domenica 1 febbraio 2015

Ma il Nazareno non morirà



Il colpo di scena quirinalizio del premier «last minute», così viene soprannominato in sede di Consiglio dei ministri, alla fine c’è stato. Non sul nome, che circolava tra i papabili praticamente da sempre, ma sul metodo che ha portato alla candidatura di quest’ultimo.
Eravamo in molti a non nutrire dubbi sul fatto che il Quirinale rientrasse a pieno titolo nell’incessante ed enigmatica trattativa tra Renzi e Berlusconi, tant’è vero che i giornalisti più smaliziati ormai non ponevano nemmeno più la questione: «Impera il Nazareno, vietato sperare», ammoniva il titolo di un commento di Andrea Scanzi pubblicato sul «Fatto Quotidiano», e il resto dell’articolo proseguiva con il medesimo tono: «Qualsiasi ipotesi non allineata alla mostruosità del Patto del Nazareno è […] destinata a morire in partenza». Sullo stesso quotidiano anche Marco Travaglio sembrava ormai rassegnato: «Può darsi che, come dice Renzi senza precisare la settimana esatta, “sabato avremo il presidente”. Nel qual caso il premier avrà vinto la partita, chiunque sia il nome del prescelto. Che, comunque, sarebbe frutto del Patto del Nazareno, dunque un impresentabile».
Perché alla fine bisogna ammetterlo. Da ormai un anno a questa parte gran parte delle cronache politiche italiane finiscono per ruotare sempre intorno a questa misteriosa e mitica creatura che passa sotto il nome di Patto (con la maiuscola) del Nazareno, senza però che nessuno, a parte i contraenti e pochi intimi annessi (Lotti e Verdini), abbia compreso realmente la consistenza, la portata e l’ampiezza di questo continuo inanellarsi di accordi tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Ufficialmente si tratta soltanto di una convergenza di vedute sulla governabilità del Paese (quindi circoscritta a legge elettorale e riforma costituzionale), ma la sequela di modifiche, tiramolla, strappi e ricuciture che il testo delle riforme ha subito per decisione unilaterale di Renzi senza gravi compromissioni nell’accordo tra i due (anche quando iniziavano ad accumularsi clausole a dir poco nocive per Forza Italia, si pensi al premio alla lista o alle basse soglie di sbarramento) qualche sospetto che la trattativa andasse a lambire altre questioni appariva non solo plausibile, ma praticamente scontata alla gran parte degli osservatori. E quale occasione migliore per ringraziare l’ex-Cavaliere se non affidandogli un ruolo insostituibile nella scelta del Presidente della Repubblica? Sorprendentemente le cose non sono andate come previsto: con l’ennesima mossa inaspettata, vediamo non solo Berlusconi venir scaraventato senza convenevoli ai margini della scena politica, ma anche la materializzazione di un’inedita tripla maggioranza (quella di governo, quella per le riforme e quella per il Quirinale) destinata, salvo nuovi clamorosi imprevisti, a saldare la premiership di Renzi fino al 2018. Apparentemente, questa la conclusione di molti osservatori, il premier dispone di talmente tanti forni da cui attingere per approvare praticamente ogni suo desiderata che nessun interlocutore diventa indispensabile, con la conseguenza che tutti i gruppi parlamentari diventano ricattabili e suscettibili di potenziali scaricamenti spregiudicati. Come nel caso di Berlusconi, appunto. Ex-Cavaliere il quale, secondo la vulgata di buona parte del Pd, finisce per essere nient’altro che una specie di volontario (che l’esperienza di Cesano Boscone abbia suscitato questa sensibilità?) pronto a sorreggere il governo anche a costo di spaccare il suo partito, perdere consensi e compromettere i rapporti con i naturali alleati del suo schieramento ottenendo in cambio solo qualche briciola: il Patto del Nazareno, infatti, ha consentito di avere come ministro allo Sviluppo Economico (quello competente per le telecomunicazioni) e come sottosegretari alla Giustizia figure tutt’altro che ostili all’universo berlusconiano. L’unica altra consolazione che questa alleanza ha finora riservato a Berlusconi è il fatto di aver consentito a Forza Italia di godere di una strana forma di rilevanza politica. Una rilevanza che si trasforma in centralità? Secondo molti, le vicende quirinalizie dimostrano che l’unico vero padrone del campo sia il segretario del Pd. La mia impressione è diversa: Renzi non può permettersi di annoverare Berlusconi tra i nemici del suo governo.
Facciamo un piccolo passo indietro: a quasi un anno dalla formazione dell’attuale esecutivo, si conclude che una personalità integralmente politica come Matteo Renzi non persegua, causa la totale mancanza di profondità culturale e di bagaglio ideologico, un autentico programma di governo, ma insegua esclusivamente l’ambizione di accumulare in misura via via crescente sempre più potere, anche a costo d’imbarazzanti incoerenze. Per raggiungere tale obiettivo il primo pensiero è quello di cementare il consenso popolare, da qui l’ostentata e disinvolta demolizione dei popolarmente vituperati corpi intermedi (dal Parlamento ai sindacati, passando per il suo partito), la sporadica approvazione di misure di consenso (decreto Irpef), il vergognoso silenzio sui temi concernenti la legalità e una costruzione sfacciatamente menzognera fatta di slogan antipolitici e promesse per lo più rimaste sulla carta (o, più spesso, sul tablet). Il secondo pensiero è quello di rendersi riconoscente nei confronti di coloro che hanno reso tangibile la sua ambizione (il caso più eclatante è la sorte toccata ai finanziatori della Fondazione Open, finiti quasi tutti ai vertici delle principali aziende di Stato). Atteniamoci però al primo punto: nel bramoso desiderio di abbattere frontalmente gli odiosi apparati di potere la semplice maggioranza di governo non gli può bastare. Oltre a sopravvivere a Palazzo Madama grazie a pochissimi voti di scarto, questa si regge per lo più (a livello parlamentare parliamo di una pattuglia tutt’altro che ininfluente) sugli organici della vecchia gestione del Pd i quali (poggiando su concetti conservativi totalmente agli antipodi rispetto a quelli del premier) degli apparati di potere ne rappresentano i più strenui difensori e, molto spesso, i suoi più ferrei rappresentanti. A questo punto, al fine di conseguire gli obiettivi del governo, diventa non solo possibile, ma indispensabile avvalersi di una salda maggioranza parlamentare alternativa a quella ufficiale; e l’unico gruppo in grado di fornirla è quello di Forza Italia, unica formazione politica di discreta consistenza in Aula che fin dalle sue origini e con ostinata convinzione ha fatto della becera demagogia antipolitica e dell’abbattimento dei corpi intermedi il suo solo scopo.
Non ci troviamo, quindi, di fronte ad un Renzi in possesso di una totale libertà di movimento. Al contrario, ci troviamo al cospetto di un Renzi che senza Forza Italia non riuscirà mai a portare a compimento i suoi propositi.
L’unico inconveniente, troppo spesso sottovalutato perché non eccessivamente rumoroso, è costituito dal fatto che i gruppi parlamentari di Forza Italia sono in preda ad una pressoché completa anarchia. Un grave ostacolo al Patto del Nazareno che si è dimostrato in tutto il suo fulgore in uno dei momenti politicamente più determinanti di questi ultimi mesi: la prolungata ed esasperante incapacità del Parlamento di eleggere, a scrutinio segreto, i membri della Consulta. In quella situazione l’ingovernabilità dei berlusconiani si è rivelata talmente sconcertante da costringere Renzi innanzitutto a scendere a patti coi 5 Stelle per eleggere alcuni esponenti della Corte Costituzionale, ma soprattutto lo ha costretto a stravolgere da cima a fondo il testo della legge elettorale pur di garantire a quest’ultima una solida maggioranza che potesse stare in piedi in maniera indipendente dai voti di Berlusconi.
È stato quasi sicuramente il terribile ricordo di questo precedente a convincere Renzi che, in vista dell’elezione al Quirinale, non conviene cercare a tutti i costi l’alleanza con Berlusconi. Si rischia di compromettere seriamente i rapporti interni al Pd senza ottenere (a causa della riottosità interna a Forza Italia) la nomina del candidato proposto. Eppure, come dicevo, nonostante tutto anche la partita per il Colle testimonia l’inossidabile cordone ombelicale che lega il segretario dem al leader di FI. Se veramente fosse stato totalmente libero di muoversi sulla scacchiera politica senza pensieri di riguardo rivolti all’ex-Cavaliere, Matteo Renzi avrebbe potuto proporre un nome come Prodi o Rodotà. Nomi che, a prescindere dal peso e dall’indiscutibile preparazione, avrebbero notevolmente agevolato il leader dem a recuperare i rapporti con il proprio partito, con la fascia sociale più rivolta a sinistra e, chi lo sa, magari con una parte del bacino elettorale dei 5 Stelle.
Ha invece preferito optare per una figura legata sì alla storia del suo partito, ma non particolarmente ostile a Berlusconi, che difatti ha risposto con una tutto sommato benevola scheda bianca. Un altro rospetto da ingoiare per l’ex-premier, non troppo indigesto nella prospettiva luminosa di salvacondotti per sé e per il suo clan familiare. Potere in cambio di favori personali: salvo sorprese, questi sono i termini più probabili che stanno alla base della stipula del Patto del Nazareno. Un’alleanza non solo destinata a sopravvivere a lungo, ma fondata su un rapporto di sostanziale parità tra i contraenti.

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