domenica 27 settembre 2015

Papi Uniti d'America

Nel 1642 alcune colonie dell’America settentrionale, capofila la Virginia, emanavano una legge che vietava il culto del cattolicesimo, ne perseguitava i sacerdoti e interdiva ai fedeli qualsiasi ruolo nell’amministrazione pubblica; nel momento in cui queste colonie decisero di unirsi e rendersi indipendenti tra le prime azioni ci fu quella d’inserire nel Primo emendamento della Costituzione il divieto di qualsiasi ingerenza religiosa nella pratica politica. Una regola valida per il puritanesimo, la fede più diffusa tra gli statunitensi dell’epoca, ma soprattutto per un cattolicesimo il cui coinvolgimento nelle tremende guerre di religione interne all’Europa aveva suscitato un profondo trauma tra i legislatori del nuovo stato.

Lavoratori del Congresso usano l'effigie "obamizzata" di Papa Francesco
nel corso di una manifestazione a favore del salario minimo
Ciononostante l’ostilità, ricambiata, verso la minoranza cattolica era ben lungi dal trovare un punto di pacificazione, e alla discriminazione spesso sconfinata in colluttazioni violente si andarono ad aggiungere nel corso dei decenni sempre nuove vertenze in cui Santa Sede e Stati Uniti si trovavano su versanti opposti: dalla natura libertaria delle istituzioni d’Oltreoceano (a fine
Ottocento Papa Leone XIII fu persino costretto a rimproverare alcuni prelati americani di troppa condiscendenza verso i valori di libertà e laicità) all’espansionismo territoriale che quasi sempre andava a scalfire l’assetto di nazioni cattoliche (Francia, Messico, Spagna e per poco il Quebec), dal tema della schiavitù al ruolo dei sindacati, dalla guerra civile al conflitto contro la Spagna del 1898 arrivando fino alle divergenze nei riguardi della rivoluzione messicana. Se il rapporto tra vescovi locali e autorità statunitensi conobbe una flebile tregua- vista con sospetto dal Vaticano- nel corso del primo conflitto mondiale, ad armi taciute si riaccese lo scontro la cui vetta più memorabile è rappresentata dagli sforzi dei cattolici di boicottare i tentativi di Roosevelt di trovare un punto di mediazione sulla guerra civile spagnola.
Non ci si sorprenda, dunque, se durante la seconda guerra mondiale vennero divulgati volantini e vignette (la cui eco venne tramandata arrivando perfino alle elezioni presidenziali del 1960) in cui i cattolici americani erano rappresentati come infiltrati destabilizzanti al soldo di una rivale potenza straniera la quale, perfino nel corso della lotta anti-nazista, non mancò di polemizzare con gli Stati Uniti per l’alleanza strategica coi sovietici.
Il dissapore era talmente incancrenito che nemmeno la comune ferocia nella disputa anti-comunista riuscì a compattare le due autorità; anzi, Papa Pio XII non mancava di rimarcare quanto il
materialismo tipico della società statunitense fosse deleterio tanto quanto quello della società russa e uno degli sporadici candidati alla presidenza Usa di fede cattolica fu costretto nel 1960 ad una solenne dichiarazione pubblica in cui giurò che nel caso di elezione non si sarebbe mai piegato ai diktat della Santa Sede. A mantenere intatto il solco arrivarono nel corso del tempo la guerra in Việt Nam, l’Ostpolitik vaticana, il commercio di armi, le guerre del Golfo, l’immigrazione, la pena capitale, l’istruzione e, naturalmente, i temi etici.

«Insomma», conclude Manlio Graziano (docente di Geopolitica delle religioni all’Università Paris IV e all’American Graduate School di Parigi), «gli Stati Uniti e la Santa Sede si sono trovati molto raramente a percorrere la stessa strada; e quando hanno condiviso gli stessi nemici, la lotta contro di essi non perseguiva gli stessi scopi»;

il che è avvenuto fino a pochi anni fa se si considera che ancora nel 1984 i tentativi di accordi diplomatici fra Washington e il Vaticano suscitarono aspre polemiche.

Da "Limes-rivista italiana di geopolitica", n.4/2015
Eppure nel corso degli ultimi anni qualcosa sembra essere cambiato: se per i funerali di Papa Paolo VI nel 1978 la delegazione statunitense era composta unicamente dalla madre del presidente Carter, per quelli di Giovanni Paolo II nel 2005 accorsero il presidente George W. Bush, il padre (nonché ex-presidente) George H.W. Bush, il predecessore Bill Clinton, il segretario di Stato Condoleeza Rice e un prestigioso assortimento di delegati non ufficiali come Edward Kennedy, John Kerry, George Pataki, Micheal Bloomberg, il capo dello staff della Casa Bianca Andrew Card e il leader repubblicano al Senato Bill Frist. Un riconoscimento per il ruolo svolto da Papa Wojtyła nella caduta del regime comunista? Può darsi, ma da solo non riuscirebbe a spiegare la formidabile escalation di cattolici nelle leve di comando degli Stati Uniti che vede nell’amministrazione Obama un apice talmente smaccato da essere ritenuto da molti un unicum destinato a non ripetersi.

Dal "Corriere della Sera"
del 25/09/2015


Il caso più lampante è quello della Corte suprema, ove attualmente sei giudici su nove sono di fede cattolica (non dimentichiamo che nella sua secolare storia solo tredici cattolici sono riusciti ad accedervi, e sei di questi siedono contemporaneamente ai giorni attuali). Ma devoti alle gerarchie vaticane risultano anche ambedue i consiglieri per la Sicurezza interna, il vice-presidente, il capo dello staff della Casa Bianca, fino a qualche giorno fa entrambi i presidenti della Camera dei deputati (il repubblicano John Boehner si è dimesso proprio per l’emozione seguita all’intervento di Papa Francesco al Congresso), il leader democratico della Camera, il direttore dell’Fbi, il vicedirettore dell’Fbi, il direttore della Cia, il comandante dei marines, entrambi i capi di Stato maggiore scelti da Obama, il capo di Stato maggiore dell’Aviazione e il consigliere del periodo 2010-2013 per la Sicurezza nazionale. Cattolici, inoltre, risultano quasi il 40% dei governatori e all’incirca la metà degli aspiranti candidati alla Casa Bianca per la corsa del 2016 (da Jeb Bush a Joe Biden, da Marco Rubio a Andrew Cuomo, da Bobby Jindal a Joe Manchin).
In rapporto con la percentuale di cattolici negli Usa (tra il 25 e il 30%) il ruolo dei cattolici nelle cariche scelte direttamente dal presidente risulta davvero sbalorditivo (cosa che non avviene per i membri cattolici del Congresso i quali, essendo non più del 31%, rispecchiano in maniera accettabile il contesto sociale) al punto tale che è difficile non scorgere una precisa volontà della Casa Bianca di attorniarsi di adepti di questa fede.
Visto che l’autentico nodo del contendere che ha separato Washington dal Vaticano nel corso dei secoli- ossia il timore che l’uno scavalcasse l’altro nel dominio dell'egemonia morale (e di mandato divino) nel pianeta- non è davvero mai stato sciolto, diventa assai intrigante capire i motivi di questa scelta: di certo non il calcolo elettorale visto che i cattolici raramente si sono schierati compattamente per uno schieramento (per quanto bisogna riconoscere che ambedue le convention dei partiti per le elezioni del 2012 furono chiuse dall’intervento dell’arcivescovo di New York Timothy Dolan), forse il desiderio di non inimicarsi un alleato prezioso (anche in vista del suo ruolo diplomatico), forse la preparazione più adeguata dei militanti cattolici, forse la posizione sociale privilegiata che i cattolici hanno mediamente acquisito dal termine della seconda guerra mondiale (all’inizio del Novecento la Santa Sede temeva la presenza di devoti troppo maturi e consapevoli), forse il semplice aumento dei cattolici nel paese (alcuni studiosi arrivano a prevedere una crescita poderosa causata dall’immigrazione sudamericana, per quanto la maggioranza degli immigrati ispanici non si dichiari cattolico) ma forse anche qualcosa di più, che risale a un sentimento più profondo dell’animo americano.



La catastrofe dell’11 settembre e la travolgente crisi del settore creditizio hanno svegliato il popolo statunitense dal sogno di un pianeta ove dominano incontrastati una pace e un ordine assicurati dalla forza politica ed economica degli Usa. L’America nel giro di pochi anni si è scoperta fragile, vulnerabile, agevolmente contrastabile da altre potenze globali e di conseguenza
affamata di solidi punti di riferimento a cui aggrapparsi. La Chiesa in questo senso ha svolto un ruolo letteralmente provvidenziale, avendo dalla sua parte non solo una secolare tradizione, ma anche un’autorevolezza inattaccabile per milioni di fedeli, un saldo radicamento e una compattezza ammirevole (cosa che, ad esempio, gli evangelici non dispongono) che proprio per questo arriva a costituire- specie in periodi di crescenti attacchi ai servizi essenziali- uno dei pochi sistemi di protezione sociale.
Non ci sorprenda, quindi, se dagli inizi degli Settanta ad oggi si è registrata proprio negli Usa una crescita di diaconi permanenti che non conosce eguali (tra il 1995 e il 2005, nonostante tutti gli scandali e le vicissitudini della Santa Sede, il loro numero è raddoppiato) a cui va abbinata la presenza del 12,5% dei sacerdoti presenti nel mondo (a fronte del fatto che negli Usa è presente solo il 7% della popolazione cattolica globale) e un rapporto tra preti e popolazione quadruplo rispetto all’Africa, quasi nove volte superiore a quello asiatico e superiore perfino nel contesto del continente americano.
Non ci si faccia troppo suggestionare, quindi, dai dati pur indicativi sulle crisi delle vocazioni sacerdotali: la fede cattolica in America non vive momenti di crisi, semplicemente la sua base confessionale è divenuta più consapevole e dinamica, al punto che lo stesso Papa Francesco ha dovuto riconoscere che 

«veniamo da una pratica pastorale secolare in cui la Chiesa era l’unico referente della cultura. […] Ma non siamo più in quell’epoca. È passata. Non siamo nella cristianità, non più. Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati» (si veda l’udienza ai partecipanti al Congresso internazionale della pastorale delle grandi città, 27/11/2014).

Da "Limes-rivista italiana di geopolitica", n.4/2015

Forse solo gli Stati Uniti degli ultimi anni paiono andare sorprendentemente in controtendenza, e se un Papa ha varcato per la prima volta la porta del Campidoglio non è da escludere che fra qualche mese un cattolico varcherà le porte della Casa Bianca.

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