giovedì 9 ottobre 2014

In che Rete siamo



L’Italia è da sempre il Paese dei navigatori. «Nonostante tutto», verrebbe da aggiungere, considerata la situazione disastrosa in cui versa la Rete in tutta la penisola.
Il web negli ultimi anni è diventato un protagonista assoluto della vita mondiale: non solo per lo svago che offrono giochi e social network, ma anche nell’ambito della comunicazione, del commercio, della competitività aziendale, del rapporto con la pubblica amministrazione, arrivando nel giro di pochi mesi a diventare uno strumento indispensabile per svolgere praticamente ogni mansione lavorativa. Una tendenza, questa, che va aumentando in maniera vertiginosa di giorno in giorno. Volete qualche esempio? Secondo un’analisi di MM-One Group su dati Eurostat, il fatturato delle imprese europee ricavato dal web nel 2013 è stato circa del 14%, una media che nasconde il 18% di Slovacchia e Gran Bretagna, il 16% di Ungheria e Finlandia, il 26% della Repubblica Ceca, il 31% dell’Irlanda (praticamente un terzo del fatturato totale delle aziende) e il misero 7% del nostro Paese. La metà della media europea. Settori come il turismo oramai campano in misura determinante grazie alla Rete: almeno il 25% dei quattrini che circolano intorno al comparto vacanziero proviene dal web, con picchi del 39% dell’Inghilterra. L’Italia, il «paese che dovrebbe vivere solo di turismo», sta fermo al 17% (secondo l’Istat, nel 2012 solo il 27.5% di aziende legate al settore dispone di un sito web).
Inoltre, stando a una ricerca MM-One Group, se in Danimarca l’utilizzo della Rete nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione è a quota 100, il nostro Paese è a quota 9. Andando nel dettaglio, scopriamo che mediamente in Europa il 41% dei cittadini ha sbrigato online almeno una parte delle pratiche con gli uffici pubblici: mentre in Danimarca si raggiunge l’85%, in Olanda il 79%, in Finlandia il 69% e in Svezia il 78%, in Italia siamo fermi al 21%. Un municipio su quattro non è nemmeno attrezzato per far scaricare dal web i moduli delle pratiche burocratiche. In Sicilia solo il 56% dei comuni è attrezzato, in Molise il 48% e in Basilicata il 54%. Comunque, per quanto riguarda i comuni che consentono di conseguire l’intero processo burocratico soltanto online, Nord e Sud non conoscono differenze: la media nazionale è solo del 18.9% e, fatta eccezione per l’eccellente dato dell’Emilia-Romagna (un bel 40%), le altre regioni sono un disastro; non si supera il 10.3% in Sicilia, il 9.4% in Veneto, il 9.1% in Basilicata e l’8.4% in Val D’Aosta. Una situazione aggravata dall’ignoranza digitale che accompagna il nostro Paese: gli europei tra i sedici e i settantaquattro anni che non hanno mai navigato in internet sono il 24%, gli italiani sono il 39%, i pugliesi il 50%, i calabresi il 47% e i campani il 49%. Fatta eccezione per cinque regioni rumene e due regioni bulgare, il nostro mezzogiorno ha i peggiori dati europei per quanto riguarda l’ignoranza del web.

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Quasi tutti i governi del mondo hanno capito l’importanza strategica del web nei tempi che corrono. Sebbene le classi dirigenti di molte nazioni non spicchino per responsabilità, sul tema della Rete c’è stata una vera e propria mobilitazione: secondo il sito netindex.com (che studia questo dato facendo qualcosa come cinque milioni di test al giorno), nel 2012 la velocità media di download è di circa quattro volte maggiore rispetto a quella del 2008, oscillando a livello mondiale intorno ai 16.20 megabyte al secondo. Nel quadriennio preso in esame, si può osservare come molte nazioni ci abbiano messo anima e corpo per raggiungere velocità di download al passo coi tempi. La Germania è passata da 7.2 a 22.6 megabyte al secondo, la Svizzera da 6.6 a 34.1, la Svezia da 10.2 a 39.8, il Canada da 4.1 a 18.7, la Francia da 6 a 24.61. Non sono soltanto i soliti «secchioni» ad essersi aggiudicati risultati ragguardevoli: la Lettonia è passata da 7.7 a 38.9, la Romania da 6.5 a 49.3 e la Cina da 1.9 a 16.5 (una velocità di download quasi decuplicata). La media europea è collocata a 24.5 mentre noi siamo a meno di un terzo.
L’Italia, che tra il 2008 e i giorni odierni è passata da 3.1 a 8.51, nel giro di pochi anni è di fatto precipitata nella classifica dei paesi per quanto riguarda la velocità del web: in passato ci trovavamo a 0.9 punti di distacco dal Regno Unito mentre ora siamo a 15.8, ne avevamo 4.1 dalla Germania e ora siamo a 15.7, ne avevamo 3.9 dalla Francia e ora siamo a 18 (dodici anni fa Italia e Francia stavano grosso modo sullo stesso piano), ne avevamo 7.1 dalla Svezia e ora ci ritroviamo a 32.9, ne avevamo 1.3 dalla Spagna e ci ritroviamo a 12, ne avevamo 3.4 dalla Romania e ora abbiamo un distacco di 33, e via di questo passo, compresi tutti i paesi ex-comunisti. Ma sono le classifiche mondiali della velocità di download quelle a far venire la pelle d’oca. Nel novembre 2011 stavamo al 70° posto (dopo Kazakistan e Rwanda), nel maggio 2012 eravamo al 76° posto, nel febbraio 2013 ci eravamo piantati all’85° e alla fine dell’anno eravamo già passati al 93°: a 16 gradini di distanza dalla Turchia, a 10 dalla Grecia, a 44 dalla Slovenia, a 59 dall’Austria, a 65 dalla Germania, a 53 dalla Spagna, a 66 dalla Gran Bretagna, a 70 dalla Francia, a 68 dal Portogallo e a 89 (ottantanove!) posizioni dalla Romania. Un mese fa eravamo al 98esimo posto, facendoci sorpassare da nazioni come Serbia, Portorico e Namibia, situandoci appena sopra il Kenya e a 58 posizioni dalla Cina, con il risultato di trovarci penultimi tra i paesi europei (solo la Croazia fa peggio di noi) e ultimi tra i 34 paesi dell’Ocse. La vergogna è cocente, se si pensa che l’Italia è un paese che fa parte del G8. Tra i paesi facenti parte dell’organizzazione ovviamente siamo in fondo alla classifica, ma la cosa raggiunge quasi il grottesco se si pensa che al penultimo posto c’è il Canada, il quale, con una media attuale di 23.9 megabyte, ha una velocità di download tripla rispetto a quella del Belpaese. La nostra dirimpettaia Svizzera (con 50.6 megabyte al secondo) ha una velocità di download sestupla rispetto a noi, Hong Kong (che sta a quota 79.6 megabyte) ha una velocità nove volte maggiore della nostra, la snobbata Romania (con un ottimo 55.5) ha una velocità sette volte superiore.
Secondo una classifica mondiale di fine 2013 di Akamai, l’Italia sta alla 48esima posizione per velocità media di navigazione misurata, dopo paesi come Slovacchia, Romania, Polonia, Portogallo e Ungheria. La cosa peggiore è costituita però dal fatto che in poco più di un anno e mezzo abbiamo perso la bellezza di 26 posizioni: soltanto nel maggio 2012 eravamo al 22esimo posto.
Per la velocità misurata in megabit al secondo la situazione non migliora; anzi, proprio a tal riguardo il «Sole 24Ore» ha sparato alla fine del 2013 il titolo «La cenerentola d’Europa», spiegando come (mentre iniziano a circolare fibre da 30 Mbps) il nostro Paese detenga una media di 4.9 megabit al secondo, la metà rispetto a quanto accade in paesi come Regno Unito, Belgio, Danimarca e Repubblica Ceca. Con l’Olanda non si può nemmeno fare il confronto, visto che nella patria di Spinoza la media è di 12.5 megabit.
E non sono nemmeno i dati più sconfortanti: sempre secondo netindex.com, la velocità di upload (ossia quanto ci si mette a caricare un file nella Rete) vede tra i primi classificati Hong Kong, Lussemburgo, Corea del Sud, Singapore, Andorra, Macao, Lituania e Giappone. Bisogna scorrere molto la classifica, bisogna scendere sotto le posizioni di Indonesia, Filippine, Trinidad e Tobago e addirittura sotto le isole Barbados per trovare l’Italia, piazzata al 157° posto con una velocità di upload che è almeno 37 volte inferiore rispetto a quella di Hong Kong e non molto distante da quella di paesi come Congo e Burkina Faso.
Un recente rapporto sul mercato delle telecomunicazioni redatto dalla Commissione europea per il periodo 2012-2013, pur parlando di «leggeri miglioramenti» sul tema della banda larga, rigira il coltello nella piaga denunciando come nel nostro Paese «le penetrazioni della banda larga fissa tradizionale e di nuova generazione sono ancora molto al di sotto della media». Sempre secondo il rapporto, siamo ultimi nell’Ue per diffusione di banda con velocità da 30 Mbps e per copertura delle reti d’accesso di nuova generazione. La qualità delle linee esistenti viene definita «molto bassa», con solo il 18.4% degli abbonamenti con velocità superiori a 10 Mbps (la media Ue è del 66%). Il ricavo medio per utente, considerata una media europea di 187 euro, da noi è ferma a 153 con una perdita del 3.4% nel 2011 e del 6.1% nel 2012. Gli investimenti nel settore delle telecomunicazioni continuano a languire, scendendo del 2.3% nel 2011 e dello 0.6% nel 2012 (a livello europeo c’è stata invece una ripresa del 7.8%).
Se la cava bene la banda larga mobile, che a gennaio ha visto una quota di partecipazione del 66.3%, il doppio del 2011 e addirittura superiore alla media Ue del 61.1%. Ma ovviamente questo non può bastare.

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La situazione della Rete continua a peggiorare nonostante l’Agenda digitale italiana abbia sottolineato come in Italia il web abbia dato vita a 700mila posti di lavoro (il sestuplo rispetto a un settore storico come il chimico) e nonostante la Confesercenti abbia stimato che «ogni comunicazione burocratica con i metodi tradizionali costa alla pubblica amministrazione 49 minuti di lavoro e 22 euro. Una email costa 2 euro, undici volte meno». Non c’è nulla da fare: la carta è ancora la sovrana indiscussa dell’Italia. Una parlamentare rimasta anonima ha rivelato nel 2012 a «Libero» di ricevere ogni anno «una marea di scatoloni. Ne apro uno: centinaia di buste piccole, da lettera, con l’intestazione Camera dei deputati, che troverò dappertutto. Ne apro un altro: centinaia di buste di media grandezza. Un altro ancora: bustoni formato A5. Ancora: un altro tipo di busta normale, meno pregiata. Guardo il primo dei due armadi di cui è dotato il mio ufficio. Metà è già pieno. Continuo ad aprire. […] Ecco i fogli di carta: risme formato lettera, formato letterina, cartoncini, carta per fotocopie. L’armadio scoppia». Come se non bastasse, ogni atto parlamentare, ddl, interrogazione, emendamento e ordine del giorno continua ad essere stampato e consegnato ai vari organi parlamentari. Emanuele Bellano di «Reportime» ha spiegato: «Sommando tutte le voci di bilancio la cifra nel 2013 arriva a 6 milioni di euro, dentro ci sono 388mila euro per i vari tipi di carta e per materiali di cancelleria, e 30mila euro solo per consulenze su come stampare o rilegare i documenti. […] Ogni anno, mettere a disposizione dei deputati copie cartacee di leggi, decreti ed emendamenti ci costa oltre 5 milioni di euro». Fondandosi sui dati forniti da Montecitorio, si può tranquillamente sostenere che la Camera ha cestinato 1644 chilogrammi di carta per ogni giorno di seduta, quasi tre chili di documenti per ogni deputato.
E i governi cosa ne pensano? Berlusconi, superato il periodo in cui dichiarava spavaldamente: «Io di internet a casa non ho bisogno. Ho il mio internet umano, che è Gianni Letta», propugnò le famose tre «i» (inglese, imprese, internet), finite ahimé nel dimenticatoio. Ma avvicinandosi nel tempo apprendiamo che il premier Renzi (quello fissato con twitter e con la mania di stare al passo coi tempi) aveva annunciato in pompa magna al forum Digital Venice d’inizio luglio 2014 che tecnologia e innovazione sarebbero stati i pilastri del semestre di presidenza italiana dell’Ue, e il ministro Padoan aveva lanciato un messaggio analogo davanti alla commissione Affari economici del Parlamento europeo. Nonostante le sollecitazioni europee (l’ultima nel 2013) d’investire nella banda larga e nonostante gli obiettivi che i governi si sono dati (obiettivi contenuti nell’Agenda digitale e nel programma «Europa 2020»), a parte un uso smodato del social network non abbiamo visto un bel nulla. Anzi, il decreto «sblocca-Italia» prevede una limitazione degli aiuti per l’estensione della banda larga. Andiamo bene.

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