mercoledì 10 dicembre 2014

I Gramazio e il dilemma della classe dirigente



«Er pinguino», viene affettuosamente soprannominato Domenico Gramazio. Affiorato dal sottobosco paludoso del neofascismo romano e noto per la sua assidua familiarità con gli ambienti missini e finiani, viene lautamente ripagato di questa prestigiosa carriera con un’onorifica poltrona parlamentare alla quale «Er pinguino» rimarrà avvinghiato per quattro mandati parlamentari, due volte da deputato e due volte da senatore, per poi passare all’ancor più remunerativo incarico di consigliere regionale del Lazio. Qui s’insedia per tre mandati. Il tutto condito da una formidabile gavetta nei sindacati che lo porterà, da semplice dipendente dell’Inps, a raggiungere gli apici della Cisnal (quella che tutt’oggi viene chiamata Ugl).
Alla fine di questo faticoso peregrinare arriva finalmente la meritata (doppia) pensione: 4982 euro al mese di vitalizio in qualità di ex-parlamentare e 5895 euro al mese di vitalizio in qualità di ex-consigliere regionale, per un totale di 10877 euro mensili. Una parte della quale, possiamo starne certi, donerà quale lascito al figlio insieme alla poltrona che, come impone la tradizione di certi ambienti, è già stata ereditata nel 2013: Luca Gramazio, infatti, ricopre dal 2013 l’incarico di consigliere della Regione Lazio nel gruppo di Forza Italia. «Non percepirò il vitalizio», ammette sconsolato il giovine Gramazio, riferendosi alle disposizioni seguite agli scandali di Batman&co., «ma sono figlio del vitalizio. Sono stato meno fortunato». Una sfortuna destinata a perseguitarlo, considerato il suo coinvolgimento nello squallido putridume dell’inchiesta sulla criminalità mafiosa nella Capitale. Gramazio jr., ascoltato in varie intercettazioni, pare essere legato a doppio filo alla Cupola della sperimentata ditta Carminati-Buzzi in un traffico di mazzette finalizzato alla compromissione del regolare esito delle elezioni regionali. Il suo seggio, questa l’accusa, sarebbe il frutto di una vera e propria manomissione delle schede elettorali. Altro che popolo sovrano, limitandoci a questa vicenda si evince che l’organigramma della Regione Lazio non è altro che il figlio diretto dei desiderata ben sovvenzionati di un manipolo di terroristi neri, ex-picchiatori, cafoni, nefandi e magari pure con qualche mese di galera alle spalle. Talmente insinuati in un intrecciato gioco di favori e «ringraziamenti» da essere diventati essi stessi i burattinai non solo di una classe politica mediocre e succube compiacente, ma dell’intera gestione della cosa pubblica in una Regione come il Lazio e, ancora più agghiacciante, in una città come Roma, al tempo stesso capitale dell’Italia, capitale religiosa, città d’arte, metropoli e città più popolosa della penisola.
Le avventure della famiglia Gramazio non terminano però qui: coloro che possiedono una discreta memoria delle cronache politiche ricorderanno Domenico Gramazio come il senatore che nel gennaio 2008, festeggiando nell’Aula di Palazzo Madama la caduta del governo Prodi, stappò senza pudore una bottiglia di spumante brandendola in aria e barrendo a gran voce la sua euforia.
Le vicende di questa famiglia sembrano una perfetta metafora di tutti i difetti della classe dirigente italiana: l’avidità, il nepotismo (o il clientelismo, a seconda dei casi), l’asservimento verso ambigui «gruppi» di pressione, il disprezzo per la legalità e il dissapore verso i valori della democrazia parlamentare.
Se ascoltassimo le parole del cittadino della strada, basterebbe estirpare la gramigna infestante dell’attuale classe politica e i problemi del Paese si risolverebbero con uno schiocco di dita. Semplice, lineare, di un’elementarità imbarazzante: se la politica rappresenta il tumore cresciuto in un corpo sano come quello del nostro Paese, estraiamo il tumore e tutti gli organi dovrebbero ritornare forti e sani come ai bei tempi. L’antipolitica, in fin dei conti, non va molto oltre questo schema: superiamo tutte le strutture che possono in qualche modo rappresentare un impiccio per il compimento della «pulizia» (via i partiti, via il Parlamento, via lo Stato; si affidi il tutto ad una singola figura carismatica e si proceda ad avviare il liberismo più sfrenato) e i problemi si risolvono senza eccessive scosse e, soprattutto, senza provare a sfiorare i propri personali interessi.
Basterebbe un po’ di memoria storica per comprendere che è proprio l’assenza (e non l’eccessiva presenza) di una guida politica accreditata, strutturata e frutto di una formazione specializzata (come ha fatto notare Sabino Cassese in questi giorni: se non esistono dei partiti solidi e definiti, quale sarà la gavetta per i futuri esponenti della classe dirigente?) ad aver favorito l’insorgere dei peggiori mali della nostra società. Mali, questi, che non appartengono solo alla classe politica come se questa fosse infetta da una specie di pandemia che attacca solo coloro che raggiungono certe cariche: sono mali intrinseci ad una società che si è sempre ritrovata totalmente priva di punti d’appoggio legali e di conseguenza priva di un’autorità statale in grado di fornire un esempio di autorevolezza, autonomia e credibilità. La Chiesa Cattolica, l’unica autorità ad essere sempre stata presente in ogni angolo della penisola e in grado di condizionare con la forza della sua dottrina amplissimi strati della popolazione, ha abdicato dal suo ruolo educativo almeno dai tempi della Controriforma, epoca in cui le gerarchie ecclesiastiche hanno scelto coscientemente (e vergognosamente) di perseguire un indottrinamento fondato sull’esteriorità, sul simbolismo spiccio e sulla forma superficiale degli aspetti quotidiani al posto di dedicarsi a piantare i semi della cultura del rispetto reciproco, del benessere collettivo e della responsabilità nei confronti del mondo circostante.
La continua invocazione popolare (tanto comprensibile quanto contestabile) di una generalizzata minor presenza della politica, di un generalizzato minor intervento pubblico e di una generalizzata soppressione degli aspetti sia formali che sostanziali della vita istituzionale non sono la risposta agli attuali problemi socio-economici, ma ne rappresentano la causa primaria e scatenante. Le imperterrite richieste che arrivano dalla società, ben lungi dall’essere il diserbante dell’attuale classe dirigente, ne rappresentano il miglior concime per mantenerla robusta e in salute. Non dimentichiamo che la famiglia Gramazio proviene dalle fila di Forza Italia, una formazione politica nata esattamente per assecondare queste antiche pulsioni popolari. Cerchiamo di non ripetere l’errore: non affidiamo il nostro futuro nelle mani di formazioni politiche che ne seguono l’esempio.  

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