 06/12/2013,  l'articolo di Gian Antonio Stella sul  «Corriere della Sera» del 22/12/2013, l'articolo di Gian Antonio Stella sul  «Corriere della Sera» del 09/11/2013, l'articolo di Gian Antonio Stella sul  «Corriere della Sera» del 30/01/2014, l'articolo di Sergio Rizzo sul  «Corriere della Sera» del 03/12/2013, l'articolo di Michele Ainis sul  «Corriere della Sera» del 24/11/2013

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