venerdì 5 dicembre 2014

Beppegrillo.it e la lotta all'ultimo click



Massimo Artini, l’ultimo in ordine di tempo tra i parlamentari pentastellati ad essere finito sul plotone d’esecuzione della Rete degli iscritti, ha descritto nel seguente modo l’ultimo approccio tentato col leader maximo Beppe Grillo: «Beppe ci ha detto che il movimento va bene così, portando come prova i contatti avuti sul sito. Io ho cercato di fargli capire che il successo di un progetto politico non si misura dai clic su Internet». Non sappiamo se il racconto sia veritiero, né se l’enfasi della rabbia abbia offuscato la memoria di questo giovane deputato, fatto sta che una dichiarazione del genere, se unita ad altri tasselli, contribuisce a rendere più chiaro il motivo di tante scelte e di tanti misteri che aleggiano attorno ai 5 Stelle: i click contano, contano molto. Perché molte visualizzazioni significano molta pubblicità per gli inserzionisti che imbottiscono il blog degli annunci più disparati. Più pubblicità significa più guadagno per gli inserzionisti stessi. E se gli inserzionisti hanno un ottimo ritorno il prezzo da pagare per godere di un posto ad ottima visibilità sulle piattaforme a 5 Stelle inizia a lievitare, a tutto guadagno della Casaleggio Associati, che di queste piattaforme ne rappresenta il dominus assoluto.
Fa quasi sorridere leggere le parole di Grillo (che fra l’altro ha già dei trascorsi nel campo della pubblicità) quando asserisce che «la Rete è francescana e anticapitalistica», oppure quando l’esperto di marketing digitale e suo compare Gianroberto Casaleggio si abbandona a frasi come: «Credo che Internet apra all’umanità per la prima volta l’era della partecipazione e della conoscenza. La democrazia diretta si diffonderà in futuro grazie all’aumento dell’informazione libera dovuto a Internet». Quanta ingenuità in affermazioni che paiono dimenticare la realtà di un pianeta dove, al contrario, i grandi padroni della Rete hanno offerto negli ultimi anni lo spettacolo del capitalismo più sfrenato e predatorio. Un pianeta dove, tanto per dare un’idea, i listini della borsa vedono Facebook valere il triplo della Philip Morris e Google valere sette volte più della Nike. Come si fa a vedere il francescanesimo e il baluardo della libertà in una Rete dove il vero obiettivo dei grossi papaveri del web è quello di captare ogni singolo esercizio della nostra vita quotidiana e di catturare ogni nostro desiderio al fine di piazzarci i messaggi commerciali più consoni a noi ma, soprattutto, più remunerativi per le imprese private? È vero, non si possono negare le infinite possibilità che offre la Rete in termini di confronto, divulgazione e scambio d’idee, ma sulle reali potenzialità di aggregazione e di informazione che lo strumento offre c’è ancora moltissimo lavoro da fare: per come stanno le cose adesso, secondo uno studio commissionato dalla Hewlett-Packard, il quoziente intellettivo di alcuni professionisti (professionisti!) distratti dal leggere una mail precipita del 10% (tanto per dare un’idea, la marijuana ottiene una diminuzione del 5%). Il giornalista Federico Mello ha descritto nel seguente modo cosa avviene alla nostra psicologia mentre siamo connessi: «Se siamo sempre impegnati a capire se sta arrivando una nuova notifica, se la gratificazione immediata di una nuova mail (non il suo contenuto, ma l’arrivo della mail stessa) ci distrae da un articolo interessante che stiamo leggendo, se i nostri occhi partono sempre a cercare informazioni che ci riguardano direttamente, vuol dire che nel solo fatto di navigare online la nostra memoria di lavoro è già in buona parte impegnata. Di conseguenza la nostra capacità di pensare quando siamo connessi risulta ridotta. Siamo deboli, insomma, sul web; con un cervello esposto e seminudo».
Un cervello distratto, «esposto e seminudo» pare davvero il requisito più odioso per chi desideri imbastire un autentico luogo di scambio o di coordinamento virtuale. Eppure la gran parte delle volte che navighiamo succede proprio questo: la capacità di concentrazione cala sensibilmente, la riflessione della lettura è in genere assai ridotta (Tony Haile, amministratore delegato di Chartbet, una delle più importanti aziende che produce contenuti per il web, ha stimato che la durata media del 55% degli utenti che accedono alle sue piattaforme è di appena 15 secondi, mentre «Socialmedia today» avverte che uno status con meno di 70 caratteri riceve in media un terzo in più di «mi piace» rispetto a uno più lungo di 141) e se la capacità d’analisi si assottiglia così tanto, i contenuti da cui si viene attratti sono quelli più frivoli, inconsistenti e focalizzati sulle sensazioni più immediate: rabbia, gioia, sgomento e poco altro ancora. Basta che provochi sentimenti «di pancia» ed eviti di far funzionare il cervello. Il «click-baiting» si basa proprio su questo: ottenere il maggior numero di visualizzazioni del proprio sito suscitando reazioni tanto viscerali quanto destinate a consumarsi nel giro di qualche istante, giusto il tempo di accorgersi quanto sia stato inutile aprire quel link. Agli strateghi del «click-baiting» (il cui giro d’affari è stimato attorno ai 200 milioni di dollari) importa poco altro. L'importante è che quel sito sia stato visualizzato, chi se ne frega se per cinque secondi o per cinque minuti.

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La Casaleggio Associati si occupa proprio di questo: lo scopo primario dell’azienda è esattamente quello di far attirare ai suoi clienti quanti più click possibili adoperando tutti i mezzi a disposizione e senza guardare in faccia a nessuno. Un esempio: quando si capì che il giornale «Il Fatto Quotidiano» poteva essere un progetto di buon successo, ci si pose il problema di dare vita a un sito web adeguato e inizialmente l’editoriale pensò proprio a Casaleggio per fargli risolvere la questione. Tutto andò a monte a causa del fatto che il manager pretendeva di decidere cosa andava pubblicato, come andava pubblicato e addirittura pretendeva che il sito web pubblicasse materiale prodotto da persone esterne alla redazione.
Un caso isolato? Niente affatto. Anche il sito web de L’Italia dei Valori venne gestito per un periodo di tempo da Casaleggio; la collaborazione s’interruppe sia per i problemi finanziari del partito, sia a causa dell’invadenza del manager. Un militante la racconta così: «Volevano decidere tutto loro. C’erano questi ragazzi dello staff che facevano e disponevano: cosa andava pubblicato, come, dove, quando. Di fatto era come se la linea del blog la decidessero loro».
Il caso più interessante è però un altro: la Casaleggio Associati nel 2011 aveva iniziato ad occuparsi del sito web della casa editrice Chiarelettere. Una piattaforma di questo tipo dovrebbe garantire prodotti di prima scelta e pregni di contenuto: è ovvio che i metodi demagogici e commerciali di Casaleggio sono i meno adatti e difatti, nonostante il successo di visualizzazioni, nel luglio 2013 avviene la rottura. Vanity Fair osserva come «nel mirino dei dirigenti Mauri Spagnol sono finite anche la gestione dei social network, ritenuta approssimativa, e la “bontà” dei pur numerosissimi accessi registrati dal portale cadoinpiedi.it [la piattaforma web di Chiarelettere, ndr]. Molte delle visite quotidiane a cadoinpiedi.it proverrebbero da link originati dal circuito beppegrillo.it. Gli articoli più visitati non sarebbero quelli a firma degli autori Chiarelettere, ma quelli scritti dai collaboratori della Casaleggio Associati e incentrati sul gossip».
Beppegrillo.it, il prodotto di punta della Casaleggio Associati, rappresenta l’esempio più eclatante di questo modo di fare comunicazione: brevi slogan di grande impatto emotivo e assolutamente carenti di contenuti di spessore. Tutto pare finalizzato ad attirare il massimo numero di visualizzazioni facendo guadagnare gli inserzionisti che quotidianamente imbottiscono il sito web dei più disparati banner pubblicitari.
È un caso che quando Grillo ha intrapreso ufficialmente la carriera politica ha imposto il suo sito web come unico punto di riferimento del nuovo movimento politico? Anzi, per essere precisi beppegrillo.it è divenuto esso stesso il movimento politico, comparendo addirittura nel simbolo ufficiale. Il non-statuto parla chiaro: il «“MoVimento 5 Stelle” è una “non Associazione”. Rappresenta una piattaforma e un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel blog www.beppegrillo.it (…) La “Sede” del “MoVimento 5 Stelle” coincide con l’indirizzo web www.beppegrillo.it. I contatti con il MoVimento sono assicurati esclusivamente attraverso posta elettronica all’indirizzo MoVimento5stelle@beppegrillo.it». Più chiari di così non si può essere.
È assai interessante porre l’attenzione su un particolare sottodominio di beppegrillo.it, ossia «Tze-Tze», presenza fissa nella colonna destra (quella su cui casca subito l’occhio) del blog di Grillo. Si tratta di una sorta di giornale online, il cui scopo è «promuovere l’informazione indipendente in Rete svincolandosi dai mainstream media e pubblicare notizie in funzione dell’importanza attribuita dai loro utenti». Già il fatto che un giornale selezioni le notizie in base alla loro popolarità e non in base a dei precisi criteri d’importanza la dice lunga sul modo di Casaleggio di vedere il mondo dell’informazione, ma la cosa più sconcertante è il modo in cui sono redatti gli articoli. Oltre al fatto che i post sono soltanto finalizzati a fare propaganda in favore dei 5 Stelle (altro che «informazione indipendente»!), la piattaforma si distingue per il pietoso modo di erogare notizie (non a caso a breve finirà a giudizio per diffamazione).
Un post, ad esempio, afferma in pompa magna: «Di Maio asfalta il deputato Pd in diretta. Luigi Di Maio ridicolizza il deputato Pd Matteo Richetti. Guarda il video…». Si apre diligentemente il video (con pubblicità annessa) e si scopre una serie di frammenti di un dibattito dove i due deputati si affrontano in maniera molto pacata.
Un altro articolo titola: «Vergognoso attacco al M5S. Ecco cosa ha detto Laura Boldrini…Vergognoso! La Boldrini viene intervistata. Quello che state per leggere è sconcertante, ecco cosa ha detto». Apri diligentemente il link e scopri alcuni stralci di un’intervista in cui il momento più polemico del confronto è quando la Boldrini afferma che il 5 Stelle «poteva dare un apporto determinante per il cambiamento e invece non l’ha fatto». Non so voi, ma temo che il «vergognoso attacco» lo veda solo Casaleggio.
Oppure: «La rivelazione della Lorenzin in diretta. Sconcertante. Ecco cos’è successo alle elezioni europee». Clicchi sopra e vedi il ministro della Salute affermare che «la mia è una candidatura di servizio».
Un’altra volta il titolo è: «Ultim’ora- denunciato Matteo Renzi: clicca qui». Clicchi diligentemente e scopri che il Codacons ha annunciato l’intenzione di avanzare un esposto alla Corte dei Conti nei confronti del premier. Da qui ad affermare che Renzi è stato «denunciato» di acqua ne scorre.
Ancora: «L’onorevole vuota il sacco in diretta tv. Una confessione sconcertante. Guardate cos’è successo» promette il titolo di un articolo dove si riprende la seguente dichiarazione di Andrea Romano (Scelta Civica): «Prima di entrare in Parlamento io lavoravo».
Passare dai titoli mirabolanti alle bufale vere e proprie il passo è breve: grazie a «Tze-Tze» scopriamo che un vasaio indiano possiede un frigorifero che «funziona senza corrente», scopriamo che per «distruggere le cellule tumorali» la soluzione è data da «iniezioni di sale» e arriviamo nientemeno a sapere che il succo di melograno è «l’alimento che combatte il cancro».
Un metodo spudoratamente finalizzato solo e soltanto ad ottenere click (spesso mettendo in anteprima immagini sessiste). Una vera e propria truffa nei confronti del lettore. Un modo di agire adoperato anche da Grillo stesso; qualche mese fa egli stesso scriveva su Facebook: «Dati truccati! L’hanno fatto veramente! È una cosa assurda: clicca qui. Ci prendono in giro» con tanto di foto dell’allora premier Letta insieme al ministro Saccomanni. Apri il link e ti ritrovi un articolo del blog in cui s’informa che la Commissione Europea utilizzerà nuovi parametri per calcolare il Pil. «Dati truccati»? «Cosa assurda»? Ma quando mai. Questo è un puro e semplice raggiro per garantire visualizzazioni e far guadagnare gli inserzionisti. La domanda sorge spontanea: sono questi gli avamposti di conoscenza e partecipazione via web di cui parla Casaleggio? Spero proprio di no.

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Grillo ha cercato più volte di smentire che il suo blog abbia finalità d’interesse economico e per tal motivo ha più volte evidenziato come il fatturato della Casaleggio Associati non sia molto elevato (anzi, nel 2011 era addirittura in perdita).
Peccato che il comico si dimentichi di spiegare che il valore delle aziende digitali non dipende dal fatturato. Twitter, ad esempio, nel 2012 aveva un passivo di 79 milioni di dollari; l’anno successivo entrò in borsa e venne valutato 31 miliardi di dollari.
Sapete quanto fatturato ottiene Instagram? Zero virgola zero. Eppure nel 2012 il popolare social network di foto venne acquistato da Zuckerberg per la sbalorditiva cifra di un miliardo di dollari. Una pazzia? Un’ingenuità? Una truffa? Nient’affatto, si tratta semplicemente del modo in cui vengono valutate le aziende digitali, un modello economico che prende il nome di «zero revenue model» («modello a zero incassi») consistente nel principio che una start-up di recente nascita non viene valutata in base agli incassi, ma in base agli utenti che coinvolge. Gli incassi in genere sono molto lenti ad arrivare: anche Google e Facebook hanno vissuto per anni senza vedere il becco di un quattrino pensando solo ad incrementare il proprio traffico. Attualmente, comunque, beppegrillo.it non se la passa male: si pensi ad esempio che il blog è nella categoria top site degli AdSense di Google; ciò significa che gli inserzionisti devono pagare una cifra superiore alla norma per poter inserire il proprio banner pubblicitario su beppegrillo.it. E non è un caso che la Casaleggio Associati ha visto il suo fatturato raddoppiare nel corso del 2013: si è passati magicamente da 1,2 a 2 milioni di euro…

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