venerdì 7 novembre 2014

Beurocrazia



«Non sono il capo di una banda di burocrati!», è sbottato il neo-presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker. Non basta però una semplice frase a dipanare i dubbi su un’attività europea che da un po’ di tempo a questa parte, in barba alla statura di personalità come De Gasperi e Adenauer, ha relegato in un angolo le più imponenti sfide del mondo attuale per farsi soggiogare  da un apparato burocratico sempre più invasivo, pignolo, assurdo e potente. Mentre ad esempio una fiumana sempre più numerosa e disperata di migranti si accalca sulle coste europee del Mediterraneo, Bruxelles è assiduamente intenta (la ricerca è durata circa due anni) a stilare le norme che regolano la definizione di «bagno ecologico». Come ha scritto nel novembre 2013 il quotidiano polacco «Gazeta Wyborcza», «prima di concludere che un serbatoio d’acqua “ecologico” non dovrebbe contenere più di cinque litri di acqua (un litro per orinatoio) sono stati spesi più di 89.000 euro in ricerche sul tema. In particolare sono state analizzate le differenze geografiche nell’Ue per quanto riguarda l’uso degli orinatoi» concludendo, ad esempio, «che il paese demograficamente più importante dell’Unione, la Germania, è solo al terzo posto (dopo gli inglesi e gli italiani) per quanto riguarda il consumo di acqua per pulire i bagni. Mentre in Polonia ne consumiamo un terzo rispetto alla più popolata (ma non tanto) Spagna. A volte le analisi di Bruxelles possono sembrare ridicole, ma il commissario europeo all’Ambiente Janez Potočnik, ha messo in guardia contro i giudizi troppo sbrigativi affermando che se solo il 10% delle famiglie europee adottasse dei bagni ecologici si potrebbero risparmiare 390 milioni di euro». Sarà pure, ma ricerche del genere sono tutt’altro che isolate. Dirò di più: al contrario dell’esistenziale dilemma dello sciacquone, l’incessante vomitare di testi e scartoffie ad opera dei puntigliosi burocrati di Bruxelles riguarda il più delle volte autentici diktat, direttive inflessibili e regolamenti inderogabili tali per cui sgarrare da tali norme significa mettersi contro la legge. E rappresentano un autentico fiume in piena a cui non scappano gli aspetti più marginali della nostra esistenza quotidiana. Nonostante alcuni europarlamentari abbiano stimato che l’84% dell’attività legislativa di un paese membro derivi da leggi europee, il blogger inglese James Clive-Matthews ha fatto una stima più attendibile ma solo in parte meno sorprendente: «Da diversi studi europei sembra di poter dire che ogni anno tra l’8 e il 25% delle nuove leggi viene dall’Europa. Recentemente nel Regno Unito la biblioteca della Camera bassa del Parlamento ha condotto un nuovo studio che suggerisce una percentuale tra il 15 e il 20%. Mi sembra abbastanza giusta». Insomma, almeno una legge su cinque è diretta discendente della mente creativa dei burocrati continentali e talvolta può andare anche peggio, se si considera che nel solo febbraio 2014 dei dieci provvedimenti governativi emanati nel nostro Paese ben sei rappresentavano il frutto di norme europee.
Regolamenti che vanno dai profilattici, i quali devono misurare «non meno di cento millimetri», all’«armonizzazione sui recipienti semplici a pressione» (questa l’atroce discussione intavolata al Parlamento europeo lo scorso febbraio). Ma è sul comparto alimentare che i burocrati si sono sbizzarriti con ineguagliabile ottusità: secondo lo scrittore teutonico Hans Magnus Enzensberger, esistono 36 regolamenti europei concernenti la colorazione di fagioli, meloni e cavoli. Il Regolamento (Ce) n.510/2006 è rappresentato da quattro pagine dedicate esclusivamente al fagiolo di Cuneo, il quale dev’essere inteso come quel baccello «allo stato ceroso da sgranare e la granella secca, appartenenti alle specie di fagiolo rampicante Phaseolus vulgaris L. e Phaseolus coccineus» di dimensione compresa «tra 15 e 28 mm» e di colore «intensamente striato di rosso». Secondo uno splendido articolo di Raffaele Costa e Lorenza Viotto su «Il Duemila», le direttive europee (da applicare teoricamente in maniera tassativa) impongono, per quanto riguarda l’aglio, che «la differenza di diametro fra il bulbo più piccolo e il bulbo più grosso contenuti in uno stesso imballaggio non può superare: 15 mm, quando il bulbo più piccolo ha un diametro inferiore a 40 mm; 20 mm, quando il bulbo più piccolo ha un diametro uguale o superiore a 40 mm». Sul mondo dei cavoli «in uno stesso imballaggio “il peso della palla più pesante non deve superare il doppio della palla più leggera”, ma quando “il peso della palla più pesante è uguale o inferiore a 2 kg”, la differenza di peso può raggiungere un kg». Per i fagiolini, invece, «la “larghezza massima del baccello misurata perpendicolarmente alla sutura” non deve essere superiore a 6 mm (fagiolini “molto fini”), 9 mm (“fini”), 12 mm (“medi”)». Neanche i piselli ne escono indenni: per quelli «di “categoria I”, i baccelli devono “contenere almeno 5 semi”, che a loro volta devono essere “teneri, succosi e sufficientemente consistenti, in modo che, premuti tra due dita, si schiaccino senza dividersi”». Per la zootecnia la situazione non è molto diversa: si va dalla definizione di piccione viaggiatore («piccione trasferito o destinato ad essere trasferito dalla sua piccionaia per essere liberato in modo da poter ritornare liberamente, volando, alla sua piccionaia o in qualsiasi altro luogo») a tutte le specie di pesce pescabile, ad esempio: «Considerando che il regolamento Cee stabilisce le categorie di calibro applicabili ai gamberetti e ai granchi e fissa un calibro minimo, considerando che l’articolo 7, paragrafo 4 dello stesso regolamento prevede la possibilità di autorizzare, per i gamberetti, deroghe al calibro minimo; considerando che l’articolo 7, paragrafo 5 dello stesso regolamento introduce, nell’intento di garantire l’approvvigionamento locale o regionale di granchi di talune regioni costiere del Regno Unito, un regime derogatorio che riduce per queste zone il calibro minimo, considerando che l’esperienza ha dimostrato la necessità di differenziare, a seconda delle regioni, i calibri minimi, ha adottato il presente regolamento. Per garantire l’approvvigionamento locale o regionale di gamberetti e di granchi, possono essere stabilite deroghe ai calibri minimi».
Il convinto antieuropeista Mario Giordano ha raccontato, fra le altre cose, il suo sbalordimento nell’osservare la «Gazzetta Ufficiale» europea in un giorno del maggio 2001, in cui apparivano in fila «legge sulla pesca dello scorfano, legge sull’importazione di spago dalla Polonia, legge che modifica una legge sul salmone dell’Atlantico, legge per l’acciaio kazako, legge per la magnesite calcinata sinterizzata, legge per la carne bovina della Slovacchia, legge per gli accessori dei tubi in ferro taiwanesi, legge per i piselli spezzati della varietà pisum sativum destinati alla Sierra Leone e alla Corea del Nord».
Come ogni burocrazia infame che si rispetti, anche quella europea lega indissolubilmente la logorrea con la distanza sempre più incolmabile dalla realtà: mentre a noi può scapparci un sorriso nel leggere le direttive sull’angolo di curvatura del cetriolo o sulla «pesca della passera di mare a Skagerrak eseguita da parte di navi battenti bandiera del Belgio», ci sono lavoratori che grazie a queste astruse norme vedono notevolmente condizionata la loro attività. Questo il racconto, rilasciato a «La Nuova Sardegna», del pescatore Giovanni Delrio: «La burocrazia rischia di ammazzare la pesca. Tutti questi nuovi regolamenti sembrano fatti apposta per farci arrendere e lasciare il mare, il nostro mare, alle multinazionali della pesca. Ma  noi non molleremo, anche se è assurdo che al rientro da una dura giornata di pesca si debba compilare una scheda nella quale il dentice si chiama “dec”, il cappone “gun”, la seppia “ctc”, il polpo “occ” e così via. Dicono che serve per la tracciabilità del pescato e quindi per la qualità, ma così stanno complicando la nostra durissima vita in mare».
Gli assurdi limiti imposti alla pesca di alcune specie, ad esempio il tonno, hanno comportato non pochi guai a coloro che grazie al commercio di questo pesce sfamano la propria famiglia. Sentite le parole dell’armatore di Sciacca Gaspare La Rocca a «Sì24»: «Il mare di Sciacca è pieno di tonni, anzi è tutto un tonno. Non c’è più pesce azzurro; da due o tre anni, quando l’Ue ha deciso di limitare a un mese all’anno la pesca del tonno, questi sono aumentati in maniera esponenziale. È una legge assassina, che consente solo a pochi in Italia di pescare il tonno, mentre noi muoriamo. Lo Stato deve intervenire per cambiarla. Pesce spada non ne prendiamo più, sarde nemmeno, i tonni non li possiamo pescare perché altrimenti commettiamo un reato. Stiamo morendo e si stanno producendo danni enormi all’ecosistema marino».
Finché l’Europa non si degnerà di comprendere le reali dinamiche della vita dei cittadini, divincolandosi da quell’autentica schiavitù di norme, vincoli e regolamenti di ogni tipo, non si sorprenda mister Juncker se lui e tutta la sua Commissione verranno trattati alla stregua di grigi e assurdi burocrati.

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